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Violenze quotidiane

Dalle aggressioni dei coloni alle faide famigliari.

Questo pomeriggio sono stata a visitare una famiglia che vive proprio di fianco a Kyriat Arba: a destra della casa si trova un insediamento (uno dei più grandi della West Bank, popolato da coloni particolarmente aggressivi), e a sinistra una torretta di controllo militare. In mezzo la casa dei Dana, sola, circondata.

Qui vive una famiglia che ha scelto di non andarsene. La loro è una storia triste, simile a quella di tanti altri abitanti della città vecchia di Hebron. I coloni hanno cominciato ad occupare quella che era una terra palestinese e poi sequestrata per scopi militari. Ora l’insediamento continua ad allargarsi e crescono le pressioni dei coloni sugli abitanti.

A questa famiglia i coloni avevano offerto un assegno in bianco per comprare la terra che Dio ha assegnato loro. Ma non tutti si lasciano comprare, e la famiglia Dana non ha accettato. E allora sono cominciate le minacce, presto seguite dai fatti. I bambini (una decina quelli che sono qui con me oggi, tra figli e cugini, dai 3 agli 11 anni) mi fanno vedere le foto dei coloni che tagliano gli ulivi di fronte a casa loro. Poi le case intorno a questa demolite, e ora le aggressioni. La signora Dana mi mostra un vetro del soggiorno perforato. Poi è il turno dei bambini che, quasi orgogliosi, mi fanno vedere le loro "ferite di guerra". Yazan, dieci anni, ha una cicatrice sulla fronte, causata da una pallottola di plastica. Altri mi fanno vedere le recenti ferite provocate da pietre lanciate da giovani coloni.

Al calare del sole tutti devono trovarsi all’interno della casa, relativamente al sicuro. Relativamente poiché spesso i coloni attaccano la casa con pietre e bastoni. La famiglia Dana si rifugia nelle stanze più protette e quando la situazione si fa preoccupante, chiama la polizia - che non interviene mai contro i coloni - e poi la Croce Rossa. Per andare a scuola i bambini devono percorrere una via nascosta, e senza zainetti o cartelle, altrimenti vengono fermati e le borse perquisite dai soldati.

La mamma di Yazen è contenta di vederci, non capita spesso che arrivino ospiti da queste parti. Se qualche zio o cugino prova ad avvicinarsi, il più delle volte viene fermato dai soldati o aggredito dai coloni. Ho deciso che andrò ancora a trovarli, per noi internazionali le cose sono più facili, e almeno quando noi siamo lì, siamo sicuri che non succede nulla alla famglia. Ma dobbiamo stare attenti a come ci comportiamo, altrimenti i soldati se la prenderanno con loro dopo che ce ne saremo andati.

Mi lascio alle spalle la casa, con i bambini che ancora mi salutano sorridenti, e comincio a camminare a fianco della strada dei coloni. La macchine con la targa gialla (israeliane) sfrecciano veloci, ma faccio in tempo a notare lo sguardo ostile delle persone al loro interno. E’ pieno di bandiere israeliane, qui intorno, e le case palestinesi sono ricoperte di scritte e stelle di David.

Stamattina noto dei movimenti sospetti nella zona vicina
al nostro ufficio. Parecchi uomini si muovono da una casa all’altra agitati e nervosi. Poi una processione accompagna un gruppo di anziani all’interno di un edificio vicino al nostro. Gli altri aspettano fuori: una riunione importante si sta svolgendo all’interno. Poco dopo, degli spari; salto sulla sedia e tutti ci precipitiamo alla finestra dopo aver abbassato le tapparelle: mentre tutti escono dalla casa in cui si stava tenendo l’incontro, alcuni giovani armati salgono su una macchina in tutta fretta e si dirigono verso la strada principale.

Si tratta di una questione tra famiglie. Qui - a Hebron in particolare, ma l’usanza si ritrova un po’ in tutta la Palestina – vige la legge tribale e tutti i problemi si risolvono attraverso il clan o la famiglia estesa. In questo caso si trattava di un problema di terra: pochi metri contesi, e un nipote uccide lo zio con nove pallottole nel collo. I due hanno cognomi diversi, le cose dunque vanno risolte attraverso le rispettive famiglie. Sono due famiglie importanti, quindi la lotta sarà dura. Stamattina sono già stati bruciati 2 negozi e qualche laboratorio artigianale appartenente alle rispettive casate. Ma normalmente, quando del sangue viene versato, occorre un altro morto per riparare il danno. Ora, ad esempio, stanno cercando un qualunque uomo appartenente alla famiglia rivale, non importa chi, basta che porti quel cognome. Sembra di stare nel medioevo.

Contro queste usanze nessuno fa niente: non la polizia palestinese, che c’è ma non è armata e non può fare nulla se non dirigere il traffico, non gli israeliani che al massimo colgono l’occasione per allargare il coprifuco. E dunque le persone colpite non possono che rivogersi alla famiglia per essere difese.

Questa notte probabilmente un uomo morirà, forse un ragazzo, forse un vecchio; nessuno ne parlerà, ma tutti conoscono già il suo cognome.