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Giusto processo: chi l’ha visto?

Ci si occupa dei grandi principi ma si trascurano le piccole cose e i tempi della giustizia rimangono eterni.

La legge costituzionale n° 2 del 1999 ha rinnovellato l’articolo 111 della Costituzione stabilendo i criteri del giusto processo. E’ noto che fino al 1988 la procedura penale era di tipo accusatorio, ma con il decreto Vassalli il nostro codice di procedura penale assunse i caratteri del sistema accusatorio, tipico dei Paesi anglosassoni. I 16 anni che sono trascorsi hanno messo in evidenza i difetti (non il principio ispiratore) del nuovo codice, e i successivi interventi legislativi e le pronunce della Corte Costituzionale hanno emendato alcune storture, ma hanno trasformato il nuovo codice in un labirinto di norme non sempre chiare e talvolta contraddittorie.

L’esigenza di fare ordine è via via aumentata. Il 19 ottobre di quest’anno sono iniziati i lavori della Commissione presieduta dal prof. Andrea Dalia, che si propone di adeguare tutte le norme di procedura penale al nuovo articolo 111 della Costituzione e di eliminare le attuali storture. La Commissione avrà molto da lavorare in relazione agli 11 capitoli del Codice di procedura adeguandoli ai principi del "giusto processo": la durata ragionevole, il diritto dell’accusato a confrontarsi con il proprio accusatore, il diritto dell’accusato ad essere informato in tempi brevi e riservatamente delle accuse mossegli. Il libro delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare sono quelli che necessitano di un intervento radicale. Infine il processo deve avere maggiore chiarezza per quanto riguarda il contraddittorio e la formazione delle prove in dibattimento. ("Diritto e Giustizia" n° 38, pag. 84, Paola Matrecano, magistrato).

Tutti ci auguriamo che la Commissione sia all’altezza del compito che deve svolgere, anche per evitare che per l’ennesima volta la montagna partorisca il topolino. Ma contemporaneamente ai grandi principi, sarebbe urgente che il Parlamento si occupasse anche di piccole cose che complicano e allungano i tempi della giustizia.

Ho letto recentemente uno spiritoso e amaro editoriale di "Robor" (pseudonimo, credo, del direttore) su "Diritto e Giustizia" n° 38 del 23 ottobre 2004, che racconta un fatto vero ma incredibile (se non fossimo in Italia). La storia è la seguente: il responsabile di un incendio doloso viene fermato. Il corpo del reato, cioè l’accendino per appiccare l’incendio, viene sequestrato, come per legge.

Dopo alcune settimane il Commissario di Polizia invia un fax al Pubblico Ministero titolare del procedimento, in cui scrive testualmente: "Con riferimento al procedimento penale sopra indicato... si comunica che non è possibile depositare presso l’ufficio corpi di reato l’accendino di tipo BIC perché lo stesso contiene materiale infiammabile. Pertanto si prega codesta autorità di voler autorizzare la distruzione del gas con svuotamento dell’accendino". Seguono allegati, timbri e firme.

Si domanda sarcasticamente l’editoriale: "Quale reparto speciale dovrà essere incaricato per svuotare un accendino BIC? E in mancanza di personale esperto e qualificato, quali luoghi possono essere idonei a custodire una simile devastante miscela esplosiva?"

E intanto, aggiungo io, che fine farà il processo? Resta sospeso? Fino a quando? L’accusato verrà posto in libertà per scadenza dei termini? Quanti mesi o anni passeranno prima del dibattimento? Finirà tutto in prescrizione?

Robor così conclude il suo articolo, con trattenuta indignazione: "Viene anche da riflettere: i locali di una tabaccheria contengono centinaia di bombe (accendini ) come questa. Altro che terroristi! Per non parlare dei fumatori: criminali che portano questi ordigni (accendini) disinvoltamente in tasca". Possibile che il solerte Ministro della giustizia o il Capo della Polizia non siano ìn grado di risolvere con una telefonata, o con una circolare, casi di questo genere che allungano inutilmente i processi?