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QT n. 9, settembre 2022 L’editoriale

Andate a votare

Tra populisti incapaci e progressisti burocrati, il cittadino è disilluso. Eppure andiamo a votare, magari turandoci il naso

C’è tanta disillusione nell’elettorato, dicono i media. E’ molto alta la propensione all’astensione, dicono i sondaggi.
Dal nostro osservatorio, di piccolo giornale di provincia, non possiamo che concordare. La disillusione è tanta. Innanzitutto basata su dati oggettivi.
Da anni le previsioni sono pessime, le ricette ancora peggiori. Il ritornello è stato “Non si potrà più”: non si potrà più avere il posto fisso, la sanità gratuita, ecc.
E perché mai, si chiede il cittadino, la produzione aumenta dappertutto, perchè la ricchezza prodotta deve essere redistribuita a mio danno?
A questa dinamica degli ultimi decenni (indotta, diciamo noi, dalla vittoria del neoliberismo che ha deliberatamente aumentato le disuguaglianze) si sono aggiunti i guasti provocati dalla pandemia e dalla guerra. Inevitabili i primi (a meno di credere il virus un grande complotto) e anche i secondi: le sanzioni ci fanno male ma sono molto, molto meglio della guerra, e d’altra parte, pur con tutti i difetti della democrazia e dell’Occidente, non si può lasciare il mondo agli autocrati. Insomma, alle disuguaglianze si sono aggiunte le ristrettezze, anch’esse destinate ad avere ricadute diseguali.
In questa situazione, non poteva che evaporare l’autorevolezza delle classi dirigenti. Dirigete sempre e solo a vostro esclusivo vantaggio, perché dovrei darvi fiducia? Ma è anche impallidita la credibilità di chi avrebbe dovuto promuovere il cambiamento e l’equità, e che si è invece di fatto accodato alle grette visioni e soluzioni dominanti.
Di qui la nascita dei populismi, le ricette semplici, drastiche e devastanti: America first, Brexit, prima gli italiani, uno vale uno. Egoismo e nazionalismo, l’incompetenza come valore, il tutto in un mondo complesso e interconnesso.


Non potevano e non possono che naufragare per manifesta incapacità, Trump, Johnson, Berlusconi, Salvini, Grillo. Salvo poi tentare la resurrezione con la favola delle elezioni rubate o del complotto pluto-massonico che li avrebbe spodestati. Ma a parte i destini dei singoli, è il populismo che non muore, e che assume nuove forme, nuovi esponenti: c’è sempre un populista più alla moda, pronto a subentrare al giro successivo. Per la semplice ragione che le classi dirigenti pensano di andare impunemente avanti come sempre. E i “progressisti”, chiamiamoli così, sono aggregati in apparati burocratici dediti alla promozione di se stessi, e di progressista non hanno più proprio niente.
Di qui la sfiducia. Verso le classi dirigenti, verso i presunti riformatori, verso i rivoluzionari alla Trump o alla Di Battista.
E quindi la domanda che, conseguente, aleggia, sempre più insistente: a che serve votare? Se poi i destini vengono comunque decisi altrove, a Davos o a Cernobbio, i partiti sono pallidi poltronifici, e i cialtroni al potere possono solo fare danni?
La soluzione non è facile. Quella vera richiederebbe un movimento maturo, una rivoluzione culturale che sapesse rivoltare da cima a fondo le organizzazioni progressiste. Cosa di là da venire.
Per intanto occorre consapevolezza. Scegliere il meno peggio. E così facendo, far crescere la cultura politica, ognuno per quello che può. Intanto, per molti si tratterà di turarsi il naso.
Noi diamo questa indicazione: andate a votare. Per quello che conta, chi scrive ci andrà con piena convinzione.
Ettore Paris