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QT n. 3, 8 febbraio 2003 Servizi

Nascere in valle: un diritto o un rischio?

Un’intervista al dott. Dino Pedrotti.

Il mondo della sanità nella periferia trentina non è capace di serenità. Ritornano forti le richieste di chiusura dei punti nascita negli ospedali di valle e di ridimensionamento drastico dei servizi offerti alla popolazione negli ospedali di periferia. Ci soffermiamo ad analizzare solo l’aspetto che riguarda i centri di neonatologia, anche perché durante l’estate scorsa la polemica è stata aspra e non è ancora assorbita, viste le imminenti sollecitazioni elettorali.

L’argomento si presta a facili cortocircuiti o a risposte parziali, in genere dettate da emotività. Ogni ambiente mette in evidenza il problema che assume priorità assoluta: le garanzie di tutela del nascituro e della madre. Ma le soluzioni proposte divergono, anzi, sono opposte. C’è chi risolve il problema con l’accentramento del servizio nelle grandi strutture, ritenute più preparate e dotate di efficienza maggiore perché operano su una casistica ampia. L’altra parte smentisce questa opinione grazie a statistiche che dimostrano come si nasca con minori incidenti nelle strutture di periferia.

Ne parliamo con il dott. Dino Pedrotti, pediatra, una persona che ha donato al Trentino decenni di impegno su questo campo e che ancora oggi è impegnato nei percorsi di riforma e attenzione alla qualità del nascere sul territorio.

Dott. Pedrotti, come possiamo discutere con serenità di un tema tanto controverso, che trova risposte opposte fra chi vive in periferia e chi deve avere anche attenzione alla qualità del servizio offerto e alla necessità di risparmiare risorse di personale e finanziarie? Come evitare la risposta emotiva?

"Le contraddizioni non risiedono solo nell’aspetto prioritario che lei ha accennato, il dovere di offrire le massime garanzie di sicurezza al nascituro. Vi è un secondo aspetto, le risorse. Più volte si richiama la necessità di risparmiare in sanità. La cultura ragionieristica di alcuni settori dell’Azienda Sanitaria risponderebbe con l’immediatezza del ridimensionamento degli ospedali periferici concentrando il più possibile su Rovereto e Trento. Ma i conti si potrebbero fare in modo più articolato. Ad esempio valutando il disagio che si provoca ai parenti, i viaggi impossibili che si impongono loro, i problemi di traffico e inquinamento delle nostre città.

Quanto al problema del personale, c’è chi afferma che nell’attuale carenza di infermieri si può trasferire parte del personale "risparmiato" nelle valli nei grandi centri. Chi conosce la realtà operativa dei centri di periferia sa perfettamente che anche questo aspetto non regge. Chiudendo i centri nascita della periferia i risparmi sul personale qualificato sarebbero nulli o irrisori. Si pensi che a Borgo l’assistenza ostetrica è svolta dai chirurghi.

Il terzo aspetto è elettorale: in provincia c’è la necessità di razionalizzare l’insieme della sanità, ma questa esigenza si scontra con gli interessi elettorali locali, con la necessità di mantenere un’immagine garantendo un ospedale che offra più servizi e quindi prestigio".

Ma questi tagli non sono imposti da un decreto
ministeriale dell’aprile 2000, che poneva come obiettivo minimo per il mantenimento di un centro con 500 nascite all’anno?

I PICCOLI PUNTI-NASCITA DELLE COMUNITA' DI VALLE

"Certo, è un obiettivo che il decreto ministeriale aveva raccolto seguendo le indicazioni di norme europee. Seguendo tali parametri in Trentino sarebbero rimasti aperti solo i centri nascita di Trento, Rovereto, Arco e forse Cles. Tione, Cavalese e Borgo avrebbero dovuto essere chiusi. Le proteste delle popolazioni locali e di molti amministratori hanno impedito questo esito e che le norme fin dal novembre 2001 venissero recepite dal Piano sanitario provinciale. La risposta istituzionale sarebbe stata troppo dura, inaccettabile. Si è quindi abbassato il limite a 300 nati e così sarebbe rimasto destinato alla chiusura solo Borgo Valsugana. Un’ulteriore diffusa protesta della Valsugana ha poi suggerito alla Provincia di abbassare ancora il limite a 200 nascite, ma la risposta a questi aspetti numerici verrà probabilmente rinviata a dopo le elezioni di novembre, nel 2004".

In Provincia di Trento ci si confronta sul numero dei parti: in altre realtà montane simili alla nostra come ci si comporta?

"E’ interessante gettare lo sguardo fuori dai nostri confini. In ogni provincia sembra si sia avuto presente un criterio base per decidere: la distanza dei paesi dagli ospedali. Laddove la distanza di percorrenza in auto superava l’ora i punti nascita sono stati mantenuti.

In Lombardia e Veneto, governati dal centrodestra, si mantengono i presidi di Sondalo in Valtellina e Asiago, nonostante si contino 200 nascite l’anno. Anche dove governa il centrosinistra, a Bolzano e a Belluno, il criterio base è identico. In Alto Adige vengono mantenuti aperti tutti i centri più distanti: San Candido e Silandro (poco sopra le 300 nascite annuali) e Vipiteno (poco meno di 500). In provincia di Belluno si è chiuso l’ospedale di Agordo perché vicino a Belluno, 30 minuti di auto. Ma si tiene aperto il centro di Pieve di Cadore che conta 230 nascite l’anno e che serve l’Ampezzano, il Comelico e il Centro Cadore".

L'argomento dei rischi per madri e nascituri non merita una riflessione approfondita?

"Lo abbiamo detto: è l’argomento principale della discussione. E qui parlano i numeri.

TASSO DI MORTALITA'

Il servizio di neonatologia del Trentino, diffuso in modo articolato nelle vallate, presenta l’eccellenza, la migliore performance mondiale, migliore di paesi scandinavi come Svezia e Finlandia. Ma le statistiche non dicono solo questo. Affermano che si nasce con maggiore sicurezza in alcuni ospedali della periferia - Cavalese e Tione ad esempio - che non a Trento o Rovereto. I numeri vanno sempre letti con molta attenzione, ma descrivono comunque la realtà. Se c’è una fragilità sul nostro territorio, questa la troviamo invece a Borgo Valsugana. Forse lì prevale una cultura chirurgica, visto che il 35% di nascite avviene col taglio cesareo; è un dato che deve far riflettere, che dimostra la presenza di qualche debolezza. Anche all’ospedale Santa Chiara, comunque, la percentuale dei tagli cesarei è elevata, 30%, mentre la media provinciale è buona, si attesta sul 22%".

Si potrebbe costruire una prospettiva di razionalizzazione dei servizi delle nostre strutture nel medio periodo?

"Certo, e l’analisi potrebbe portare a qualche sorpresa. Il centro più esposto è Borgo Valsugana, ma chiudendo il punto nascita di questo ospedale non risparmieremo alcuna risorsa in personale, in quanto già ora il servizio non è autonomo e fa riferimento all’équipe di chirurgia.

Invece non dimentichiamo che la Provincia ha investito notevoli risorse economiche nel potenziamento della viabilità. Fra pochi anni sarà terminata la circonvallazione di Mori, e l’Ospedale di Arco, pur presentando 500 nascite annuali, si trova a soli 16 chilometri da Rovereto. Osservando i comportamenti assunti dalle province con noi confinanti, non dovrebbe quindi prevalere la logica dei numeri delle nascite, ma quella della distanza dagli ospedali più attrezzati. I presidi di Tione, Cavalese e Cles andrebbero quindi mantenuti attivi".

Potremo quindi concludere affermando che nascere nelle vallate è un diritto?

"Non c’è dubbio, vista la qualità del servizio offerto nella nostra Provincia. I genitori hanno il diritto di poter assistere con serenità, senza gli stress dei lunghi viaggi, la madre e il neonato.

Valutiamo anche un altro aspetto non trascurabile. Oggi a Trento, sommando i nati del Santa Chiara a quelli del San Camillo, contiamo 2.400 parti all’anno; chiudendo gli ospedali periferici, ricadrebbero su queste strutture altre 900 nascite. Non ci sono più spazi disponibili per accogliere simili numeri, oppure ci vorrebbe una struttura talmente grande che troverebbe difficoltà e irrazionalità nella gestione.

Nelle valli invece bisognerebbe investire per rafforzare il rapporto fra ospedali e strutture consultoriali; intensificare l’impegno nella formazione del personale; mantenere attiva ovunque una guardia 24 ore su 24; e dare risposta all’emergenza degli anestesisti. Se riusciamo a rafforzare queste debolezze, possiamo dire con certezza, e con tranquillità, che nelle valli va mantenuto il diritto alla nascita e che la nostra Provincia è in grado di offrire la risposta primaria: ridurre al minimo ogni possibile rischio per i bambini e le madri".