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Rovereto: una sfida ancora aperta

La passione civica, i diktat, le giravolte, il giudizio dei cittadini. Le vicende delle elezioni roveretane: cosa ci insegnano, e da cosa si può ripartire.

Rovereto, il Municipio.

Era sembrata un’assemblea bella come poche altre, quella di venerdì 13 maggio nella vecchia sede di via Tartarotti. Più di 80 partecipanti, decine e decine di interventi e dichiarazioni di voto, accomunati dalla passione politica e dal rispetto reciproco. Un rito democratico di inconsueta nobiltà, appena turbata – sembrava – dall’ intervento del segretario provinciale dei DS.

Andreolli non si era accontentato di riproporre la tiritera dell’obbedienza obbligata ad una disciplina di coalizione a senso unico, ma l’aveva condita di allusioni particolarmente sgradevoli all’età di Ballardini, all’irriconoscenza di quei roveretani che occupavano incarichi pubblici di prestigio e che tuttavia non si erano adoperati abbastanza per la sottomissione, all’orizzonte municipalistico di chi non si piegava alla Realpolitik del Palazzo trentino. Appena fuori dalla porta, nella notte di maggio, le battute infelici si tramutarono in minacce, ma poteva sembrare solo lo sfogo di un dirigente poco propenso ad accettare di essere contraddetto.

Molti andarono a letto ripassando le immagini e le parole di un dibattito coinvolgente, illudendosi che le decisioni prese rendessero più facile la prosecuzione del percorso comune. L’apparentamento richiesto in extremis dalle forze politiche che sostenevano Maffei era stato respinto: si era convenuto tuttavia che un appello al voto per il centrosinistra interpretasse meglio la maggioranza dell’assemblea che non la rigorosa neutralità proposta da una sua fetta consistente.

Remo Andreolli, segretario provinciale dei Ds.

Solo nei giorni successivi ci si rese conto di come quel momento collettivo nascondesse un’inquietante ambiguità. Il voto era stato nominativo e la dirigenza della sezione DS aveva fatto una conta parallela, quella degli orientamenti dei suoi iscritti, in prevalenza favorevoli all’apparentamento. Lealmente (o realisticamente) non aveva messo in discussione la risultanza principale, vale a dire il rifiuto dell’apparentamento, ma aveva tratto da questa assemblea nell’assemblea, di cui i più ignoravano l’esistenza, la legittimazione a fare ben di più che un appello.

Il giorno dopo, per lo sbalordimento di buona parte della città, si annunciava che le fratture erano ricomposte, che simboli, donne e uomini del centrosinistra roveretano potevano tornare ad allinearsi sugli stessi palchi, sugli stessi manifesti elettorali, sulle stesse inserzioni ora generosamente acquistate sulle pagine dei giornali.

Com’è noto, non è bastato perché Maffei evitasse di perdere le elezioni con quasi duemila voti in meno rispetto al suo antagonista. Non senza ragione, qualcuno ritiene che l’improbabile rimpatriata abbia spinto a votare Valduga molti elettori incerti o tentati dall’astensione. Ad una coalizione fattasi coazione molti cittadini di sinistra hanno preferito la discontinuità, andando a raggiungere quelli che l’avevano già privilegiata al primo turno.

E’ giusto sottolineare una realtà cui si è prestata finora attenzione insufficiente. Delle due liste che sostengono il nuovo sindaco Guglielmo Valduga, almeno una è sicuramente di centrosinistra, di quel centrosinistra che dichiaratamente si vuole moderato e riformista. I suoi personaggi di maggiore spicco sono Cristian Sala e Maurizio Tomazzoni, sicuri membri della nuova giunta. Il primo (poco più che trentenne ma assessore per due mandati, prima con Ballardini e poi con Maffei), è il personaggio emergente di quella parte del socialismo locale che non è mai stata tentata di aderire ai Democratici di Sinistra e che ha fatto blocco piuttosto con i Verdi e con l’area variamente "civica" che fa riferimento a Donata Loss.

Tomazzoni ha nelle sue ascendenze un socialismo più caratterizzato a sinistra, quello dei circoli Rosselli e del laburismo di Valdo Spini. Iscritto a lungo ai DS, è stato vicino a Bondi e poi in particolare a Olivieri, finché non si è stancato di inseguire le acrobatiche giravolte di quest’ultimo. E’ comunque un convinto ulivista, fin dai tempi dei Comitati Prodi nei quali ha militato in prima fila.

Un cattolico socialmente impegnato come Roberto Ferrari viene dalla Margherita, nella cui lista fu eletto nel 2000, così come Da Costa, consigliere dell’altra civica valdughiana. Da Maffei quest’ultimo aveva ottenuto la delega per le politiche del lavoro, mentre all’arredo urbano era delegato il repubblicano Caputo, anche lui ora consigliere della più votata tra le due liste per Valduga. Dei 24 consiglieri comunali su cui poteva contare nel 2000 Maffei, ben 5, più del 20%, sono ora in Consiglio con Valduga, mentre altri 2 erano nelle sue liste o al loro sostegno.

La sconfitta del centro sinistra a Rovereto non va dunque ricondotta esclusivamente alla collisione tra una parte di Rovereto Insieme e Maffei, come si ama fare per pigrizia mentale. C’è stato un più profondo e articolato deperimento del ruolo dei partiti nel governo della città, cui non metterà rimedio nessuna operazione "manu armata" dall’esterno, anzi.

Lo schieramento che ha sorretto il percorso di Valduga non è un centro destra mascherato e non si dovrebbe in alcun modo cospirare perché lo diventi. Dopo la forte scossa elettorale occorrerà ritrovare la strada del dialogo, certamente: ma a tutto campo, su ambedue i fronti del nuovo Consiglio comunale, sapendo che ci sarà da lavorare a lungo per rivitalizzare e ridefinire la politica della città.

Non è facile capire perché, mentre gli altri soggetti politici affrontano con una certa cautela la nuova situazione, il segretario provinciale DS abbia dichiarato con tanta determinazione di voler tagliare, epurare, rifondare. Tagliare con Rovereto Insieme, un’esperienza che il partito che allora si chiamava Pds contribuì a far nascere, quando si pensava che occorresse alla sinistra una casa più grande e più aperta. Epurare o comunque emarginare chi ha dimostrato una scomoda autonomia. Rifondare sulla base di un ricambio generazionale certamente necessario, ma che avrà basi fragilissime se imposto per vie disciplinari. Nella recente campagna elettorale sono emersi volti e stili nuovi, energie fresche, un entusiasmo collettivo dimenticato. Forzature unilaterali e autoritarie bruceranno queste nuove risorse anziché valorizzarle, non c’è bisogno dell’indovino per vederlo già adesso.

Il partito trentino dei DS, in quanto è accaduto, sembra vedere solo la sconfitta elettorale di Rovereto Insieme, che liquida sbrigativamente come sconfitta anche politica. Si preclude in questo modo una diversa interpretazione della vicenda, più feconda per una sinistra che conservi qualche preoccupazione per il futuro. Quella intrapresa da Rovereto Insieme (e dai DS roveretani, fin quasi alla fine del percorso) è la strada di una rinnovata dignità e coerenza, non certo quella della rottura unilaterale, o del trasformismo senza principi, o dello smarrimento di ogni finalità della politica che non sia il governo per il governo. Alla disperata rassegnazione che veniva richiesta si è tentato di contrapporre un orgoglio né bieco né cieco. La generosità della sfida è stata apprezzata da molti, ben al di là del numero, che rimane considerevole, degli elettori che l’hanno confortata con il voto. Del suo significato non solo locale ha scritto più volte Franco de Battaglia, nel quadro di una lettura impietosa e penetrante della situazione del Trentino. Sarebbe uno spreco imperdonabile, e un’abdicazione dalle responsabilità assunte, se quella sfida fosse ora abbandonata per rientrare negli schemi della più piatta normalizzazione.

Chi scrive rientra nelle istituzioni comunali con un robusto consenso che reclama un altrettanto significativo impegno. Ci va a rappresentare un’esperienza di cui molti si affrettano con foga smodata a dichiarare l’estinzione.

Si è chiuso un lungo ciclo, è mutata profondamente la situazione generale, molti nodi sono venuti al pettine. La bella e mostruosa assemblea da cui siamo partiti ha svelato l’insostenibilità dell’attuale fisionomia istituzionale di Rovereto Insieme, associazione di base intrecciata con una struttura di partito senza che risultino sempre chiari e distinti i livelli delle responsabilità. Occorrerà ripensare in profondità il suo ruolo futuro. Qualche idea circola, ma non è il caso di anticipare qui in poche righe la traccia di una riflessione che ha bisogno di ragionamenti distesi. Quello che è certo è che non andremo in Consiglio come generali di un’armata morta. Del ruolo di una sinistra critica, pluralistica, costruttiva, propositiva c’è bisogno più di prima, sia per il buon governo locale che per il futuro politico di tutti.