Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 22, 24 dicembre 2004 Cover story

Questa Chiesa a cosa serve?

La comunità dei fedeli e l’istituzione ecclesiale nella nuova società secolarizzata, con i seminari deserti e i cristiani sempre più minoranza. Le nostalgie del tempo che fu, la scorciatoia dell’autoritarismo interno, la ricerca di un nuovo patto trono-altare magari fondato sul conflitto con l’Islam. Oppure l’attualizzazione dei difficili principi evangelici: povertà, perdono, solidarietà...

Marcello Farina

Sulla Chiesa, anche su quella locale, continuano ad affollarsi molte domande, intriganti ed ostiche ad un tempo. Lo si è visto anche nel nostro ambiente, dove si sono registrate reazioni diversificate: di ostilità e di chiusura da una parte, accompagnate dalla consegna del silenzio; di minimizzazione dall’altra, con la constatazione che osservazioni critiche e opinioni divergenti sono sempre esistite all’interno del corpo ecclesiale e non devono, quindi, preoccupare più di tanto. C’è anche chi è intervenuto con lettere ai giornali, per giustificare la situazione corrente, dando la colpa della sua fragilità ai "tempi cattivi" che si vivono, al cattivo funzionamento del dialogo dentro la comunità ("I panni sporchi devono essere lavati in casa"), a qualche testa calda che ha il gusto della provocazione e della denigrazione dell’apparato dirigente della comunità cristiana, una sorta di complesso di Edipo non risolto. E c’è anche chi, mai pubblicamente peraltro, vorrebbe estirpare una volta per tutte questa "zizzania", eliminando moralmente (fisicamente non è più possibile) tali individui, nocivi all’intera comunità.

La rabbia è tanta e l’ipocrisia ancora più massiccia, perché in segreto, a tu per tu, lontano da orecchi ed occhi indiscreti, una gran quantità di preti e di laici, uomini e donne, si dicono amareggiati, avviliti, delusi di come vanno le cose nella comunità cristiana trentina. Si vive un clima di grande frammentazione, non imputabile – per carità – del tutto alle persone: c’è una difficoltà di fondo oggi nel nostro mondo occidentale secolarizzato a "diventare cristiani" e a vivere ed operare "da cristiani"; e chi in concreto cerca di affermare il proprio essere cristiano diventa egli stesso un problema per il suo ambiente (in una società che, per fare un esempio, proclama "beati i capaci", che senso ha prendere partito per gli oppressi e solidarizzare con i poveri?).

Si potrebbe pensare, come fanno anche tante persone serie e per nulla malintenzionate, che la crisi del mondo cristiano non derivi tanto dai problemi dell’istituzione ecclesiastica, dai cristiani come tali, ma addirittura da una "strisciante debolezza" dello stesso annuncio evangelico, non più colto come parola che salva, guarisce dalla presente generazione.

Comunque sia, per chi osserva la comunità cristiana oggi, o dall’interno perché ne condivide la sorte, o dall’esterno perché incuriosito e interessato dal punto di vista culturale e storico, le sorprese non mancano, Basterebbe leggere con attenzione l’intrigante libretto di Alberto Melloni, "Chiesa madre, Chiesa matrigna", appena uscito per le edizioni Einaudi.

Questo attento e competente storico della Chiesa ci offre uno spaccato originale e approfondito della situazione del corpo ecclesiale nel nostro tempo. La domanda ricorrente nel suo testo è la seguente: va bene o va male? E le risposte sono molteplici, articolate.

[/a]Ad esempio, non si può negare che il cristianesimo (l’istituzione ecclesiastica, più propriamente) abbia ottenuto qualche risultato: la fine del comunismo nell’Est europeo, la vittoria di un presidente che cita la Bibbia per consolidare il suo piano di conquista, il revival religioso in atto in tutto il mondo ) la revanche di Dio…). Ma è vera gloria? "Certo la Chiesa di Wojtyla è la Chiesa di tanti record e successi e di una singolare ‘unità’ che pare crescere attorno a Giovanni Paolo II man mano che declinano le forze fisiche dell’anziano pontefice: ma è anche la Chiesa che, dopo aver coinvolto i giovani nei grandi eventi di massa, non riesce a prolungare il dialogo profondo con la nuova generazione; è anche la Chiesa che delega ampi settori della pastorale ai laici e ai movimenti, concedendo, sotto il peso di una contrazione del numero dei preti che perdura ininterrotta da quasi due secoli, ciò che non è riuscita a strutturare in forma di positiva deliberazione all’indomani del concilio Vaticano II". (A. Melloni, op. cit., pp. 6-7).

Il cattolicesimo romano porta con sé il senso di una nervosa inquietudine, non più spiegabile con le solite categorie di destra e di sinistra, di conservatori e progressisti. Si può addirittura parlare di una certa "tribalizzazione" della Chiesa cattolica, che coltiva al suo interno una evidente frammentazione fra movimenti, culti, posizioni politiche. In più, il dialogo ecumenico, cioè il positivo rapporto di apertura con le altre confessioni cristiane, sembra essere entrato, al di là delle espressioni di facciata, in un vicolo cieco. Comunque sia, un fatto sembra imporsi in modo decisivo: "Qualunque sia il giudizio che si vuol dare allo stato odierno delle chiese e del cattolicesimo, cercando di rallentare il flusso dei fatti e delle parole, è chiaro che la loro condizione sarà domani diversissima da quella che è oggi" (Ivi, p. 24).

Nel travaglio di una storia in movimento, il cattolicesimo non può più immaginarsi "solitario" dinanzi allo specchio degli eventi incalzanti del terzo millennio. Esso è esposto ad una molteplicità di sollecitazioni, che stanno modificando equilibri secolari che non reggono più. Le chiese sono spesso "opache" rispetto alla persona che confessano, cioè rispetto a Gesù di Nazareth. Esse percepiscono l’esigenza di un cambiamento e, nello stesso tempo, l’ingombro di una inutilità sostanziale in molti campi dell’esperienza umana, percorse come sono da tentazioni di consorteria, dalla metamorfosi dello stesso magistero ecclesiastico, dalla "fine" del prete nella sua figura tridentina, dalla difficoltà di immaginare un modo nuovo per reclutare, formare e strutturare persone per il ministero dentro la comunità.

Nel frattempo sono diminuiti più i cristiani che i preti; il loro è stato, spesso, un esodo silenzioso, senza far rumore, un ritiro in disparte senza grandi drammi interiori, senza acute problematiche teologiche.

Si è, per così dire, constatato, da parte di donne e di uomini anche "cercatori di Dio", che nella Chiesa è sempre più difficile abitare, perché questa Chiesa non perdona e i cristiani lo sanno (Ivi, p. 104). Questa Chiesa assolve sì, se richiesta - è questa la tradizione latina-; ma "comunicare il perdono è un’altra cosa. Lo sanno i cristiani, lo sanno i cattolici, e non ne parlano volentieri, perché non vogliono condoni o sconti di cui non si sentono degni. Hanno fame e sete di misericordia, e se non la chiedono nemmeno più, è per bontà loro: perché sembra di infierire e di chiedere l’impossibile a una Chiesa il cui volto materno s’irrigidisce spesso nei tratti di una matrigna spietata" (Ivi, pp. 139-140).

Fin qui Alberto Melloni, lo storico della Chiesa che, come si diceva sopra, ci aiuta a cogliere, con serietà e con attenta documentazione, il momento epocale che il cristianesimo e le istituzioni ecclesiastiche stanno vivendo: momento di cambiamento, di trapasso, di grande travaglio per tutti, credenti e cercatori di Dio, uomini e donne che si chiedono ancora che senso abbia avere un riferimento religioso per la propria vita quotidiana.

Ma a che punto è la "coscienza" di questa svolta epocale nel nostro ambiente, nella comunità ecclesiale e laica trentina? Perché, come si diceva all’inizio, è così difficile parlarne pubblicamente, come fosse un delitto di lesa maestà? Come se fosse, sempre, un attacco alle persone e non un accorato richiamo a dire la verità, a non nascondere le situazioni di disagio, ad assumersi coerenti responsabilità secondo i ruoli che ciascuno intende giocare all’interno della comunità, anche con la consapevolezza che tutti, dentro la Chiesa, sono "sacerdoti, re e profeti", cioè tutti possono esercitare la franchezza della parola.

Nel nostro mondo, anche trentino, non ci siamo ancora accorti, in molti, o adattati, quasi tutti, al fatto che è finito il "regime di cristianità". Ormai i cristiani (cattolici) sono condotti a riconoscersi come una minoranza. Per alcuni tale riconoscimento è angoscioso, per altri è virtuale, perché, pur arrivando a confessare che è finita la maggioranza (cristiana, cattolica), hanno la pretesa di continuare ad essere considerati nella società proprio come una maggioranza.

In secondo luogo, da noi è venuto meno il nemico, cioè un’ostilità costituita sia dottrinale che politica. Mai la Chiesa (la Chiesa cattolica), nel nostro ambiente, ha goduto di tanta libertà di espressione e di organizzazione. E’ perfino cercata, come vedremo più avanti, come promotrice di una "religione civile" che tenga unita una società divisa e frammentata, incapace di fare riferimento a valori condivisi (il "nemico" islamico è, spesso, un nemico indotto da abili mestatori e da dottrinari in mala fede generalmente, dalla Fallaci a Ferrara).

Invece, due fenomeni vanno tenuti presenti, se vogliamo comprendere più da vicino la situazione della nostra comunità e di quelle che le sono simili:

- Il pluralismo dell’indifferenza, per il quale, messa in crisi la relazione con Dio, invece di non credere più a nulla, si crede a tutto. Ma se si crede a tutto, niente è credibile in assoluto, e non esistono più modelli o immagini di riferimento pedagogico o esistenziale vincolanti;

- Il pluralismo delle differenze, prodotto dalla globalizzazione che ha cambiato la concezione dello spazio e del tempo, dilatando il primo e riducendo il secondo, e ha trasformato le società umane in società multietniche e multireligiose. Lo straniero delle nostre comunità fa cambiare sentimenti e forme di appartenenza, processi di costruzione dell’identità e del riconoscimento, modi e regole della cittadinanza, rapporto con la memoria e la cultura.

Il fenomeno di questi pluralismi è molto visibile nel nostro ambiente e porta con sé una progressiva "dimissione" dalla fede e dalla comunità cristiana ufficiale.

Quello che è interessante è che nel nostro Trentino questa dimissione avviene, oggi, con delle caratteristiche che sono molto diverse da quelle di solo trenta, quarant’anni fa, come si ricordava sopra.

Il tempo che stiamo vivendo, come si sa, è un tempo travagliato, pieno di incertezza, confuso, disordinato. Ciò riguarda direttamente anche le Chiese e lo stesso cristianesimo. Il problema che subito balza agli occhi è, infatti, se il travaglio, la fatica, l’incertezza riguardi soprattutto il cammino delle Chiese e se non sia, invece, capace di intaccare la credibilità dello stesso cristianesimo storico, o, più in profondità, lo stesso messaggio cristiano.

Il Vangelo ha ancora qualcosa da dire alle donne e agli uomini di oggi? La domanda non è retorica, inutile.

In realtà anche la nostra comunità vive in una situazione che può essere riassunta in tre parole: paura, burocratizzazione, tradizionalismo (di persone e di idee), che non sono univoche – si intende – ma che rischiano di rendere sterili anche quelle realtà dinamiche che pure sono presenti nella Chiesa trentina, come l’attività caritativa, volontaristica, missionaria.

La paura: è una modalità di comportamento che non permette un dialogo sincero fra le persone; chiude la possibilità di sperimentazione; offre schemi prefabbricati, cioè riferiti al passato. Lì dove vince la paura, il dibattito viene chiuso in fretta, non viene allargato, vi partecipano sempre le stesse figure fidate, per non avere sorprese, complicazioni, obiezioni.

La burocratizzazione: in tempi in cui tutta la vita è burocratizzata (la vita civile, cittadina, politica, economica, ecc.), io sogno sempre un luogo dove vinca la spontaneità, l’immediatezza dei rapporti, il calore dell’umanità delle persone e penso che da questo punto di vista la comunità cristiana potrebbe essere un segno grandioso di differenziazione, di ricerca di relazioni di prima mano, di attenzione diretta ai problemi reali di ciascuno. Provate a guardare, invece, le bacheche delle chiese: hanno più orari dell’Atesina.

Molti preti non sanno che la gente lavora, fatica, ha orari impossibili. In una Chiesa ancora così profondamente clericale, dove tutto è incentrato sulla figura del parroco, e in concomitanza con la riduzione del numero dei preti, la soluzione viene intravista nella burocratizzazione dei "servizi religiosi".

Il tradizionalismo (chiamo così il ridursi, quasi dappertutto, a riprodurre schemi dottrinali e pastorali del passato) è, poi, l’atmosfera comune entro cui si muove l’azione delle comunità cristiane della diocesi. Se mai, con un pericolo in più: quello di dare rappresentanza, dentro i consigli parrocchiali, ai movimenti, alle sette, piuttosto che alla gente comune, al credente e al cercatore di Dio che abbia il senso della differenza dell’ispirazione religiosa e sappia cogliere la bellezza di essa. Ma il tradizionalismo non si ferma qui: c’è l’abitudine (si è sempre fatto così…), c’è l’ignoranza (c’è qualche prete e laico che si gloriano di non aver mai letto un libro serio di teologia, ma dettano legge…). Non ci si rende conto che il vero problema oggi è una nuova inculturazione del cristianesimo, perché il vecchio linguaggio è del tutto obsoleto, per interpretare il messaggio cristiano.

Con tutto il rispetto per l’islam, siamo anche noi molto islamici nel comunicare la verità cristiana: incapaci di critica storica, ecumenica, dottrinale (l’esempio di Rahner e il suo confronto con le scienze dell’uomo!).

Marcello Farina, prete, docente, predicatore.

Una fede "esperienziale" ha bisogno di un cammino non già del tutto prefabbricato. Il rapporto con il denaro è proprio risolto all’interno della Chiesa tridentina? Il rapporto con le altre religioni, e con l’islam in particolare? Il rapporto con la coscienza e il suo primato e ultimato è proprio accolto e valorizzato? La considerazione della Chiesa come popolo, radunato dalla Parola, anziché come monarchia assoluta, è proprio condiviso? E l’autorità dentro la comunità cerca modi diversi per esprimersi, o si ritorna al rapporto servo-padrone? Si può chiedere un magistero meno chiacchierone, invasivo, superficiale? Il rapporto con il prete è proprio trasparente, definitivamente libero, o il rapporto trono-altare, anche in miniatura, torna a farsi intrigante e pervasivo? Le chiese diventano superflue, come scriveva qualche anno fa il grande teologo Heinrich Fries? Non è possibile fare diversamente, come scriveva Bernard Haering, prima di morire?

C’è un fatto interessante, comunque, da registrare all’interno della comunità trentina: anche i cristiani dentro di essa hanno contribuito a tenere a bada le istanze più mercantili, più fondamentaliste, più invasive dal punto di vista del particolarismo e dell’egoismo civile e politico. Ma quanto durerà ancora? La stessa comunità cristiana è costretta a contenere al suo interno voglie di "regime di cristianità", come se fosse ancora maggioranza e non minoranza nel tessuto sociale.

Sarebbe troppo bello se la comunità cristiana trentina accettasse di mettersi a discutere insieme, con semplicità e con verità, senza ostracismi e senza esclusioni preconcette, ma con la libertà e la franchezza che è propria, secondo il Vangelo, di tutti i "figli di Dio", cioè delle donne e degli uomini che egli ama.