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QT n. 22, 19 dicembre 1998 Servizi

Cultura cittadina in alta quota

La montagna invernale: un grande mercato, una cultura omologa alla città. Concerti, traffico, rumori, neve artificiale: poco o nulla rimane naturale.

Il recente concerto di Antonello Venditti a Pian de Corones e l'allarme lanciato dal Cipra sulla diffusione dell'innevamento artificiale nelle Alpi hanno riportato l'attenzione sul tema della tutela dell'ambiente naturale in alta quota. Purtroppo il lettore trentino non ha potuto seguire la complessità del confronto che gli ambientalisti hanno sollevato sul tema dei concerti in quota prendendo spunto dall'appuntamento di Venditti e Maffay, in quanto le redazioni dei due quotidiani trentini hanno preferito limitare l'argomento ai due fogli altoatesini: L'Adige ha così delegato il tutto al Mattino e l'Alto Adige ai fogli usciti in provincia di Bolzano. In Trentino abbiamo solo potuto leggere l'avvio della polemica e la cronaca finale dell'appuntamento musicale.

La scelta non è stata delle più felici, in quanto il tema non si chiude come vogliono far apparire gli organizzatori della due giorni musicale in Val Badia ad un solo concerto che si tiene ogni due anni in aree già fortemente disturbate. Il tema è complesso e, come ben evidenzia la lettera aperta che, tramite Carlo Alberto Pinelli, Mountain Wilderness ha inviato al cantautore Antonello Venditti, ci scontriamo con motivazioni etiche, filosofiche, con il rispetto delle tradizioni della cultura della montagna. Il problema non si riduce ad una settimana di voli di elicotteri, gatti della neve che preparano l'arena in quota e ai due giorni di musica sparata ad altissimi decibel. Partendo da questi grandi appuntamenti (Zucchero, i Los Locos e ora a Venditti), si è innescata una moda perversa. Lungo gran parte delle seggiovie siamo costretti ad ascoltare sequenze interminabili di canzoni amplificate al massimo, alla partenza dei grandi impianti troviamo band di musicisti a volte improvvisati, altre volte decenti, che comunque diffondono musica verso le vette, dentro i boschi.

Questi grandi personaggi in pratica fanno da base di partenza, da esempio per un proliferare di sottoiniziative, di mode che si vanno diffondendo ovunque. E' stato sintomatico vedere Venditti sul palco, infagottato e infreddolito, incapace di scaldarsi anche con l'ausilio di brulé e grappe, che calzava scarpe leggere, era il classico pesce fuor d'acqua, un momento di cultura, un momento ricreativo, un momento d'arte di un grande personaggio imposto in una situazione sbagliata. E' quindi preoccupante vedere ripetersi questi grandi appuntamenti musicali, come è preoccupante, d'estate, vedere addirittura i parchi organizzare concerti di altissima qualità - vedi Uto Ughi a Paneveggio - e portare tremila persone dentro le aree più delicate di questi ambienti naturali.

Amministratori pubblici, direttori di parchi e di aziende di promozione turistica, (in Trentino sono enti praticamente assimilabili alle funzioni svolte), imprenditori privati, stanno così cancellando, giorno dopo giorno, la specificità, l'unicità della cultura delle genti di montagna. Siamo al paradosso: quando gli ambientalisti intervengono contro queste iniziative, o contro il proliferare delle ferrate, o chiedono che i parchi siano finalizzati nella loro gestione alla conservazione della natura, vengono ovunque accusati di imporre in montagna, nelle valli, la cultura ed i desideri degli abitanti delle città, abitanti che non hanno saputo conservare i loro ambienti e che ora si rivolgono alle periferie per chiedere natura integra e selvaggia.

E' vero invece il contrario: l'azione di svendita della cultura alpina viene incentivata, giorno dopo giorno, dagli amministratori delle vallate alpine o dei parchi: questi non si preoccupano minimamente di conservare le loro tradizioni, di invitare gli ospiti al rispetto della cultura che trovano, a mantenere originalità. No, la tradizione diviene banale folklore, si usano costumi, qualche maschera, un ballo o la lingua ladina per offrire un gran pasto, possibilmente confuso, ad orari stabiliti ai turisti. In alta quota invece si portano parcheggi enormi; si aprono al traffico le strade forestali, quelle che arrivano alle malghe, si permette l'eliski, si organizzano concerti rumorosi: in pratica si trasportano usi e costumi della cultura cittadina in aree non idonee a sopportare simili iniziative, si costruisce omologazione culturale, si cancella il valore della diversità.

Queste sono le motivazioni più importanti che hanno spinto gli ambientalisti di Italia Nostra, il Cai di Brunico, i Verdi altoatesini e Mountain Wilderness ad opporsi a questo ed in modo ancora più forte, ai prossimi concerti in quota. La lettera di Pinelli a Venditti, che sulla stampa ha trovato solo timida e parziale ospitalità ed in quella nazionale ha ottenuto attenzione solo dall'Avvenire, ci permette poi di riflettere su motivazioni etiche e comportamentali alle quali Venditti non è certamente riuscito a rispondere, anche se dalle sue interviste ricaviamo una certa sensibilità, mentre Zucchero ci aveva trasmesso, oltre a devastanti decibel, messaggi di arroganza e di pura miseria culturale.

Contemporaneamente a questa polemica il Cipra ha il fronte dell'innevamento artificiale, e questo argomento ha fatto breccia nella stampa nazionale in quanto la preoccupazione per gli effetti devastanti dell'effetto serra sull'economia sono ormai evidenti a tutti.

Si è puntata l'attenzione più che altro sugli additivi. Agli ambientalisti si risponde che in regione non si fa uso di simili prodotti, il che non è vero. E' invece difficile scoprire chi ne fa uso, in quanto i sacchi che vengono lasciati alla vista dei passanti, i sali di fosfati a base di potassio, vengono gettati in serata nelle grandi vasche di accumulo e le autorità pubbliche delle due province non si sono mai preoccupate di accertare se la neve prodotta contenga o meno questi additivi. Ma i gravi rischi della diffusione dell'innevamento artificiale non sono solo collegabili agli additivi: ve ne sono di molto più gravi.

Cominciamo dalla diffusione delle infrastrutture. Ormai l'80% delle piste di sci sono dotate di impianti di innevamento, che comportano pesanti escavazioni del terreno fino a quote molto elevate, ben sopra i 2000 metri, in alcuni casi fino a 2500 e oltre. Con tali lavori a questa quota si è impedito per sempre il ricostruirsi della vegetazione autoctona.

E ancora: dopo pochissimi anni di funzionamento ci si accorge ovunque che l'impianto è insufficiente, o che i pozzi si sono esauriti. Ecco dunque le società richiedere ulteriori concessioni di acque da pozzo sotterranei o da ruscelli d'alta quota senza dover sottostare a procedure di VIA, in quanto questi interventi, ritenuti minimali, non richiedono tale passaggio. Le autorizzazioni vengono sempre concesse, giacché l'economia turistica non può sottostare a vincoli di natura ambientale. Non ci si chiede cosa significa sottrarre ulteriore acqua a rigagnoli già sofferenti in periodo invernale causa le scarse precipitazioni, o cosa comporti, in una prospettiva temporale medio-lunga, svuotare i grandi bacini d'acqua, le riserve accumulatisi nel corso dei secoli, nel sottosuolo. Non ci si chiede cosa succeda all'interno di questi serbatoi naturali una volta privati di acqua, se si riempiono di sabbie e argille, se avvengono crolli, o se invece si ripristinano. Prima di dare una concessione infatti non si chiedono verifiche geologiche.

Ma innevamento artificiale significa anche avere i gatti della neve che escono dai tracciati delle piste, sradicano la cotica erbosa, cespugli, piantine, arbusti, per raccogliere ogni traccia di neve possibile e portarla in pista; significa rompere il paesaggio originario privando le adiacenze delle piste di sassi, delle ondulazioni dei versanti...

I servizi forestali provinciali cosa fanno? Generalmente il personale si preoccupa di sfruttare al meglio gli skipass in dotazione evitando, salvo rarissime eccezioni, di allargare l'attenzione al confine della pista.

Innevamento artificiale significa anche inquinamento da rumore: per notti intere, per cinque mesi all'anno, si fanno funzionare queste macchine che sparano neve ghiacciata con un rumore che varia da un minimo di 65 decibel per raggiungere anche i 75, gli 80. In tutte le aree dove è stato costruito un impianto simile è scomparsa la pernice bianca, tetranoide che già soffre problemi gravissimi in tutta l'area alpina e che sta rischiando l'estinzione. Si allontanano anche gli altri tetranoidi, gli ungulati, tutta la fauna selvatica, si impedisce a questi animali, in un periodo della loro vita estremamente delicato, di poter accedere ad aree di alimentazione importanti e a migrazioni innaturali.

Il più grave problema sollevato dall'innevamento artificiale è comunque quello riferito all'acqua, alle incertezze e alla mancanza di conoscenze che abbiamo sull'argomento, all'assenza, nella Provincia di Trento, di uno studio complessivo sulla situazione delle risorse idriche, alla sottovalutazione di una programmazione seria dell'uso equilibrato della risorsa più importante del futuro, non solo per noi abitanti della montagna, ma specialmente per le popolazioni e l'economia della pianura.

Come si vede, le riflessioni da affrontare su come stiamo gestendo il nostro sistema ambientale sono molte: purtroppo la stampa offre scarsa attenzione ad analisi simili. Gli ambientalisti riescono ad avere titoli solo quando intervengono con le fiamme ossidriche a demolire vie ferrate, oppure, come purtroppo accaduto in questi giorni, quando dei folli esaltati usano il ricatto del veleno per combattere una multinazionale giocando in modo ignobile con la vita delle persone.

Una stampa più attenta ai contenuti, che costruisca meno emotività e che alimenti invece le ragioni del dubbio e le riflessioni, offrirebbe un grande aiuto alle tante persone che hanno provato l'impegno nella tutela dell'ambiente e che oggi, rassegnate, si stanno rinchiudendo nel duro guscio della sconfitta.

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