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QT n. 1, 10 gennaio 1998 Servizi

Dopo-terremoto: monumenti a rischio di falso?

Qualcuno vorrebbe "rifare" gli affreschi di Ciotto e di Cimabue andati distrutti nella basilica superiore di S. Francesco ad Assisi.

Valersi Daniele

La professione del restauratore nell'accezione comune è vista non solo come un lavoro toutcourt, ma una pratica a metà strada fra l'arte e l'alchimia, con una buona componente di mistero, di implicazioni a prima vista incomprensibili e di una scienza molto particolare, che fa di chi ha scelto questo ramo di attività una categoria del tutto a parte nel mondo del lavoro.

Quasi tutti i restauratori provengono da istituti privati, in quanto gli istituti statali preposti alla formazione in questo campo sono solo due: l'Istituto Centrale del Restauro di Roma e l'Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Ne consegue che il numero di restauratori con diploma riconosciuto dallo Stato rappresenta una porzione assolutamente esigua di quelli che effettivamente operano sul patrimonio artistico. Quest'anno i posti disponibili presso l'Istituto Centrale del Restauro erano 10, all'Opificio delle Pietre Dure sono stati ammessi in tutto 18 nuovi allievi: questo dato suona allarmante e da da pensare, soprattutto in un Paese che vanta il patrimonio storico e artistico riconosciuto come il più cospicuo di tutto il mondo.

Considerata appunto l'entità di tali risorse culturali, considerando anche il fatto che molte di esse sono a tutt'oggi sotto terra, per conseguenza logica l'Italia dovrebbe essere costellata di cantieri in continua attività, e questa prospettiva sarebbe tutt'altro che negativa: si tratta di un'attività pulita, non inquinante; offrirebbe prospettive di lavoro ad una delle categorie che maggiormente soffre il peso di una diffusa disoccupazione e, in un secondo tempo, favorirebbe un turismo rispettoso dei luoghi, tutt'altro che becero e distruttivo, di ridotto impatto ambientale.

L'opera d'arte è un bene altamente deperibile: nel tempo subisce costantemente aggressioni sia per cause naturali (trasformazione chimica degli elementi che la compongono, calamità naturali), sia a causa di incuria o vandalismi da parte dell'uomo. Le problematiche suscitate dal restauro di opere di grande valore sono nello stesso tempo di natura tecnica ed etica, in quanto l'ammissibilità di alcuni interventi è stata materia di disputa fino dai tempi del Vasari. Dopo i recenti, drammatici avvenimenti che hanno sconvolto l'Italia centrale, oltre alle calamità che hanno colpito le popolazioni si è dovuto affrontare il disastro della Basilica di S. Francesco, con il crollo di due sezioni: l'una opera di Cimabue, l'altra attribuita a Giotto giovane.

La clamorosa proposta di dipingere un falso sulle due vele ricostruite, avanzata dal coordinatore Antonio Paolucci e dal restauratore Bruno Zanardi, non ha precedenti nella storia del restauro d'arte: il rifacimento è sempre stato considerato un intervento distruttivo, lesivo dell'opera d'arte alla pari, se non di più, di un processo di deterioramento. La casistica degli interventi, è risaputo, è vasta e lascia sempre un margine ragionevole all'interpretazione delle norme: le integrazioni della patina sono ammissibili in quanto il restauro stesso si propone l'unità potenziale dell'opera d'arte. Rifare ex novo una parte consistente di un'opera esula però completamente dal campo del restauro, il cui primo assioma è che si restaura solo la materia dell'opera d'arte. Nel caso presente si tratterebbe di rifare completamente la vela di S. Matteo (sulla volta "degli evangelisti", di Cimabue) e la vela di S. Girolamo (sulla volta "dei dottori della Chiesa", attribuita a Giotto giovane): si è giunti a tanto presumibilmente in seguito allo shock provocato da tale perdita, di valore inestimabile (si sono recuperati solo dei frammenti, per cui il restauro propriamente detto è impossibile) e in seguito all'intervento massiccio dei mass media, che ha catalizzato l'attenzione principalmente su S. Francesco, mentre tra Umbria, Marche a alto Lazio sono circa venti i comuni il cui patrimonio storico e artistico ha subito danni rilevanti in seguito al sisma.

Sono molti gli aspetti inerenti ad un rifacimento così massiccio: il falso d'arte, un tempo soggetto solo di transazioni illegali, è ormai assurto alla dignità di opera d'arte, a condizione che sia dichiarato e collocato adeguatamente renderebbe necessaria, nel caso in esame, una collocazione ben separata dall'opera originale.

Una collocazione dei dipinti rifatti oggi a contatto (anzi: a completamento) dell'originale è un'operazione al limite del truffaldino nei confronti dei fruitori dell'opera, anche se corredata di apparato didascalico.

L'esplicita o implicita pretesa del rifacimento è sempre di abolire un lasso di tempo, sia che l'intervento ultimo in data, in cui consiste il rifacimento, voglia farsi assimilare al tempo medesimo in cui l'opera nacque, sia che invece voglia completamente rifondere nell'attualità del rifacimento anche il tempo precedente. Abbiamo allora due casi assolutamente opposti: mentre il primo caso, quello in cui l'ultimo intervento vuole essere retrodatato, rappresenta un falso storico e non può mai essere ammissibile, il secondo caso, quello in cui il rifacimento vuole assorbire e trasfondere senza residuo l'opera preesistente, sebbene non rientri nel campo del restauro, può essere perfettamente legittimo anche storicamente, perché è sempre testimonianza autentica del presente di un fare umano, e come tale monumento non dubbio di storia.

Le integrazioni pittoriche, quando sono ammesse, devono essere per principio riconoscibili e reversibili: è legittimo nutrire forti dubbi che l'operazione attualmente in corso possa rispettare tale principio; in ogni caso la percezione dell'opera sarebbe viziata dalla contiguità tra originale e falso.

Entra in gioco anche l'aspetto economico: le grosse operazioni di restauro sono quasi sempre ad alto costo, e la dipintura ex novo sarebbe una delle operazioni più onerose per i tempi che richiede. L'ente pubblico, nella qualità delle Soprintendenze territorialmente competenti, finora si è generalmente guardato dal finanziare ridipinture: l'orientamento è di conservare e valorizzare, piuttosto, gli originali. Sarebbe auspicabile che, in questa situazione, tale orientamento fosse mantenuto, per tutelare sia gli amanti dell'arte più sensibili e competenti che i diritti degli altri Comuni danneggiati dal sisma, i rappresentanti dei qua li hanno più volte espresso lamentele per il fatto che gli organi competenti si occupano solo di Assisi.

Le soluzioni tecniche possibili per guarire la pur grave ferita senza arrivare al falso storico sono ampiamente praticabili e accetta bili esteticamente; oragli interventi più urgenti e necessari, anche se meno gratificanti e di minor richiamo spettacolare, riguardano le al tre opere d'arte che, danneggiate ma non distrutte completamente, devono essere salvate da un ulteriore degrado.

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