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QT n. 10, ottobre 2021 Monitor: Danza

Alla ricerca di nuovi orizzonti

Oriente Occidente

Danz

Dopo l’edizione del quarantennale, il cui programma fu stravolto lo scorso anno a causa delle limitazioni di spostamento provocate dalla pandemia, Oriente Occidente riparte con dovuta prudenza e con qualche mutamento di prospettiva nel segno di un dichiarato nomadismo culturale. Anche nelle attuali condizioni la strada del coinvolgimento delle grandi -e lontane- compagnie extraeuropee sarebbe stata impraticabile: di conseguenza da global il Festival si è fatto decisamente più local, con diversi focus su promettenti coreografi e compagnie di danza italiane.

Ma partiamo dai nomi dei protagonisti più illustri, che hanno comunque portato a Rovereto una ventata d’internazionalità: in primis Hofesh Shechter, coreografo israeliano che dal 2008 ha scelto il Regno Unito come residenza per la sua compagnia e che ha inaugurato la quarantunesima edizione di Oriente Occidente. Particolarmente apprezzato dal pubblico, Political mother unplugged è uno spettacolo coinvolgente e visionario, incentrato sulla violenza ideologica impersonificata da una sorta di Führer virtuale e mutante, i cui deliri tecnologici sono narrati all'unisono da musica, video e danza. Mentre i giovanissimi interpreti della Shecther II si muovono insieme in potenti quadri di gruppo, l’umanità messa in scena da Maguy Marin in Umwelt è sfuggente e incapace di una reale comunicazione. Il pezzo, creato nel 2004 ma rappresentato in Italia per la prima volta, è una riflessione quanto mai attuale sulla disfatta del mondo contemporaneo, travolto dal consumismo e dalla rincorsa estenuante di avvenimenti che si susseguono senza un apparente nesso di logicità.

Incontri frenetici e scomparse repentine caratterizzano pure il dittico presentato al Festival dalla compagnia Peeping Tom (nata dal sodalizio tra l’argentina Gabriella Carrizo e il francese Franck Chartier). The missing door e The lost room sono a partire dal titolo e dalle elaborate scenografie - assemblate direttamente in scena durante lo svolgimento dello spettacolo - una sorta di trasposizione a passo di danza delle atmosfere oniriche e inquietanti del cinema di David Lynch. Tutti spettacoli da sold out e da ripetuti applausi, ma che all’uscita da teatro lasciano nel pubblico un senso di sottile inquietudine che ben riflette la condizione psicologica dei tempi moderni.

Passando dalle opere corali a quelle più intime, The Fifth Winter e Bach della coppia spagnola Pep Ramis e Maria Muñoz rimangono poeticamente sospese in una atmosfera di attesa costellata dalle parole di Erri de Luca, e proprio le parole, plurilingue e desiderose di dar voce alle connessioni possibili tra diverse culture e stili di danza, sono alla base dello spettacolo Youme. You are you and me I’m me, incontro tra una violoncellista francese, una ballerina di flamenco spagnola e una stella dell’hip hop greca, ad opera dell’ennesimo duo multiculturale di coreografi: Honji Wang (tedesco-coreana) e Sébastien Ramirez (franco-spagnolo). L’italianissimo Daniele Ninarello, artista “associato” al Festival, dà invece voce a un intenso dialogo con se stesso, in un assolo - Nobody nobody nobody. It’s ok not to be ok - che rielabora fragilità passate riemerse con prepotenza durante il periodo del lockdown.

L’altro “artista associato” di Oriente Occcidente per il biennio 2021-2022, Carlo Diego Massari, propone con Right una coreografia d’indubbia potenza teatrale: rilettura in chiave postmoderna della stravinskiana Sagra della primavera, interpretata dalle impeccabili danzatrici della compagnia fiorentina Opus Ballet e da alcune attrici/operaie amatoriali precettate in loco. D’indubbia suggestione, a proposito di coinvolgimento di danzatori locali, la performance di gruppo Choròs. Il luogo dove si danza, sapientemente orchestrata da Alessio Maria Romano alle luci dell’alba presso la Campana dei Caduti.

Anche Michela Lucenti, anima della compagnia Balletto Civile, più volte ospitata dal Festival, dedica parte della sua nuova avventura coreografica, Figli di un dio ubriaco. Incursioni fisiche sui madrigali di Claudio Monteverdi, al coinvolgimento di 20 interpreti locali, le cui storie personali diverranno a breve il cuore di un lungometraggio firmato da Katia Bernardi. Storie di ordinaria resistenza quotidiana sono pure quelle dell’omonimo spettacolo della Lucenti, nonché quelle rielaborate da Stefano Mazzotta per la compagnia Zerogrammi in Elegìa delle cose perdute, coreografia nata nel corso di una residenza in un paesino della provincia cagliaritana e che convince per la sua poetica semplicità e la sua nostalgica ironia.

Novità che ha preceduto l’edizione 2021 del Festival gli “Sconfinamenti” -performance/passeggiate itineranti in varie località del Trentino- e sempre gradita conferma per il pubblico cittadino la ricca programmazione di spettacoli nelle piazze e nei parchi di Rovereto. Tra le strade già battute negli ultimi anni ma sempre più rilevanti per un allargamento degli orizzonti futuri nel segno dell’inclusione, figura il progetto Europe Beyond Access, volto a favorire la collaborazione tra danzatori abili e disabili, nella cornice del quale sono nati i quattro duetti che hanno coronato la chiusura del Festival.