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QT n. 17, 12 ottobre 2002 Servizi

Val Jumela: un nuovo, vecchio progetto

Qualche modesto aggiustamento, ma il progetto è lo stesso. Il mondo dell’ ambientalismo trentino torna alla mobilitazione.

Si sta concludendo presso gli uffici V.I.A. l’istruttoria che riguarda il progetto di collegamento sciistico Buffaure-Ciampac attraverso la Val Jumela. Dopo le vittorie delle associazioni ambientaliste presso il TAR di Trento e il Consiglio di Stato, dopo le sconsiderate e ridicole minacce degli amministratori di Fassa di passare con la provincia di Bolzano, la società funiviaria del Buffaure ha ritenuto di preparare un altro progetto, presentandolo come nuovo e privo di interventi ambientali sconsiderati e ribadendo l’utilità economica e sociale dell’iniziativa.

La Val Jumela oggi.

Le associazioni ambientaliste hanno ribattuto con delle corpose osservazioni che smascherano veli di inusitata ipocrisia e gli stretti legami mercantili instaurati fra politica (area Margherita-UAL) ed imprenditori del settore.

Nelle osservazioni le associazioni ricordano i passaggi più importanti di questa ormai lunghissima vicenda: la valutazione negativa espressa sul precedente progetto dagli uffici della V.I.A., il pesante intervento della giunta Dellai che ribaltava politicamente il giudizio dei tecnici e la successiva sconfessione dell’operato della giunta provinciale da parte degli organi giudiziari, gli intervenuti nuovi apporti di studi scientifici, economici e sociali che rafforzavano di fatto ogni giudizio negativo sull’utilità di questo collegamento.

Un nuovo progetto, secondo le associazioni, avrebbe motivo di essere solamente se venisse modificato sostanzialmente il precedente, se vi si leggesse qualche credibile motivazione urbanistica o economica, se la situazione sociale dell’area risultasse effettivamente mutata.

E’ invece evidente come anche questo progetto, come il precedente, contraddica norme urbanistiche e paesaggistiche della Provincia, accordi internazionali quali la Convenzione delle Alpi, le direttive Habitat della Comunità europea, gli atti di indirizzo sulla sostenibilità e sul turismo della Provincia.

Accanto a questo quadro non va dimenticata la contrattazione politica preventiva che sostiene la realizzazione delle opere attraverso uno scambio di voti più volte ribadito e pubblicizzato dagli stessi committenti e da amministratori pubblici di valle.

Suesto nuovo progetto modifica solo aspetti marginali rispetto al precedente e, vista la morfologia del territorio, non poteva essere diversamente. Rimangono le due seggiovie e le due piste, gli sbancamenti e le stazioni di arrivo e partenza. Il progetto ignora totalmente le osservazioni scientifiche sostenute da quattro anni di dibattito dalla SAT e dalle associazioni; in pratica si tace dell’esistenza di una pregiatissima torbiera d’alta quota, della presenza di specie vegetali endemiche, si sottostima il valore della fauna selvatica rara e a rischio di estinzione, come pernici bianche e galli forcelli.

In pratica ci si limita a diminuire i movimenti terra del 20% (rimangono presenti oltre 80.000 metri cubi di scavo), si riduce l’impatto visivo del murazzo antivalanga, si sposta la pista che scende da Sella Bruneck tutta nella sinistra orografica del torrente.

Ma nella sostanza, come ammesso in più parti delle relazioni allegate al progetto, qualora fossero realizzati gli impianti e le piste, le modifiche all’ambiente risulteranno irreversibili.

Si pensi che Col Valvacin verrebbe abbassato in cresta di 7-8 metri per far posto alla stazione di arrivo della seggiovia, i versanti verrebbero solcati da caterpillar che modificherebbero le quote del terreno fino a venti metri, gli sbancamenti necessari a far posto alle stazioni a valle risultano enormi, si ammette l’impossibilità di recuperare la situazione della vegetazione oggi esistente causa la fragilità e la pendenza dei versanti, l’aridità dei terreni, le alte quote dove le infrastrutture sarebbero inserite.

Ma anche rispetto alle analisi socio-economiche il progetto lascia inalterate tutte le considerazioni negative sostenute dalla sensibilità ambientalista.

La storia degli impianti del Buffaure è esemplare: una situazione fallimentare sul finire degli anni ’80 porta alla chiusura degli impianti. L’imposizione dell’innevamento artificiale, dell’illuminazione notturna e dell’allargamento della pista di Alloch sopra Pozza di Fassa porta all’illusione di un momentaneo rilancio, ma si deve subito intervenire con il potenziamento dell’area sciabile verso monte, fino alla forzatura del 1997, quando l’allora giunta provinciale permise alla società di non affrontare lo studio di V.I.A. e di portare gli impianti fino a Col Valvacin, affermando esplicitamente in delibera che comunque quel passo rappresentava la conclusione ultima di ogni potenziamento sciistico dell’area. Di Val Jumela non si sarebbe più dovuto parlare.

Nonostante questi potenziamenti e gli ingenti sostegni finanziari con fondi della Provincia e del Comune, la società anno dopo anno accentua le perdite (600.000 euro il deficit dell’ultimo inverno) ed oggi ha il coraggio di sostenere che due piccoli impianti riuscirebbero a risolvere problemi economici ormai strutturali all’area oggetto di intervento.

Nei giudizi riguardanti l’analisi economica le associazioni sono severissime. La "mediocrissima dotazione di valutazioni socio-economiche" del 1998 non viene scalfita.

Nessun passaggio del documento è dedicato all’analisi e all’integrazione delle risorse, o alle interrelazioni settoriali, o alla partecipazione democratica, o alla valutazione di una possibile ricaduta economica dell’intervento a reale vantaggio della comunità. Si preferisce non ricordare come in un referendum ben il 40% della popolazione dell’ASUC di Pera abbia votato No agli impianti. Il documento quindi non dimostra alcuna sostenibilità del progetto.

Vi è presente una sola attenzione: dimostrare che turisticamente Val Jumela non vale nulla.

Secondo gli impiantisti i punti di forza del progetto sarebbero questi:

- il collegamento toglierebbe dalla statale un traffico di ben 200 auto al giorno;

- si porterebbe un nuovo equilibrio nella ridistribuzione delle quote Superski (ridicolo);

- si garantirebbe un aumento di due giorni della permanenza dell’ospite in valle.

Solo opinioni quindi, ma sulla base di queste banalità i progettisti prevederebbero una ricaduta annua sull’area del centro-Fassa di un milione e duecentomila euro.

E’ evidente come i tecnici provinciali si troveranno a dover ricopiare quanto già sottolineato nelle osservazioni critiche al precedente progetto, anche perché nessuna risposta scientifica viene fornita rispetto agli elementi di debolezza presenti fin dal 1998: valutazioni ambientali e paesaggistiche, inquadramento geologico, rischio valanghivo, geologico e idrologico, aspetti vegetazionali e faunistici, il rumore portato fin nelle viscere della montagna scivolano leggeri ed inconsistenti e privi di approfondimenti lungo oltre 300 pagine di relazione. Un progetto povero quindi, offensivo verso la collettività trentina che durante questi anni è stata capace di produrre nuovi studi di alta valenza scientifica (la SAT, il Museo di Rovereto, il Comitato per lo sviluppo sostenibile).

Siamo quindi in presenza di un progetto clone del precedente, con carenze di studio incredibili, privo di ogni nuovo contenuto anche in materia economica, incapace di cancellare i tanti dubbi verso una possibile vitalità economica e culturale dell’area.

Il Comitato per lo sviluppo sostenibile, in occasione dell’Anno Internazionale della Montagna, aveva presentato in Provincia la proposta di istituire la "Riserva naturale delle valli Jumela e Greppa". Anzi, come provocazione, già il 25 maggio 2001 con una conferenza stampa e a nome di 8.000 finanziatori del comitato, aveva istituito di fatto la Riserva: era quella una proposta più vantaggiosa non solo perché tutelava l’ambiente, ma anche perché costruiva ricadute economiche e culturali diffuse nella società del centro-Fassa e si basava interamente sul catalogo dei valori e dei principi a sostegno delle aree montane elaborato dalla Unione Europea.

Il progetto non è nemmeno stato sfiorato dall’analisi degli impiantisti, ma a quanto ci risulta è stato messo in soffitta anche dalla giunta provinciale, in quanto politicamente incapace di proporre al nostro territorio modelli di sviluppo diversi dalla ormai decotta sommatoria impianti di sci- nuova viabilità.

Intanto dalla Svizzera e dall’Austria ci giungono analisi sempre più allarmanti sul futuro dello sport dello sci in alta montagna: aree storiche stanno soffrendo deficit spaventosi, per pagare debiti accumulati in questi ultimi cinque anni alcuni comuni stanno svendendo il loro patrimonio immobiliare, si stanno riducendo le aree sciistiche, ci si accorge che nemmeno l’innevamento artificiale riesce più a garantire condizioni certe di sciabilità della stagione a causa dei capricci sempre più improvvisi dei venti e delle precipitazioni. Solo in Trentino si insiste e si difende ancora una variante al Piano Urbanistico Provinciale che ha un solo scopo: garantire il potenziamento di aree sciabili, fin nelle zone più fragili dei nostri parchi: i laghi di Colbricon (Paneveggio-Pale di San Martino) ed in Val Brenta (Adamello-Brenta).