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Nella Lilli Mascagni

Paola Bernardi per ANPI del Trentino Il coraggio di lottare per la liberta

Nasce a Villalvernia (Alessandria) il 18 settembre 1921, morirà a Trento il 27 febbraio 2009.

Nella è figlia di un ferroviere antifascista trasferito a Bolzano per una sorta di ammonizione politica; non si tratta certo di confino come lei stessa sottolinea, ma pur sempre di un “avvertimento”: a Genova, infatti, era sottoposto a continue angherie da parte dei fascisti. Nella si diploma all’istituto magistrale cittadino e in seguito si iscrive alla facoltà di Magistero a Torino.

Nei primi anni Quaranta conoscerà Andrea Mascagni amatissimo compagno “di viaggio” di tutta una vita, che al tempo era sottotenente del Genio Aeronautico di stanza a Roma. Nel 1943 la loro vita prende una svolta decisiva in cui Nella ha avuto sicuramente un ruolo importante, come racconta lo stesso Mascagni: “Mi era stata d’aiuto nel processo di maturazione antifascista. Mi accompagnerà per gran parte della lotta clandestina, sopportando carcere e campo di concentramento” (V. Calì e P. Bernardi, a cura di, Testimonianze…, p. 264).

Dopo l’8 settembre sia lei che Andrea sono sfollati a Predazzo, in val di Fiemme, con le rispettive famiglie, e insegnano al Centro scolastico di Cavalese, dove stabiliscono i primi contatti cospirativi con Mario Leoni e Ariele Marangoni. Nella si unisce alla Resistenza come staffetta partigiana delle formazioni che operano in val di Fiemme. Tiene i contatti anche con Trento, Bolzano e la Val di Non, testimone della creazione della formazione partigiana “Cesare Battisti”, con base in val Cadino, del suo destino travagliato e del successivo tentativo di mantenere l’attività cospirativa nonostante il rastrellamento del maggio 1944 che fece vacillare il CLN dell’intera valle.

Il suo lavoro di collegamento si intensifica mentre l’impegno al Centro scolastico di Cavalese le consente una maggiore libertà di movimento e giustifica in parte i numerosi contatti sul territorio. A fine luglio, di domenica, per meglio confondersi con i gitanti, Nella accompagna Matteo Brunetti (Bruno), radiotelegrafista paracadutato dagli inglesi nel Bellunese per installare una missione radio in Trentino – si tratta della missione Vital – i due partono da Trento per raggiungere Molveno, si trovano prima con Mascagni, poi con Enrico Pedrotti per installare la stazione in una grotta sulle pendici del Brenta.

A fine novembre, dopo un anno pesantissimo per la lotta clandestina che ha dovuto affrontare delazioni, arresti ed esecuzioni in tutta la provincia, viene catturato l’intero CLN della valle, salvo Marangoni che si era già allontanato dalla zona e Mascagni che riesce a fuggire e ad avvisare del pericolo i vertici bolzanini. Due giorni dopo sarà la volta di Nella e del professor Leoni, arrestati al Centro didattico di Cavalese dalla Gestapo, pesantemente interrogati e rinchiusi nel carcere di Trento; Leoni verrà trasferito al Lager di Bolzano, mentre Nella, dopo pesanti e ripetuti interrogatori da parte della Gestapo, verrà rilasciata poco prima di Natale.

Nella, rientrata a Predazzo, riprende con cautela l’attività clandestina ma il 5 febbraio del 1945, alle 4.30 di mattina, viene nuovamente arrestata. In casa trovano delle cartelle di prestito per la lotta di liberazione emesse dal Pci e una piccola stamperia. Si tratta di prove inequivocabili e lei, forse per la prima volta, viene sopraffatta dalla paura: “Lì mi sono disperata e ho avuto una paura folle, sembrava che il mondo mi crollasse addosso poi quando ho visto che mi hanno scosso un po’ troppo per il mio carattere, ho reagito” (Nella Lilli, intervista personale con di E. Renzetti e P. Bernardi. Trento 13.10.2005).

Nella viene portata al Lager di Bolzano dove viene interrogata, pestata e rinchiusa in una cella di rigore. Resterà per tutto il tempo fino alla Liberazione nel blocco celle, la prigione del campo, dove sono rinchiusi i politici e i pericolosi, in balia delle torture e delle folli sevizie di due giovanissimi criminali ucraini, Otto e Mischa, addetti ala vigilanza di quel blocco, che disponevano secondo il loro capriccio della vita dei detenuti. Nella viene incessantemente interrogata dal maggiore Shiffer e percossa fino alla lesione permanente del timpano, ma soprattutto è testimone involontaria – come sarà per tutti i prigionieri delle celle – delle indicibili sevizie, della feroce e insensata brutalità esercitata nei confronti dei detenuti di quel blocco. L’incubo delle torture a cui ha assistito la tormenterà per diversi anni. Nessuno dei detenuti, infatti, può esimersi da quell’orrore: bene lo descrive Enrico Pedrotti – anche lui prigioniero in quel settore del campo – in una lettera a Franca Turra: “Vi prego, fate molta attenzione. Siamo già in troppi a soffrire. Qui è l’inferno. Fame, angoscia, botte e disperazione. Nel Blocco celle si muore” (Ibid. p. 235).

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