Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 9, settembre 2024 Cover story

“Perfido”: arrivato ai pesci grossi, il Tribunale si ferma?

Giulio Carini, gestore dei rapporti mafia-autorità: archiviato. Bertuzzi, cavatore in contatto con i picchiatori: dimenticato. Il processo alla locale ‘ndranghetista riguarda solo i calabresi brutti, sporchi e cattivi.

Alla fine del novembre scorso la Procura chiedeva il rinvio a giudizio dei “colletti bianchi” che secondo l’accusa avevano supportato l’attività criminosa della cellula ‘ndranghetista cembrana (la cui esistenza è ormai stata certificata da una sentenza della Cassazione). Così, a fianco dei capi e dei picciotti della locale ‘ndranghetista, è richiesto il processo – per appartenenza o per concorso esterno ad associazione mafiosa – per insospettabili e per persone delle istituzioni: il sindaco di Frassilongo Bruno Groff, quello di Lona Lases Roberto Dalmonego, il senatore Mauro Ottobre, i carabinieri Nunzio Cipolla, Alfonso Amato, Roberto Dandrea e Luigi Sperinini.

Il pronunciamento del GIP sulla richiesta della pubblica accusa, ci sarà nell’udienza calendarizzata per il 17 ottobre.

A noi preme sottolineare tre aspetti. Il primo è la scrupolosa disanima dei comportamenti dei carabinieri della stazione di Albiano intervenuti la notte del brutale pestaggio dell’operaio Hu XuPai. I Carabinieri infatti non soccorrevano la vittima, anzi la arrestavano, la sottoponevano a un pericoloso trasporto in caserma e solo quando si rendevano conto di un suo possibile decesso chiamavano il 118 che provvedeva a un ricovero in codice rosso in ospedale. Contemporaneamente i militari omettevano di denunciare i picchiatori, rei - stabilirà poi una sentenza - di sequestro di persona e lesioni gravi. Tutto questo facevano - scrive la Procura - “al fine di agevolare l’attività dell’associazione criminosa operante in Lona Lases”.

Tralasciamo qui i tanti dettagli, dai verbali di servizio alle comunicazioni telefoniche, agli interrogatori degli stessi indagati, come pure altri episodi indicatori della subalternità della stazione CC di Albiano rispetto a una “primazia” in loco di Innocenzio Macheda, capo dell’associazione criminosa. Fatti di cui abbiamo ampiamente riferito in diversi articoli, e che qui portano la Pubblica accusa a chiedere le imputazioni per omissione di soccorso, omessa denuncia di reato, favoreggiamento personale, con l’aggravante di avere commesso tali reati per favorire un’associazione mafiosa, di cui il maresciallo Roberto Dandrea è accusato di essere concorrente esterno “incrementando sul territorio la percezione della posizione di ‘forza’ e di ‘potenza’ degli imprenditori calabresi e macedoni operanti in forma criminosa associata con metodo mafioso nell’estrazione e lavorazione del porfido, anche per la diffusa percezione della “protezione” loro accordata dai carabinieri locali”.

Giulio Carini

A noi pare una sintesi perfetta, a coronamento di un grande,, accurato lavoro investigativo.

C’è però un’omissione. Che non ci spieghiamo.

Il nominativo scomparso

Nella tarda serata di quel fatidico 2 dicembre 2014 in cui avviene il pestaggio, due utenze telefoniche ripetutamente si collegano con il cellulare di Mustafà Arafat, il capo della squadraccia di picchiatori. Una, accerta la Procura, è intestata alla ditta Anesi s.r.l. di Mario Giuseppe Nania, “uomo di mano” e prestanome di Giuseppe Battaglia, entrambi condannati in primo grado per appartenenza all’associazione mafiosa. La seconda - e qui più interessante - è intestata alla Avi Fontana di Franco Bertuzzi di Albiano. Da questo cellulare partono sms a Mustafà alle 18:45, alle 19:04 (il pestaggio inizia attorno alle 19) e tre volte alle 20:01 (a pestaggio terminato), cui fa seguito una chiamata di oltre un minuto.

Chi sta usando quel numero? E’ proprio lo stesso Franco Bertuzzi, come confermerà il maresciallo Dandrea, che agli inquirenti specificherà di essere stato contattato alle 20:00 circa dal titolare della Avi Fontana, che lo informava che Mustafà aveva fermato nel cantiere una persona responsabile di danneggiamenti. Dandrea mandava i due carabinieri ad ammanettare il malcapitato.

Insomma, Franco Bertuzzi sa tutto, prima, durante e dopo il pestaggio. Forse valeva la pena interrogarlo. Così aveva pensato la PM dottoressa Licia Scagliarini, che infatti prescriveva, come risulta da uno dei verbali d'indagine della PG: "Si delega (alla Polizia giudiziaria ndr) l'audizione di Bertuzzi Franco”.

Nessuno però eseguiva. Non ci risulta infatti che Franco Bertuzzi sia mai stato interrogato. L’inchiesta si è fermata ai calabresi, brutti, sporchi e cattivi, mentre sembra che i membri delle grandi famiglie di cavatori possano rimanere immuni da fastidi giudiziari.

Passo successivo: Bertuzzi è scomparso dagli atti.

Infatti nell’articolata richiesta di rinvio a giudizio di politici (di basso livello) e carabinieri, di cui abbiamo sopra tessuto le lodi, il nome di Franco Bertuzzi non c’è, quando invece dovrebbe esserci. Nel richiamare gli eventi di quella notte buia e tempestosa, in tutte le precedenti informative si scriveva: “Il comandante Dandrea Roberto ha specificato di essere stato contattato alle ore 20:00 circa del 2/12/2014 sul proprio telefonino dal titolare della ditta Avi Fontana tale Bertuzzi Franco il quale lo informava di essere stato chiamato da Mustafà Arafat poichè avevano fermato una persona in cantiere ritenuta responsabile dei danneggiamenti”. Ora invece si scrive: “Il Comandante Dandrea Roberto della Stazione di Albiano, a seguito di segnalazione fatta pervenire da Mustafà Arafat di aver sorpreso l’autore di danneggiamenti…”

Così, di Franco Bertuzzi, sicuramente implicato nella vicenda, ma mai indagato, si cancella anche il nome.

Giulio Carini e “l’assalto al Tribunale”

Franco Bertuzzi non è l’unico caso di personaggio di una certa rilevanza con cui le maglie della giustizia si sono fatte molto larghe. Vediamo il caso di Giulio Carini, forse l’indagato più importante di Perfido. “Partecipe dell’associazione, (mafiosa, n.d.r.) esercitava un ruolo di raccordo e collegamento con la Calabria e con le istituzioni politiche, economiche, amministrative nonché con la magistratura”. Organizzava le famose “cene di capra” (rituale ‘ndranghetista) cui, consapevoli o meno, partecipavano le massime autorità statali: tra di esse un vicequestore di P.S., un ex-prefetto, il generale a capo del Comando Militare Esercito “Trentino-Alto Adige”, un primario dell’ospedale Santa Chiara, e pure i vertici della magistratura trentina: il Presidente del Tribunale di Trento e un Pubblico Ministero, mentre il Presidente della Sezione Penale non ci risulta abbia partecipato, ma la moglie faceva fuoco e fiamme (“Mio marito è l’unico che ti può salvare” diceva a Carini) perché non erano stati invitati.

Dunque c’era grande attesa per il processo a Giulio Carini. Come ribadito dallo stesso Consiglio Superiore della Magistratura. Il quale, nell’atto con cui deliberava il trasferimento d’ufficio del Presidente del Tribunale dott. Guglielmo Avolio (“Magistrato oggettivamente squalificato”) giudicava il procedimento di cui parliamo come “di notevole e non comune rilievo”, in cui il Tribunale dovrà fornire il massimo delle garanzie di imparzialità e indipendenza.

Infatti c’era tutta una serie di domande cui era doveroso rispondere.

Come faceva un faccendiere di Arco ad attirare nella sua rete tutte queste personalità istituzionali? Perché costoro sentivano questa irresistibile attrazione verso le cene di capra? Escludendo, per non offendere l’intelligenza del lettore, i motivi gastronomici, cosa veniva a significare la frequentazione di quella comunità di altolocati? Si entrava forse in un giro al cui interno le carriere venivano facilitate? Con quali contropartite?

Domande, queste, estremamente inquietanti e ad oggi del tutto ipotetiche. Ma all’interrogativo di fondo – i motivi del convergere di tutte quelle autorità in serate gestite da un indagato per mafia – era proprio il processo che avrebbe dovuto rispondere.

Del resto anche il PM Davide Ognibene, nella sua requisitoria al filone principale di Perfido, ha dichiarato: “C’è stato un assalto al Tribunale”. D’accordo. E allora, a maggior ragione occorreva chiarire cosa era avvenuto.

Invece, niente di tutto questo. Il procedimento contro Giulio Carini è stato archiviato. Nel silenzio generale: qualcuno dei lettori ha letto qualcosa sui media? Le autorità giudiziarie, lo hanno comunicato?

Si è spenta la luce sui rapporti ‘ndrangheta-Tribunale

Rimediamo noi. Il fascicolo a carico di Carini Giulio è stato archiviato nel giugno 2023, a seguito di “impossibilità irreversibile di partecipare al processo”. A questo si è giunti in base alla documentazione presentata dal suo difensore, che ha esibito una certificazione medica dell’APSP di Brentonico (presso cui Carini è ricoverato), redatta al fine di far nominare un Amministratore di sostegno (nella persona del figlio) in quanto il nostro “è affetto da grave malattia irreversibile, a causa della quale non è in grado di provvedere alla propria persona”. Questa documentazione è poi alla base della richiesta di archiviazione. Accolta dal Tribunale.

Non vogliamo entrare nel merito di questo triste percorso riguardante una persona ammalata.

Ricordiamo però che nel processo “Perfido”, di invalidità se ne sono viste diverse. E sempre c’è stato un contro-accertamento della Procura attraverso una contro-perizia di parte. E’ ad esempio il caso della situazione del capo della locale ‘ndranghetista (come viene definito nelle sentenze finora emesse) Innocenzio Macheda, i cui difensori hanno presentato una perizia medica che ne attesta l’incapacità a seguire il processo in quanto affetto da morbo di Parkinson. La pubblica accusa ha chiesto, e il Tribunale disposto, una perizia per accertare la capacità di stare in giudizio in forza dell’art. 70 c.p.p. dei cui esiti si saprà a breve.

E con Carini? Abbiamo posto questo quesito al Tribunale, chiedendo in particolare “eventuali accertamenti disposti dal PM sullo stato di salute dell’indagato”. Il Procuratore Sandro Raimondi ha espresso parere contrario a questa nostra richiesta, rigettata anche dal giudice Enrico Borrelli “trattandosi di informazioni sensibili”.

La privacy, insomma.

Siamo tornati alla carica, chiedendo, “pur senza accedere ad ‘informazioni sensibili’, chiarimenti sull’iter procedurale che ha portato all’archiviazione, in particolare quali attività sono state svolte per verificare la documentazione presentata dalla Difesa di Giulio Carini e di poter avere copia degli eventuali provvedimenti che hanno disposto gli accertamenti in questione, per la parte non contenente ‘dati sensibili’”.

In buona sostanza: non interessa sapere nel dettaglio le condizioni di Carini, bensì se è stato svolto un accertamento peritale da parte del Tribunale, o se si è chiuso il processo basandosi unicamente sulla documentazione del medico presentata dalla Difesa. Attendiamo la risposta.

Intanto riscontriamo che l’unico imputato che, attraverso l’istruttoria dibattimentale, avrebbe permesso di mettere in luce i rapporti tra la locale ‘ndranghetista e il Tribunale, non sarà processato.

Parole chiave:

Commenti (0)

Nessun commento.

Scrivi un commento

L'indirizzo e-mail non sarà pubblicato. Gli utenti registrati non devono inserire altre verifiche e possono modificare il proprio commento dopo averlo inserito.

Riporta il codice di 5 lettere minuscole scritto nell'immagine. Puoi generare un nuovo codice cliccando qui .

Attenzione: Questotrentino si riserva la facoltà di cancellare commenti inopportuni.