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QT n. 20, 21 novembre 1998 Servizi

“Obbligarci ai valori dei genitori? Sarebbe medioevo”

Studenti e parità scolastica: i perché di un no convinto.

A discutere del tema di politica scolastica di questi giorni, sono venuti da noi quattro rappresentanti dell'Unione degli Studenti, oggi l'unica associazione studentesca operante a livello nazionale.

Perché siete contrari alla parità?

Alessandro: Non lo siamo solo noi, ma la Costituzione. Il fatto è che si parla più di soldi che di regole, dietro il pretesto del pluralismo educativo. Mentre invece nella scuola la pluralità delle opinioni è un dato di fatto, garantito proprio come finalità educativa di partenza. E non ha senso contrapporvi un sistema di più scuole all'interno delle quali non ci sarebbe il confronto. Il potere rivendicato ai genitori di scegliere i valori cui obbligare il figlio, ci sembra medioevale, con la visione per cui ogni figlio è subordinato al padre, deve seguirne il mestiere e le idee.

Insomma voi spostate l'accento dai padri ai figli.

Elisa: Certo: uno studente che a 14 anni viene mandato a studiare su un indirizzo molto chiuso, non può poi sviluppare senso critico, è un ridurne la cittadinanza.

C'è chi parla di sovietizzazione della scuola pubblica...

Elisa: Nella scuola nessuno lo avverte. La stragrande maggioranza non insegna portando una visione partitica.

Alessandro: E poi è una sciocchezza: gli insegnanti non sono scelti dai presidi (che oltretutto non sono di sinistra) ma vengono assunti per concorso, e quindi rispecchiano la varietà delle posizioni politiche e culturali.

Luca: Mentre invece nella scuola cattolica è programmaticamente il contrario: vengono scelti in base a opzioni ideologiche e ad esse devono adeguarsi.

Elisa: Quello che ci lascia sbigottiti, è questo disegno di sistema formativo segmentato, la scuola per manager cattolici, quella islamica, quella per operai, quella leghista: si andrebbe a una cristallizzazione della società. Perché quelle forze che parlano tanto di pluralismo, non si impegnano invece nel migliorarlo nella struttura statale, in cui c'è già, e può esservi sviluppato e rafforzato? Per esempio nella formazione dei docenti; nelle collaborazione con le realtà dei territori; nell'istruzione più adeguata all'oggi?

Rispetto a tutto questo, come si colloca l'autogestione?

Elisa: E' una battaglia ardua a livello politico, visto l'assetto del governo; ma è una battaglia giusta, da fare comunque.

Luca: Su questo tema ci aspettiamo una buona mobilitazione degli studenti.

Elisa: Poi è vero, c'è l'aspetto ormai rituale nelle autogestioni. Vorremmo che si capisse che quest'anno la piattaforma ci fa muovere con delle ragioni più forti, più concrete.

Come giudicate le scuole cattoliche trentine?

Elisa: Sono indubbiamente belle strutture, con buone dotazioni; e si respira un bel clima, l'inserimento dello studente è agevole.

Matteo: Il tutto è molto facilitato: gli studenti sono selezionati tra i benestanti. Basti guardare i dati sugli stranieri e handicappati nelle elementari: 2% nella pubblica, 0,5% nella privata. E ai livelli superiori il divario aumenta.

Elisa: Poi sono roccaforti, non si riescono a coinvolgere in manifestazioni, in dibattiti, sulla nuova maturità, sullo statuto degli studenti: a volantinare davanti al Sacro Cuore si viene investiti a male parole dagli stessi insegnanti.

Sono scuole più facili?

Elisa: Non parliamo delle private a fine di lucro, che hanno quella finalità. Comunque le cattoliche, pur scuole vere, hanno fama di essere più facili delle statali; e alcune - tipo il liceo classico - lo sono senz'altro.

E i condizionamenti ideologici?

Elisa: E' un discorso latente, implicito. Sono realtà armoniche, serene, ma filtrate, asettiche. Inoltre, se si sceglie una scuola cattolica, bisogna essere cattolici. Ho frequentato i Salesiani, dove un mio compagno si rifiutava di fare il segno della croce; alla fine ha dovuto cedere, per non venire sospeso.

Alessandro: Poi c'è il discorso degli studenti che portano disagi. Se facciamo proliferare le scuole belline, dove non ci sono momenti di disagio, succede che nella scuola pubblica si concentrano le situazioni difficili, e diventano scuole ghetto. Si emarginano i problemi, per creare gli ambienti protetti.

Elisa: E questo, rifiutare chi ha problemi, non mi sembra un discorso cristiano. Perché si tolgono soldi per gli insegnanti di sostegno, per darli alle private per creare gli ambienti protetti? Aveva ragione don Rattin, che poi però ogni giorno venne bastonato sulla stampa; è la chiusura della Chiesa, ma poi non ci si meravigli se i giovani se ne allontanano.