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QT n. 10, ottobre 2023 L’editoriale

Democrazia in affanno

Quest’estate al mare, mentre facevo colazione, mi è capitato di sentire un signore, nel tavolo a fianco, sentenziare compiaciuto: “E’ chiaro ormai, quelli che funzionano sono gli stati retti da regimi autoritari, le democrazie sono sorpassate”. Non reagii perchè temevo di essere troppo veemente per il contesto, e d’altra parte le parole che mi si affacciarono prepotenti alla mente - “Lo abbiamo visto nel secolo scorso, dove e come sono finiti i regimi autoritari”, oppure: “Al mondo il posto dove si vive meglio è l’Europa occidentale, dove c’è la democrazia, non certo la Russia, e nemmeno la Cina” – non mi parvero, sul momento, risolutive.

Il fatto è che – pur confermando che non a caso la qualità della vita è tuttora molto più alta nei nostri paesi – la democrazia in realtà appare sempre più acciaccata: la vittoria sovranista in Slovacchia, o il perdurare della minaccia Trump negli Stati Uniti, in altri tempi inimmaginabile, sono solo gli ultimi bruttissimi segnali. Tante persone non hanno chiaro cosa sia la democrazia, o pensano di poterne fare profittevolmente a meno.

A mio avviso tutto questo ha due ordini di ragioni.

Il primo è economico. Una buona parte della popolazione sta sempre peggio. Le statistiche sono impietose: c’è un arretramento generalizzato nel valore dei salari; e un arretramento nel welfare, a iniziare dalla sanità. Tutto questo, dobbiamo tenerlo sempre presente, a fronte di continui aumenti del PIL, nazionale e mondiale, che evidentemente continua ad andare nelle tasche di chi non ne ha bisogno.

E’ una situazione inaccettabile. Che comporta, a cascata, tutta una serie di perdite di fiducia. Nelle istituzioni, che non riescono a contrastare questa deriva, anzi, neanche ci provano. A ruota, nella politica. Ma anche nella cultura, con tutti i maestri del pensiero che si affannano a spiegare le cose e fare proposte, ma sempre rimanendo ben dentro il recinto della ineluttabilità delle disuguaglianze.

Nei primi anni Settanta si sosteneva l’intangibilità del potere d’acquisto dei lavoratori (definito “variabile indipendente”, cioè qualsiasi cosa accada, i salari non possono venire compressi). Oggi la variabile indipendente è il continuo incremento della ricchezza dei ricchi (ossia la quota di PIL che va a loro).

Ora è evidente come in tale situazione chi risulta impoverito, facilmente si consideri defraudato. E non difenda più un sistema che permette, anzi promuove, tutto questo.

Il secondo ordine di ragioni della crisi della democrazia è culturale. Nel contesto di cui sopra, chi propone un ridimensionamento delle disuguaglianze viene irriso. Basti vedere la cagnara contro la povera Elly Schlein. Definita “brutta”, “sgraziata”, “mezzo uomo”, “mal vestita” o peggio sui social, ma analogamente “priva di contenuti”, “incapace di proposte”, “impolitica” sui giornali paludati, e tutto questo perché osa porre come primo punto dell’agenda la lotta alle disuguaglianze, che evidentemente, per i Soloni, non è una proposta politica, ma una baggianata.

Al di là della figura della Schlein, è la chiusura a riccio del sistema attorno a se stesso, a farne crollare la credibilità. Di qui il successo, sempre transitorio finora, del populista che la spara più grossa, che sa indicare un capro espiatorio esecrabile e una serie di nemici interni ed esterni da combattere.

Così abbiamo la demonizzazione dei migranti, degli stranieri, degli islamici, dell’euro, dell’Europa (l’Inghilterra ne piange le conseguenze).

In Trentino si lavora su scala molto più ridotta, si demonizzano gli orsi. In altri posti si è più avanti con i lavori: si demonizzano i vicini, meglio se di etnia diversa (azeri, kosovari, curdi). E comunque, la regola generale è proporre con aggressività una identità nazionale, da difendere contro l’universo mondo: le organizzazioni sovranazionali, e poi ancora i migranti, o entità astratte come i “poteri forti”.

Una deriva esiziale. Favorita da Internet, dove non esiste alcun principio di responsabilità, e dove il più spregiudicato può orientare menti altrimenti disorientate. Il ben noto Gruppo Wagner, oltre ai mercenari, ha anche una serie di informatici sul libro paga, addetti a influenzare le opinioni pubbliche dei vari paesi. Anche di qui i successi elettorali di Trump e della Brexit.

Però forse vale la pena fermarsi a ragionare, oltre il pur importante tema della gestione del web. Come mai un operaio americano della Rust Belt oggi presta fede alle destabilizzanti sciocchezze dello squinternato miliardario e dei siti che lo sostengono? Non è forse perchè ha visto in questi anni destabilizzarsi il suo lavoro, la sua vita? E di conseguenza si è incrinata la sua fiducia nell’ormai improbabile sogno americano e più in generale nel sistema democratico?

In fondo è un’ovvietà. Se con il voto dai (una quota di) potere al popolo, poi non puoi stupirti se, quando il popolo sta male, usa il voto per ribellarsi, magari in termini che non ti piaceranno.