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QT n. 1, 10 gennaio 1998 Servizi

Il de profundis dei parchi trentini

A dieci anni dal varo della legge sui parchi, gli esempi e le ragioni di un fallimento.

"I parchi, quindi, dovrebbero costituire un modello di sviluppo innovativo capace di riprodursi anche al di fuori delle aree protette e non invece rimanere delle aree chiuse e semplicemente sottoposte a vincolo ".

Così si pronunciava solo tre mesi fa il ministro dell'ambiente Edo Ronchi nel corso dei lavori della prima assemblea nazionale delle aree protette; un piano di lavoro che il Trentino aveva anticipato di dieci anni con il varo della legge di gestione dei parchi (18 maggio 1988), che affidava alle comunità locali la responsabilità del governo di queste preziose entità naturalistiche e paesaggistiche, una scommessa che veniva raccolta con fiducia anche dagli ambientalisti.

L'auspicio di Ronchi nel Trentino è fallito, ma non perché il centralismo romano o della Provincia abbiano imposto vincoli, ma perché gli amministratori locali, giorno dopo giorno, hanno banalizzato le nostre realtà a parco, rendendo possibili, all'interno dei parchi, perfino dei comportamenti che all'esterno degli stessi si stentano ad attuare. Così i parchi trentini, invece di diventare modello di amministrazione corretta dell'intero territorio, stanno insegnando a speculatori e a poche lobby come snellire le pratiche che comporteranno scempi territoriali o interventi che peggioreranno l'antropizzazione del territorio.

Gli esempi? Nell'Adamello-Brenta non si è ancora adottato il piano parco, ma le varie amministrazioni comunali favoriscono la penetrazione delle auto nelle valli più delicate con asfaltature, costruzione di parcheggi, regolamenti che incentivano l'antropizzazione e stanno spingendo per la realizzazione di aree sciistiche economicamente ingestibili, oltre che ambientalmente insostenibili.

L'esempio più evidente di quanto diciamo, lo troviamo nel parco di Paneveggio-Pale di San Martino, quello che direzione e presidenza divulgano in tutta Italia come perfetto esempio di gestione, supportati in questo dalle grandi risorse finanziarie in dotazione, che vengono spese per supporti informativi su prestigiose riviste o con la partecipazione a convegni dove evitano con cura di avere presenti eventuali controparti.

In questo parco per la prima volta quest'anno le associazioni ambientaliste hanno votato contro! l'approvazione del programmai annuale di gestione del prossimo anno. E' stato, come dichiarato, uni voto politico di sfiducia verso lai giunta del parco, incapace di programmare o pensare un solo progetto di ripristino ambientale, o i sostegno alla presenza di specie I faunistiche delicate, e di tutela del | territorio.

Quest'anno era realistico ed ovvio attendersi almeno minimi interventi in questi settori, essendo il piano parco ormai definitivamente agibile come strumento di programmazione ed essendo realizzati quasi tutti gli interventi strutturali di potenziamento delle aree sciistiche. Il piano di programmazione prevede interventi di potenziamento delle infrastrutture, centri visitatori, strade forestali, piazze ed arredi urbani, centraline idroelettriche e sentieristica: la ricerca scientifica è umiliata alla cifra residua di 85 milioni di spesa, per di più finalizzati in gran parte all'interesse venatorio, mentre non esiste una sola riga sugli interventi di monitoraggio ambientale.

Come ammesso da molti imprenditori, oggi è più facile realizzare strutture nel parco che non al suo esterno, i cacciatori possono percorrere le strade forestali di tipo B ed hanno tentato di penetrare anche in quelle adibite ad esclusivo servizio del bosco, cosa che avviene con più difficoltà nel rimanente territorio provinciale. In pratica non si è amministrato un parco, lo si è privato di ogni minimo contenuto teso alla reale tutela della natura, facendo attenzione però a mantenere alto il livello dell'illusione, dell'immagine da vendere per attirare turismo.

I parchi nel Trentino sono falliti anche sul piano della democrazia ed ancora una volta quello di Paneveggio porta a riguardo esempi concreti. Nella discussione sul regolamento di viabilità alcuni comuni che avevano espresso parere contrario avevano deliberato la lettura integrale dei loro dispositivi di delibera: non è avvenuto.

Il parere del Comitato scientifico, ovviamente contrario a recepire l'apertura delle strade forestali ai cacciatori, non era disponibile a chi nella mattinata della votazione si era recato nella sede del parco per leggervi la documentazione. Il documento della Sat centrale, arrivato in mattinata e contrario anch'esso all'approvazione di simile argomento, non è stato letto e nemmeno il rappresentante della Sat nel parco si è sentito in dovere di affermare in modo esplicito le motivazioni del no della sua associazione. Mentre ogni richiesta del settore impiantistico o turistico viene accettato, come in ogni modo vengono aiutati i cacciatori, gli ambientalisti non vengono nemmeno messi in grado di proporre interventi. Infatti i programmi di gestione sono elaborati dalla direzione e dalla giunta e la discussione del Comitato di gestione risulta svuotata, priva di ogni possibilità di emendamento.

Nonostante tutto ciò, il presidente ha il coraggio di invocare poteri totali, di affermare che non può rischiare di portare il Primiero alla fame per accogliere le proposte degli ambientalisti, che questo è lo sviluppo necessario alla collettività che vi abita.

Oltre al fallimento programmatico, questi parchi segnano il fallimento del progetto di decentramento. I più delusi da questo fatto sono quegli ambientalisti che, sostenendo anche duri scontri dentro le loro associazioni, avevano creduto nella necessità di investire di responsabilità decisionale le periferie, avevano visto in questo passo un investimento culturale, una possibilità per i sindaci di assumere cultura e consapevolezza nella gestione dei tanti tesori che permettevano loro ricchezza e orgoglio. Erano convinti che nel medio termine si potesse superare la necessità dell'intervento di sollecitazione o di protesta dell'associazionismo e la stessa presenza istituzionale dei Verdi.

Tutto questo è fallito, grazie anche all'inconsistente presenza della giunta provinciale, che mai nel passato era riuscita a raggiungere livelli tanto alti di mediocrità culturale e amministrativa.

Mentre in Trentino la gestione del territorio vive sofferenze tanto pesanti e tutti veniamo umiliati dalla recente indagine delTouring, mentre gli impiantisti del Primiero invocano ancora piste, impianti più capaci, strade, squarci nei boschi verso Colbricon o Calaita, Gianni Marzola, presidente dello Skipass dolomitico, in una recente intervista sull'Alto Adige afferma: "Abbiamo migliorato gli impianti interpellando sempre gli ecologisti. Gli ecologisti hanno una funzione precisa e importante. Non si va nella direzione giusta in montagna se si fa la guerra agli ecologisti. Abbiamo la colpa di non aver coinvolto troppo spesso la sensibilità verso la natura nelle nostre scelte".

Così si parla a pochi chilometri da noi e con riferimento ad aree esterne ai parchi. Nel Trentino invece si continua a sbattere la porta in faccia alla sensibilità ambientalista e perfino dentro i parchi l'insofferenza alla loro presenza è materialmente visibile. In questa situazione, ci limitiamo a catturare gli sciatori del fine settimana, che hanno bisogno di autostrade e superstrade fin nel cuore delle nostre vallate e per muoversi vogliono motoslitte ed elicotteri, rendendo così impensabile nel breve periodo la possibilità di riconquistare il turista che porta cultura, confronto, che viene animato da curiosità e passione verso la montagna.

Almeno questo minimo obiettivo poteva vedere i nostri parchi protagonisti di progettualità attive, per rispondere anche agli appelli del 1988 di Walter Micheli o all'invito più recente di Edo Ronchi.

I fatti invece ci raccontano come questi parchi sarebbe forse più utile non averli, giacché sono solo delle banali realtà di governo territoriale sovracomunale che si sovrappongono alla fallimentare presenza dei comprensori e non hanno portato alcuna novità nella sensibilità ambientale e culturale del nostro territorio. Questo è avvenuto non perché gli ambientalisti abbiano dimostrato eccesso di rigidità: può anzi essere vero il contrario. Quanto è accaduto è solo dovuto all'incapacità amministrativa dei rappresentanti delle nostre periferie.