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QT n. 7, luglio 2024 Servizi

Chi è il predatore?

Ancora tre contributi nel dibattito tra i nostri lettori sull’attuale realtà di valle, tra la natura magnificata nei dépliants e un vivere civile soffocato dai più forti

Enzo Brugnara, Chiara Fedrigotti, Carmela Bresciani

I predatori sono ovunque

Seppur con le dovute forzature da romanzo, Marco Niro nel suo “Il predatore” non va molto lontano dalla descrizione della realtà dei nostri paesini di valle. Gli imbonitori da bar o, peggio ancora, da “caneva”, hanno ancora la forza di fare opinione e spostare voti.

Agitare lo spauracchio dell’immigrato o dell’orso, fino ad arrivare al pericolo comunista funziona ancora. Sarebbe ingeneroso dire che questo vale per tutti, ma è vero che spesso la faciloneria con cui si affrontano problemi complessi porta in molti casi ad affidarsi ai santoni del “te spiego mi”, a quelli con in bocca la soluzione più semplice. È anche uno dei temi che viene ben affrontato nel film “Rispet” di Cecilia Bozza Wolf, nel quale si descrive la vita di un piccolo borgo in una valle di media montagna. E nel quale il diverso, lo “strano”, è il responsabile del male che colpisce il paese. Credo però sia un fenomeno che colpisce non solo le valli ma tante fasce più deboli e svantaggiate del Paese. Dopo tante promesse mancate, abbattimento dei servizi (da parte di tutti i governi) e dei diritti, le persone si affidano a chi ha la risposta pronta senza aver la forza di analizzare le questioni. In conclusione, i predatori sono ovunque, in montagna e in città, e vanno combattuti con la partecipazione, culturale in primis.

Enzo Brugnara,

presidente dell’associazione Sorgente ’90 (Val di Cembra)

La salvezza è nella comunità

Credo che “Il predatore” sia stato il primo romanzo noir che abbia letto per intero. E forse è per questa mia scarsa familiarità con il genere che, ogni volta che mi immergevo tra le sue pagine, cercavo di convincermi che tutto il male descritto nel racconto non fosse che un’iperbole, un’esagerazione, e che al mondo non esistesse una comunità così ipocrita, così violenta, connivente, predatoria per l’appunto, come quella con cui Marco Niro popola la borgata di Cimalta.

E invece no! Più mi intrattenevo con quei personaggi e più dovevo riconoscere che tra il “mio” mondo e il mondo romanzato esisteva più di un tratto in comune: la paura dell’altro e del diverso, l’incapacità di confrontarsi col concetto di limite, sociale o naturale che sia, la superficialità nei giudizi e nelle opinioni, l’asservimento della politica agli interessi individuali a discapito del bene comune. Eppure qualcosa ancora non mi tornava… Nonostante le tante ombre, infatti, la mia ostinata inclinazione a vedere il bicchiere mezzo pieno mi ricordava che molte sono anche le luci che illuminano il nostro quotidiano: persone che ogni giorno si prodigano per la giustizia, la legalità, la conoscenza, la bellezza… il bene! E allora dove sta la differenza? Quale antidoto abbiamo alla spirale di autodistruzione che risucchia i personaggi del romanzo? Io credo sia proprio il nostro riscoprirci ed essere comunità. Non persone ripiegate su se stesse come gli abitanti di Cimalta, ma uomini e donne capaci di entrare in relazione con gli altri e, perché no, anche con quell’orso che incarna tutto ciò che sfugge al nostro controllo. Perché, come diceva il celebre filosofo Zygmunt Bauman, “le compagnie e le società possono anche essere cattive, la comunità no. La comunità è sempre una cosa buona”.

Chiara Fedrigotti, naturalista del MUSE e presidente della

Commissione Tutela ambiente montano della SAT (Val di Ledro)

La speranza, malgrado tutto

Quello che ritroviamo nel romanzo di Niro interroga il lettore. Il genere è quello del noir e la trama investigativa diventa preponderante e rappresenta la spina dorsale delle vicende narrate che, con il mezzo dell’espediente letterario, vengono volutamente esagerate.

Un libro che assomiglia un po' ad un sentiero mai esplorato, a volte dietro ad alcune curve c'è un paesaggio che non ti aspetti. Due sono le reazioni provate; da un lato il prendere le distanze dall’orrore narrato e dalle ancor più subdole e meschine dinamiche di una società malata; dall’altro il riflettere sul tema della comunicazione legata sia ai temi della coesistenza dell’uomo con gli altri esseri viventi, ma anche tra uomo e uomo. Il romanzo non si limita a questo e ci interroga anche sulla qualità di questi rapporti che in virtù di potere, denaro, arrivismo e autorealizzazione ci allontanano sempre più dall’ideale di comunità che ci vorrebbe più solidali e accoglienti verso "l'altro" e capaci di confronti civili anche su tematiche complesse, dove la verità e la giustizia vanno costruite assieme alimentando dialogo e confronto.

Credo negli esseri umani che hanno coraggio

Coraggio di essere umani”.

Sono i versi di una nota canzone che citiamo come speranza, che si intravede al termine del romanzo, e che ci inducono a scegliere da che parte stare.

Carmela Bresciani e Diego Salizzoni, rispettivamente presidente e coordinatore dell'Ecomuseo della Judicaria

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