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QT n. 21, 10 dicembre 2005 Servizi

La donna del soldato

Una singolare mostra di cartoline al Museo della Guerra di Rovereto.

L’accesso al Museo della Guerra, situato nel severo Castello di Rovereto, è una suggestiva androna acciottolata che s’inerpica lungo le mura; attualmente il museo ospita, accanto alla consueta vasta collezione di reperti e documenti della Prima guerra mondiale, una mostra dal titolo accattivante: "La donna del soldato. L’immagine della donna nella cartolina illustrata".

Sono in esposizione circa 700 cartoline, per la maggior parte italiane, appartenenti alla collezione di Enrico Sturani, curatore della mostra; il periodo considerato va dalla fine Ottocento agli anni ’70 del secolo scorso, ma il momento maggiormente rappresentato è la Prima guerra mondiale.

Per tutto il Novecento, dalla guerra di Libia alla Seconda guerra mondiale, la cartolina illustrata, è stata un veicolo, un messaggio che trasportava un altro messaggio e che, attraverso la figura della donna, rappresentava l’immaginario collettivo maschile dell’epoca.

Camillo Zadra, direttore del Museo, mette in risalto che "la cartolina di quel periodo non riproduce uno spaccato della condizione femminile, non presenta la donna nelle sue condizioni originate dalla guerra, come potrebbe fare un reportage fotografico, ma è un documento attraverso il quale la società si autorappresenta e trasmette, attraverso un’immagine di donne variamente raffigurate, un’idea femminile elaborata dal punto di vista maschile. La donna vista come madre che rappresenta la nazione, la donna come soggetto debole che deve essere protetto dall’aggressione del nemico, la donna oggetto del desiderio e quindi simboleggiata come un’amante focosa, la donna che abbellisce, con il suo aspetto e i costumi, l’immagine della patria. E’ un documento che va interpretato alla luce di uno sguardo maschile sulla società dell’epoca a cui si riferisce.

L’esposizione si divide in sei sezioni: per cominciare, "Madre Patria", dove l’Italia è spesso rappresentata come una donna severa, coperta da armature o con veli che le lasciano il seno scoperto; una madre dolente per il figlio perduto in guerra o che accoglie sotto il suo manto i soldati mutilati. Altre volte è raffigurata come una madre plurilingue e multietnica che attira a sé le città irredente (Trento e Trieste) e le nuove colonie africane, o è disegnata con robuste mascelle, quando al governo c’era Mussolini.

Nella sezione "Battaglie d’Amore" il tema più frequente è l’incontro tra gli amanti, spesso rappresentato dal bacio appassionato che si scambiano all’addio o da quello fremente del ritorno. La donna è una Penelope disposta ad attendere, mentre l’uomo, già in divisa, è pronto a partire. Sono divertenti le cartoline, quasi tutte francesi, con bonari doppi sensi: ad esempio, la donna che cavalca il proiettile (scelta come immagine della mostra) o la canna del cannone che sporge dal soldato mentre la signora vi punta l’occhiolino.

Sotto il tema "Prede del nemico e conquiste sul campo" si notano aspetti diversi, ma le donne sono comunque oggetto di violenza: possono cadere preda del nemico, e allora le cartoline incitano alla difesa e alla vendetta, ma sono anche disponibili a cedere alle avances del soldato e diventano addirittura una preda esotica dell’italiano nelle colonie, che le esibisce come souvenir.

"Nelle retrovie" rappresenta la vecchia madre che bacia il soldato che va in guerra, le ragazze vestite di bianco che porgono piccoli doni ai soldati in partenza, donne che lavorano a maglia per i comitati pro-lana... Donne tradizionali accanto alle quali emergono altre figure femminili che sostituiscono gli uomini impegnati al fronte: la tranviera, la postina, la barbiera, la spazzina, disegnate nello stile liberty dell’epoca, e che sono un esempio di emancipazione femminile.

Nella sezione "Moda militare" sono evidenti due simboli opposti, uno asessuato-materno, l’altro erotico-postribolare. Le ragazze in abiti militari sono l’incarnazione della donna del soldato, rappresentando lo stile di un’epoca: in costume da operetta, avvolte in sciarpe e berretti dai colori nazionali, con la camicia nera durante il fascismo, con succinte divise militari.

Infine "Il conforto, la preghiera e il ritorno" dove il modello della "donnina", nell’immaginario maschile, è assunto dalla crocerossina, sempre giovane, graziosa e premurosa, che copre di attenzioni il soldato ferito nel corpo, ma non nella virilità.

Tutti stereotipi sicuramente kitsch, visti con gli occhi di una donna di oggi (i miei), ma che non si possono paragonare ai modelli femminili attuali, proprio perché i luoghi comuni di allora erano o la "moglie-madre-sorella" o la "donna leggera"; insomma, un’occasione anche per meditare su quanta faticosa strada abbiamo fatto.

Il modello femminile proposto dalle cartoline in ogni caso non era popolare: quelle raffigurate erano ragazze borghesi, sicuramente non operaie e contadine, di giusto livello per gli ufficiali, ma per la truppa rappresentavano una sorta di infrazione sociale.

La Grande Guerra servì ad acculturare larghi strati popolari che, per comunicare con la famiglia, dovevano leggere e scrivere: cartoline in questo caso, perché la censura consentiva solo corrispondenza allo scoperto.

Se la figura femminile era tanto diffusa nelle cartoline della Grande Guerra (sicuramente un modo per dare sfogo alle fantasie dei soldati), sparisce invece quasi completamente durante il secondo conflitto mondiale, quando si diede risalto soprattutto all’eroismo maschile e dove si possono trovare allusioni erotiche solo in certe azioni militari ivi raffigurate, come lo sfondamento delle linee nemiche o la forza di penetrazione dei siluri.

Un tema molto interessante trattato, nelle cartoline come nel catalogo, è quello del lavoro femminile al tempo della Prima guerra, quando la donna dovette sostituire l’uomo chiamato alle armi. Durante il periodo bellico, il Corriere della Sera dedicò al fenomeno una rubrica, "Le donne al posto degli uomini", dove si esaltavano le donne francesi, inglesi ed americane, presentate alle italiane come modelli operosi da imitare per aiutare la patria.

Si trattava di lavori sostitutivi, temporanei, concessi in una situazione di emergenza, che significarono però una nuova opportunità d’impiego per la donna, l’"apertura dell’era del possibile". Per le operaie, il lavoro nelle fabbriche rappresentò una prima uscita dal controllo famigliare, per le impiegate, una nuova carriera di lavoro, per le borghesi l’opportunità di essere attive.

Al termine della guerra le opportunità lavorative offerte alle donne rientrarono, dimostrando che erano il prodotto di una situazione eccezionale, che aveva in ogni caso dato avvio ad un processo di emancipazione femminile e modificato i tradizionali schemi di valori.

In conclusione, quella del Museo della Guerra è un’esposizione interessante e gustosa anche dal punto di vista grafico, giacché presenta cartoline "di fantasia" e artistiche, alcune molto raffinate.

Infine, una notazione negativa: la mostra, che rimarrà aperta fino al 28 maggio, è preclusa ai disabili per la presenza di pesanti barriere architettoniche.