Un entusiasmante Settecento
Il Balthazar Neumann Ensemble (canto, musiche, danza su repertorio settecentesco): spettacolo non facile eppure pienamente riuscito.
Il gruppo di musicisti sul palco è numeroso. Il primo impatto col Balthazar Neumann Ensemble è molto positivo. Tanti musicisti affiatati, la qualità del suono e la sintonia, palpabile fra di loro, rendono le note fluide e piacevoli. L’impasto sonoro fra violini, viole e violoncelli a contrasto con gli strumenti d’epoca non causa dissonanze né si trasforma in una lotta per il primato, ma piuttosto in una scanzonata passeggiata su diversi pentagrammi.
Durante il brano introduttivo (la Sonata in Fa maggiore di Antonio Bertali) l’entrata di una donna, nerovestita e con in mano uno sgabello, carica di attesa gli spettatori. Non appare subito evidente di chi si tratti, finché compare un secondo personaggio: una donna vestita di bianco con un corpetto aderente, pantaloni al ginocchio e casacca. Dalla giacca spunta una falce di luna e lei canta "Quando voglio", aria di Cleopatra nel "Giulio Cesare in Egitto" di Andrea Sartorio. Allora il primo personaggio inizia a danzare, muovendosi nello striminzito palco, fra gli strumenti, come un’incarnazione della melodia. Non è ancora terminato il brano che un terzo "attore" entra in scena; stavolta è un’eloquente maschera del sole, vestita di colori che richiamano i roventi raggi estivi.
Con una punta di stupore il pubblico sente quest’uomo intonare, con voce tutt’altro che mascolina, "Delizie, contenti" dal "Giasone" di Francesco Cavalli. Il controtenore Denis Lakey è dotato ed espressivo, non arriva con affanno sulle ultime note di una tirata, ed anzi pare divertirsi a infiorettare tutte le note tenute con gorgheggi virtuosistici.
I tre personaggi hanno per tutto lo spettacolo alternato assoli, duetti e balletti. Era un gioco di acrobazia il destreggiarsi dei tre in figure aggraziate in uno spazio ridotto. La coreografia ha in più di una occasione fatto brillare la compostezza della ballerina Beate Vollack, spesso impegnata in evoluzioni lentissime, che richiedevano un equilibrio straordinario. Attraverso le opere di Legrenzi, Locke, Castello e Rossi la serata è volata.
Il pezzo più riuscito, sia per la grazia della composizione, che per la cura della coreografia, è stata la Sinfonia della Gran Battaglia diUccellini, mentre i cantanti sono risultati particolarmente bravi nel duetto "Sì ch’è vero mia speme" da "L’Orfeo" di Rossi, non a caso il brano ripetuto nel bis di fine serata.
Non era uno spettacolo facile. Il repertorio settecentesco non attira un vasto pubblico e può sembrare noioso, ma, soprattutto nel caso di questo concerto a regnare è stata la scoperta entusiasmante di un gusto differente. Il pubblico ha risposto applaudendo a lungo e con calore. Peccato che la sala della Filarmonica ostacoli le soluzioni fantasiose: impossibili i giochi di luce previsti, e i musicisti davano l’impressione di stare piuttosto stretti.