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QT n. 9, 2 maggio 1998 Servizi

Riservatezza o burocrazia?

La legge sulla privacy, in vigore da un anno, fa dell'Italia un paese moderno o ci costringe soltanto a inutili adempimenti burocratici?

Su un finto giornalino, di quelli che servono a veicolare pubblicità, c'è la scritta in piccolo: "Lei ha il diritto in qualsiasi momento e del tutto gratuitamente di consultare, far modificare o cancellare i Suoi dati, o semplicemente opporsi al loro utilizzo..."

La ditta alla quale hai spedito i punti-premio, allega al regalo un foglietto che le cose le spiega meglio, presentandoti anche un mini-modulo da completare col tuo nome e indirizzo in cui c'è scritto che ti opponi "al trattamento e/o comunicazione e/o diffusione dei miei dati personali, e ne chiedo l'immediata cancellazione".

Ma in entrambi, i casi alla busta e al francobollo devi pensarci tu, e allora, visto che questi dati, in fondo, si limitano al tuo indirizzo, di solito finisci per buttare via tutto, concedendo silenziosamente l'autorizzazione a riempirti la buca delle lettere di materiale pubblicitario.

Per andare oltre le piccole esperienze personali, ecco che su Internet troviamo traccia di molte incertezze di fronte a questa legge in vigore da un anno esatto.

L'Università di Padova non sa che fare: la legge sulla privacy le consente o no di "diffondere dati riguardanti il personale dipendente nell'annuario dell'università " e di "fornire i nominativi dei laureati ad imprenditori, associazioni di categoria e altri soggetti privati per selezioni e corsi di formazione ai fini di un loro successivo inserimento professionale"! E chiede lumi al Garante.

L'Ordine dei medici di Piacenza, invece, crede di aver capito: d'ora in avanti la richiesta e il ritiro di certificati di iscrizione all'Ordine stesso può esser fatta solo dall'interessato o tramite delega: ma in questo caso il richiedente deve presentare, oltre a un proprio documento, la fotocopia di un documento del medico che vuole il certificato.

Un altro avviso concerne l'esercizio della professione: i medici, per acquisire i dati dei pazienti necessari a curarli, devono avere il consenso scritto dell'interessato. "Dura lex sed lex" - è il commento che conclude il comunicato.

Lamentele più esplicite sono comparse nei giorni scorsi sui quotidiani locali a proposito di un ospedale, quello di Rovereto: sia i parroci che un gruppo di volontari, che da anni andavano a visitare rispettivamente i parrocchiani e gli abitanti del loro quartiere là ricoverati, ora sono in difficoltà: nei reparti non c'è più la lista degli ospiti, né il personale può dare informazioni, sicché queste persone si vedono costrette ad affacciarsi a tutte le stanze per vedere se c'è qualcuno che conoscono.

Da qui il dubbio: la difesa della riservatezza che questa legge si propone di tutelare, si sta forse traducendo, nella sua attuazione pratica, in un impiccio e in una ulteriore produzione di carte e di burocrazia? Insomma, il gioco vale la candela?

Chiediamo lumi in proposito al prof. Gregorio Arena, docente di Diritto Amministrativo a Economia, che anzitutto ci spiega in quale contesto è nata la legge: della necessità di regolamentare la materia si parlava da una decina d'anni, anche per mettersi al passo con gli altri paesi europei; ma ci si è decisi a legiferare solo in occasione del trattato di Schengen (quello che abolisce le frontiere fra gli stati europei e che dunque coinvolge anche il tema dell'immigrazione). Nella nuova situazione che si andava prospettando, le nostre banche-dati, senza una regolamentazione, potevano rappresentare l'anello debole del sistema e dunque occorreva una normativa.

"In ogni settore - ricorda Arena - l'assenza di regole tende a danneggiare i soggetti deboli. Al di là della necessità contingente (Schengen, appunto) che ha indotto il Parlamento a regolamentare la questione, occorreva intervenire. Basti citare il caso di chi non vuoi far sapere in giro di aver abortito o di aver contratto l'Aids: in Italia, prima di questa legge, esistevano sì una serie di segreti professionali, che però non garantivano pienamente il cittadino. Il medico, ad esempio, era vincolato, ma l'infermiere o l'impiegato dell'ospedale no. Oppure prendiamo in esame il settore bancario: si verificava il caso di persone alle quali veniva rifiutato un mutuo in base a informazioni inesatte, che gli interessati non sapevano essere in possesso della banca.

Ora invece hai il diritto di conoscere i dati in loro possesso che ti riguardano, e inoltre c'è un articolo, il 17, che prescrive come 'nessun atto o provvedimento giudiziario o amministrativo che implichi una valutazione del comportamento umano può essere fondato unicamente su un trattamento automatizzato di dati personali volto a definire il profilo o la personalità dell'interessato'"

Una legge, dunque, era necessaria: ma questa legge non è un po' soffocante e per certi versi inutile? Non si occupa un po' troppo di minuzie facendo perderei tempo a enti, aziende e cittadini?

"Questa legge si propone di disciplinare l'uso delle informazioni in una società dove le informazioni devono girare, perché lo Stato interviene continuamente nella vita del cittadino, e dunque nessuno può essere 'lasciato in pace'. Voglio dire che le zone da proteggere non sono poi molte: la riservatezza, in sostanza, riguarda soprattutto i 'dati sensibili ', quelli riguardanti la salute, la vita sessuale e le idee politico-religiose .

Le perplessità, le confusioni e l'idea che si tratti dell'ennesimo lacciuolo burocratico, dipendono da varie cause. Anzitutto il concetto di privacy è decisamente estraneo al costume italiano. A questo si aggiunge l'atteggiamento di una parte della pubblica amministrazione, che da un lato cerca di assumere questa normativa come alibi per ostacolare il cammino di trasparenza avviato con la legge 241 del '90 (quella che stabilisce che tutti gli atti della pubblica amministrazione - salvo rare eccezioni - sono a disposizione del cittadino, n.d.r.); e dall'altro preferisce non prendersi certe responsabilità, soprattutto in vista delle pesanti sanzioni previste dalla legge (fino a tre anni di reclusione, n.d.r.).

In nome del 'cerchiamo di evitare grane', succede allora, ad esempio, che alcune università rifiutino, in nome della privacy, di fornire gli elenchi dei laureati, il che è assurdo visto che le sedute di laurea sono pubbliche; o che mandino quesiti al Garante per sapere se possono trattare dei dati indispensabili per svolgere il loro ruolo istituzionale.

Ultima causa, ma non per importanza, dello scarso fascino di questa legge, il fatto che è effettivamente complessa, forse troppo complessa ".

In attesa che qualcuno in Parlamento pensi a renderla meno ostica e nella speranza che dopo un primo periodo di rodaggio la situazione migliori, forse sarebbe bene ovviare con un po' di buonsenso a certi problemi piccoli e grandi che la difesa della riservatezza di noi tutti sta creando. Prendiamo il caso, prima citato, delle difficoltà che incontra chi va a cercare qualcuno in ospedale. Un sacerdote, sul giornale, propone che siano gli stessi ricoverati a dire se intendono o meno conservare l'anonimato; mentre il prof. Arena, pur d'accordo con la disposizione di togliere di mezzo la lista dei malati, consentirebbe però ai visitatori di chiedere informazioni al personale sulla presenza o meno di una certa persona: "Proprio sul piano della riservatezza, non è forse peggio, per un ricoverato, vedere una sfilata di persone che si affacciano alla sua camera in cerca di qualcuno ? "

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