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L’enigma Putin e la sua Russia

A colloquio con Demetrio Volcic e Claudio Fracassi. Da L’Altrapagina, mensile di Città di Castello.

Achille Rossi

"La Russia non è più ‘l’altra potenza’ che bisogna sempre controllare; ha avuto un calo del Pil notevolissimo e sta diventando un paese difficilmente leggibile, anche perché il mondo deve ancora decifrare l’enigma Putin: non sa se considerarlo un democratico costretto a impiegare misure autoritarie per liberare il paese dalla disgregazione e dalla corruzione o un autocrate che sta spingendo sull’acceleratore dell’autoritarismo. Guardato da una certa angolatura sembra il cugino di Berlusconi, visto da un’altra prospettiva appare come un novello Stalin".

Vladimir Putin.

Demetrio Volcic, il mitico corrispondente da Mosca della Televisione italiana, spiega in questo modo il declassamento della Russa sul piano internazionale e la diminuzione di attenzione da parte dell’opinione pubblica.

Ma è convinto che le cose presto cambieranno: "La Russia rappresenterà un problema quando si rafforzerà, il che avverrà nei prossimi anni, se il prezzo del petrolio si manterrà sui livelli attuali. I 50 dollari al barile consentiranno alla Federazione Russa di avere un surplus nel Pil, che potrebbe impiegare per rifare le strutture e i tubi dei suoi gasdotti e oleodotti, danneggiati dai rigori dell’inverno siberiano, e per sistemare molte questioni interne".

L’idea che la Russia potesse essere il grande mercato per l’Europa occidentale si è rivelata, a parere di Volcic, meno promettente di quanto sembrasse all’inizio: "La Russia si è dimostrata abbastanza autarchica, capace di produrre per il mercato domestico merci elementari e non particolarmente raffinate".

Chi comanda oggi in Russia? Come potrebbe disegnare una mappa del potere nella Russia di oggi?

"Semplificando, potremmo dire che c’è, in primo luogo, una lotta di Mosca contro le province; in secondo luogo, un braccio di ferro tra Putin e gli oligarchi che si sono arricchiti con le privatizzazioni e, infine, un conflitto all’interno dell’establishement politico dipendente da visuali diverse. Insomma, formalmente comanda Putin, anche se incontra qualche difficoltà. L’opposizione praticamente non esiste, perché il partito comunista non ha mai fatto opposizione sul serio".

Come mai?

"Perché la costituzione è tale che, in una lotta prolungata, Putin può anche sciogliere il parlamento e rimandare i deputati a casa. Questo significherebbe farli ricadere nel nulla. Per i parlamentari il seggio è vita. Ecco perché non esiste una vera opposizione, ma solo una lotta politica tra clan".

Per completare la mappa del potere, Volcic ricorda "l’enorme economia sorta negli ultimi 10 anni, che deve difendere i suoi interessi di categoria".

Putin sta sviluppando una politica autocratica su tutta la linea. Quale scopo si prefigge?

"Riportare l’ordine in Russia, perché la corruzione dilaga e c’è un disordine da fare spavento, soprattutto in provincia. Così egli nomina i suoi uomini e li invia come proconsoli in questi territori lontani migliaia di chilometri e mal collegati con Mosca, per esercitare una forma di controllo. Il problema non è cambiato nelle ultime centinaia di anni: il paese è estremamente grande e non possiede quel livello di tecnologia occidentale che gli permetterebbe dal centro di controllare le province.

Da quando è stato abolito il partito comunista, i russi hannoperduto l’unica forza organizzata che aveva un radicamento sul territorio. Restano solo l’esercito e la polizia segreta. Ma basta guardare sulla carta geografica la vastità del territorio per capire che è difficile dominarlo solo con questi strumenti. Comunque, meglio con la polizia segreta che con l’esercito. E questo è Putin".

I confini della Federazione Russa sono troppo vasti per essere efficacemente presidiati. Come reagisce il governo alle mire dei due colossi, Usa e Cina, che vorrebbero approfittare della decomposizione dell’ex Unione Sovietica?

"E’ un processo che si sviluppa quasi automaticamente: se uno è debole, il vicino ne approfitta. Se lungo 4.000 km. di confine la Russia ha una popolazione di 0,5 abitanti per chilometro quadrato mentre la Cina di 150, è naturale che i cinesi tentino di superare il fiume. Al ritmo di sviluppo che si ritrova, la Cina potrebbe farlo anche legalmente: giorni fa ha comperato addirittura una compagnia petrolifera americana per avere l’energia a casa propria. Non aveva bisogno di strumenti politici, ma soltanto dei soldi per poterlo fare".

Come legge questo avvicinamento progressivo al territorio russo da parte degli Usa, che hanno piazzato molte basi nelle repubbliche ex sovietiche?

"Come una dialettica politica normale, che non porta necessariamente a scontri violenti, ma che dimostra come l’America cerchi di sfruttare la sua posizione dominante nel mondo. Gli Stati Uniti hanno conquistato in qualche modo la Georgia e l’Azerbaigian, garantendosi il controllo di una importante via del petrolio. Nel momento in cui le tre repubbliche baltiche sono entrate nella sfera d’influenza occidentale, anche sul continente russo c’è una mosca che può pungere".

Come si difende Putin da tutto questo?

"Non può certamente protestare contro la cattiveria degli altri; può soltanto regolarizzare l’andamento della vita quotidiana in Russia e poi pretendere, grazie alla sua forza e non alla sua debolezza, di essere rispettato dai ‘vicini esteri’, come i russi chiamano gli ex paesi dell’Urss. E’ normale che chi è forte sfrutti il proprio vantaggio e chi è più debole cerchi di liberarsi dalla propria debolezza. E’ un gioco non nuovo nemmeno per la Russia, che era grande potenza anche sotto gli zar e che doveva difendersi. Da se stessa e dagli altri".

C’è una questione islamica per la Federazione Russa? Quali problemi pone il radicalismo islamico al governo russo?

"La guerra cecena è cominciata come una guerra di liberazione nazionale dei ceceni, che hanno pensato di poter fare come gli altri paesi caucasici che s’erano liberati dalla tutela russa. Poi, come succede in queste vicende in cui c’è in ballo una componente islamica, si è aggiunta una coloritura religiosa, che crea problemi alla Russia. In altri paesi caucasici come Uzbekistan e Kazakhstan, che pure si sono separati da Mosca, non è attivo un radicalismo islamico, ma ci troviamo di fronte ad un islam moderato. Fanno eccezione i ceceni che, se Bin Laden gli invia un po’ di mitragliatrici, non diranno certamente di no".

Perché la politica russa sta fallendo in Cecenia e in tutto il Caucaso?

Soldati russi in Cecenia.

"Ma fallisce davvero? La Russia ha ancora in mano le chiavi di parecchi di questi paesi perché fornisce loro l’energia. Quando due anni fa la Georgia ha fatto uno sgarbo al Cremlino, i russi hanno staccato la spina e per Capodanno i georgiani, senza riscaldamento, senza luce, senza televisione, sono dovuti andare a letto alle cinque del pomeriggio.

E’ impossibile che i cittadini di questo paese non pensino alla Russia e non chiedano ai propri governanti di fare una politica tale da poter riscaldare l’abitazione. La tattica di ritorsione russa è semplice: se pensano, ad esempio, che i georgiani diano riparo ai combattenti ceceni, in primo luogo cercano di fomentare battaglie secessioniste all’interno della Georgia, poi invitano a non fornire più aiuto ai ribelli e, come extrema ratio, tagliano l’elettricità.

In realtà, tutti i popoli ex sovietici vorrebbero mantenere un rapporto di equilibrio sia con l’America che con la Russia. Per questo guardano verso l’Europa, che però è ancora politicamente fragile e non ha una forza pari alla sua statura economica".

Claudio Fracassi, giornalista e scrittore, ex direttore di Avvenimenti, si trovava in Russia come inviato di Paese Sera quando l’Unione Sovietica si è dissolta e si è realizzato il passaggio alla cosiddetta democrazia di tipo occidentale. Gli chiediamo quali siano state le ripercussioni di questo trapasso sulla società russa e sulla vita della gente.

"Si sono sommati tre fenomeni paralleli in una simile transizione. Il primo è stato la fine del comunismo e l’avvento di un sistema democratico di tipo occidentale. Le condizioni erano ormai mature per tale passaggio, altrimenti il sistema sovietico avrebbe rischiato l’implosione, Gorbaciov aveva già indicato la strada con la perestrojka, la glasnost. Il secondo fenomeno è stato il passaggio da un regime economicamente centralizzato ad un’economia di mercato, che ha prodotto però conseguenze catastrofiche".

Come mai?

"Perché è stato imposto dall’alto e a ritmi accelerati. Ad un certo punto si è deciso che tutto doveva essere privatizzato, senza rendersi conto che per creare un sistema capitalistico ci vogliono forze reali che nascono dalla società, che comprano, commerciano, acquistano esperienza. In Russia tutto è stato semplificato, come se si trattasse di un’ennesima campagna di tipo bloscevico per la privatizzazione.

L’esito è stato devastante: un vero mercato equilibrato non è mai nato, la ricchezza si è concentrata immediatamente in pochissime mani, quelle dei cosiddetti oligarchi, e si è creato un intreccio perverso con la malavita economica e criminale in genere. La mafia, insomma, ha giocato un ruolo decisivo in questa privatizzazione selvaggia, inquinando così la giusta democratizzazione politica".

E il terzo aspetto della transizione?

"E’ il disfacimento dell´Unione Sovietica, che viene spesso sottovalutato. Anche questo è stato deciso dall’alto, dopo l’incontro in una dacia dei tre presidenti di Ucraina, Bielorussia e Russia. Con questo gesto, senza alcuna partecipazione popolare, unicamente per la spinta del ceto politico ex sovietico, si è spaccato non solo un grande mercato economico, ma un tessuto culturale e civile che aveva avuto un suo sviluppo.

Sulle ceneri dell’Unione Sovietica sono fioriti nazionalismi esasperati, come quello dei paesi baltici e quello caucasico. Per contrapposizione, in Russia ha ripreso vigore l’antica e reazionaria tendenza nazionalistica ‘grande russa’, mentre negli altri paesi di lingua diversa i quadri della nomenklatura comunista si trasformavano in autocrati locali".

La conclusione di Fracassi è sconsolata: "Insomma, non è cambiato niente ed è cambiato tutto in peggio nell’ex Unione Sovietica. Questo è stato forse il fenomeno più devastante".

Leggendo il suo libro sulla Russia mi aveva molto impressionato la presenza e la pervasività della mafia russa nella società civile. Ci potrebbe spiegare in quali ambiti oggi si esercita la presenza della mafia e con quali esiti?

"Dappertutto. Nel momento del passaggio dall’economia di piano a quella di mercato, il gigantesco patrimonio pubblico è stato letteralmente svenduto. Sono stati ceduti ai privati complessi enormi, come le miniere degli Urali e della Siberia, interi comprensori dove esistevano industrie chimiche, metallurgiche, elettriche, di estrazione petrolifera, i grandi porti. Aziende con 100 o 200 mila addetti sono state vendute per l’equivalente di qualche milione di euro.

Eppure all’epoca nessuno in Russia aveva i capitali per acquistare questi enormi complessi. I capitali stranieri, vista la situazione dell’ordine pubblico, si sono subito ritirati, così gli interessi criminali si sono collegati a quelli politici. I mafiosi avevano i capitali, la nomenklatura economica ex sovietica aveva il potere. I capitali della mafia sono serviti a grandi burocrati per impadronirsi delle più gigantesche industrie.

Il connubio tra burocrati ex sovietici e capitali mafiosi ha permesso agli esponenti della mafia di invadere i consigli d’amministrazione. Perciò la mafia in Russia non è un fenomeno estraneo che si è introdotto in maniera subdola nelle attività economiche, ma un soggetto politico-economico di grandissimo rilievo".

Il prodotto interno lordo della Russia è legato all’esportazione di idrocarburi. Sul campo dell’energia si sta svolgendo una lotta serrata fra Putin e gli oligarchi dell’era Eltsin. Qual è l’oggetto del contendere e quali sono le mire del presidente?

"L’oggetto immediato è il controllo della Yukos, la più grande impresa estrattrice e di commercializzazione del petrolio siberiano. La lotta tra Eltsin e Putin si è sviluppata essenzialmente in due settori: l’informazione e l’energia. Putin ha raggiunto il controllo dell’informazione espropriando e talora incarcerando alcuni degli oligarchi del mondo dei giornali e della televisione che avevano fiancheggiato Eltsin. Oggi stampa e Tv sono totalmente omologate e controllate dall’alto. Attraverso una finta asta Putin ha realizzato una sostanziale espropriazione del colosso finanziario e petrolifero Yukos, lasciandolo in mano a uomini di sua fiducia, che fanno capo alla banda di San Pietroburgo. Con questo duplice colpo di mano, sull’informazione e sull’industria energetica, ha acquistato un potere enorme".

Quali sono le mire del presidente?

"Con la designazione dall’alto dei governatori, Putin, a differenza di Eltsin che con gli oligarchi doveva pure fare i conti, ha saldamente in mano tutte le leve del potere".

Il suo disegno è quello di accentrare?

"Certo. L’ostacolo è rappresentato dal fatto che non esiste un’unica Russia, ma molte Russie diverse. Lo si vede già a Mosca, dove il centro è apparentemente tranquillo e benestante, mentre nelle periferie più lontane niente sembra cambiato da 15 anni a oggi. Poi esistono luoghi lontani e periferici di un paese enorme, dove livello di vita, sistema di distribuzione e mercato sono profondamente diversi e dove dominano alcuni ras locali che hanno un forte potere anche nei confronti del centro.

Il disegno di Putin di ricondurre all’unità un tale paese è molto difficile da realizzare, perché s’è consolidata una stratificazione localistica e anche di tipo economico che sarà difficilissimo eliminare. Lo si è visto con la Cecenia".

Quali ripercussioni ha provocato la svalutazione del rublo nel 1997 sul tenore di vita della popolazione russa?

"Ha consolidato tutte le disuguaglianze che si erano accumulate negli anni delle privatizzazioni. Allora tutti compravano azioni delle società statali privatizzate, tanto che questi voucher circolavano al posto della cartamoneta: la svalutazione li ha ridotti a carta straccia e ha consolidato una sorta di economia precapitalistica, di tipo quasi feudale, in cui gli operai venivano remunerati in natura poiché non c’erano soldi per pagare i salari. A quel punto si sono creati scambi fra complessi economici per permettere agli operai di sopravvivere. E’ avvenuta così una parcellizzazione dell’attività economica, a dispetto della pretesa di pianificare tutto.

Sul piano sociale c’è stato un taglio drastico delle forme di assistenza, che ha portato gli strati marginali della popolazione a vivere al di sotto della soglia di sussistenza. In un paese dagli inverni terribili come la Russia questo significa che la gente muore".

Si parla di un 40% di popolazione al di sotto della soglia di povertà. Sono stime credibili?

"Sono le cifre ufficiali. Comunque, avere un quadro complessivo della situazione russa è molto difficile. Man mano che ci si allontana da Mosca o da San Pietroburgo si prova non solo la sensazione fisica di una società degradata, ma soprattutto quella di addentrarsi in un mondo sconosciuto.

Oggi la Russia è abbastanza dimenticata dal mondo dell’informazione, che ci ragguaglia su quel che succede a Mosca, ma non è in grado di dirci cosa accada realmente in Russia".