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La lezione di Genova

Gianni Zampieri

AGenova, oltre un anno fa, fui testimone, insieme a centinaia di migliaia di cittadini, del più grave insulto e attacco alla democrazia della storia della Repubblica, attuato non solo con la complicità ma per mezzo di organi istituzionali e forze dello Stato.

Non che precedentemente fatti simili non fossero accaduti, basti pensare alle tante trame e stragi di Stato, che come tali rimarranno nella nostra memoria anche in mancanza di giuste ed esaurienti sentenze giudiziarie. Davamo però forse tutti e forse ingenuamente per certo che la nostra democrazia avesse finalmente superato l’età infantile, tanto che ci si era spinti a riconoscere pieno titolo di democraticità anche ai rappresentanti di coloro che dopo la caduta del fascismo avevano continuato a mantenere atteggiamenti, tanto illegali quanto impuniti, di condiscendente nostalgia e perfino di esplicita apologia per quel nefasto regime.

A Genova, l’anno scorso, l’attacco e lo spregio alla democrazia venne attuato mentre l’attuale vicepresidente del Consiglio dei Ministri, primo rappresentante di quella parte politica, si trovava, certamente non per caso, nelle stanze della centrale operativa delle forze dell’ordine.

Non abbiamo bisogno di auspicate ma improbabili sentenze giudiziarie per sapere la verità.

La morte di Carlo Giuliani, che si sarebbe potuta attribuire ad un errore o ad un "eccesso di difesa", da parte di una persona impreparata al compito che irresponsabilmente le era stato affidato, alla luce dei fatti successivi, dall’inconsulta violenza scatenata dalle forze dell’ordine contro il corteo dei manifestanti alla inqualificabile operazione notturna nei locali della scuola Diaz fino alle barbarità compiute nella caserma di Bolzaneto, ha assunto per noi cittadini e testimoni di quei fatti il valore e il simbolo di un momento storico: il momento in cui è necessario e non rinviabile dire basta. Probabilmente non lo dicemmo, o non in modo abbastanza forte e chiaro.

Quando più recentemente ho appreso degli arresti e delle denunce ordinati dalla Procura di Cosenza, la mia prima reazione è stata: questa è la fatidica goccia che fa traboccare il vaso, è veramente cominciata la seconda Resistenza.

Condivido e mi associo pienamente a quanto espresso nella lettera aperta sottoscritta il 18 novembre da Altreconomia, Nigrizia, Peacelink, Unimondo, Linus, Terre di mezzo e Mosaico di Pace.

Due settimane prima, arrivando mercoledì 6 novembre alla stazione di Firenze, ad una gentile cronista che chiedeva le motivazioni della mia partecipazione al Forum Sociale Europeo, dichiarai: sono qui per fare la Rivoluzione e non a parole, ma con le parole.

Confermo e sottoscrivo, con l’unica variazione che invece della Rivoluzione dovremo fare la Resistenza, o forse tutt’e due. Anche perché la prima l’ho già cominciata, almeno da quando ho sottoscritto il Patto fra i cittadini del mondo.

Spero di poter continuare ad andare in montagna solo per ritemprare il corpo e lo spirito.