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QT n. 11, novembre 2020 Cover story

Lases: la metamorfosi

Come un paese tradizionalmente “ribelle” si è lasciato infiltrare dalla criminalità.

Walter Ferrari
Lases

Un tempo gli abitanti dei nostri paesi venivano chiamati con un soprannome che ne evidenziava qualche caratteristica. Così gli abitanti di Lases venivano appellati nell’Ottocento “lasesi franzesi”. “Franzesi” non certo in virtù della loro raffinatezza, ma sulla base delle vicende di fine Settecento, a partire dall’arrivo delle armate francesi in Trentino, impegnate nella guerra contro l’impero asburgico. Quando nel 1796 alcune compagnie del corpo di spedizione francese, al comando del generale Gaspard, avanzarono lungo la sponda destra della valle di Cembra per coprire il fianco al grosso dell’esercito francese che avanzava verso nord in valle dell’Adige, si dice che gli abitanti di Lases furono gli unici a non mandare i propri giovani a combattere nelle file dei volontari che affiancarono l’esercito austriaco. Pare che l’anelito rivoluzionario che le armate francesi diffondevano per l’Europa avesse fatto breccia nella mente di quelle povere ma dignitose genti.

Una tradizione radicata, se si pensa che gli anziani mandati a combattere in Galizia durante la Grande Guerra e che erano stati fatti prigionieri dai russi, nonostante il loro scarso e talvolta reazionario retaggio culturale, furono attratti dalla rivoluzione del 1917 e una volta tornati al paese parlavano della Russia con grande rispetto. Tra questi vi era anche mio nonno paterno che, pur essendo molto religioso, mal sopportava i sermoni anticomunisti del prete e ogni volta ricordava di essere stato trattato molto meglio da prigioniero dei russi che da soldato del cattolicissimo imperatore.

Certo quegli anziani non sarebbero entusiasti del fatto che, durante le amministrazioni di Marco Casagranda, sia stata incastonata in un muro di porfido di una via centrale del paese l’effigie di Andreas Hofer a fianco di quella della Madonna. Se la devozione alla Madonna in paese è senz’altro radicata, altrettanto non si può dire riguardo alle simpatie per Hofer!

Questo è il terreno sul quale si sviluppò, durante il ventennio fascista, un profondo sentimento antifascista che fu rafforzato quando il paese perse il suo status di Comune per essere unito con Albiano, e i “ciucia castegne” (soprannome degli abitanti di Albiano) per ritorsione tagliarono a zero i boschi di Lases sulla Costalta, sopra Regnana.

Un affronto mai dimenticato dagli anziani che, fino a qualche decennio fa, ricordavano come in quegli anni, il sabato sera o nei giorni di festa, un nutrito gruppo di giovani di Albiano veniva a Lases su un carro trainato da buoi e si impadroniva dell’albergo, cacciando i giovani “lasesi”, per ballare, bere e fare baldoria fino a tarda ora. Ma la reazione dei “franzesi”, sia pur a distanza di qualche tempo, arrivò implacabile e così, dopo una sera di baldoria i “ciucia castegne” si trovarono col culo per terra, in piena notte, a metà del tragitto di ritorno. Alcuni giovani coraggiosi, edotti dal consiglio dei vecchi, tolsero infatti nottetempo “en sibi al car”, (la zeppa che fissando il mozzo impediva alla ruota di uscire dall’asse). Dopo un primo momento di stordimento essi ripresero coraggio e tornarono indietro a piedi cantando gli inni fascisti per rafforzare la loro spavalderia; raggiunta la piazza di Lases, gridarono nella notte che qualora non fosse stato immediatamente consegnato loro “el sibi del car” avrebbero bruciato il paese.

Nel 1984, quando lo scontro con i concessionari di cava si fece duro, si vide riemergere quell’anelito di rivolta che aveva contraddistinto in passato gli abitanti di Lases, tanto che alcuni anziani ricordavano con orgoglio i fatti del ventennio, sottolineando che in quell’occasione “i biani” non avevano avuto l’ardire di bruciare il paese, nonostante “el sibi del car” non fosse stato loro restituito né allora né mai.

Sappiamo che le prepotenze subite allora si sono riverberate fin sul referendum del 2015, quando il voto popolare ha respinto la proposta di fusione dei due comuni, e se tale risultato riempì qualcuno di orgoglio, il rovescio della medaglia fu rappresentato dalla soddisfazione proprio di chi, operando nell’ombra, aveva l’interesse a mantenere separate queste piccole realtà comunali in funzione di un loro più facile condizionamento. Condizionamento che è stato sempre funzionale ai concessionari delle cave per appropriarsi di una risorsa non più rinnovabile quale il porfido a danno delle comunità locali, in un’evidente situazione di conflitto d’interessi che si trascina da mezzo secolo.

Le cose cambiano

Ma come mai proprio a Lases, considerata la storia di questa comunità, ha potuto radicarsi una presenza così pervasiva di elementi in qualche modo legati ad organizzazioni criminali come la ‘ndrangheta? Che sia stata intessuta una fitta trama di relazioni e condizionamenti lo si evince anche dalla mancata reazione dei suoi abitanti in questo frangente: chi commenta la cronaca di questi giorni, infatti, aggiunge che tutto questo ha infangato l’immagine del paese e la colpa non viene data ai protagonisti del malaffare, ma a coloro che hanno denunciato questo stato di cose!

Per capire occorre ritornare a quegli anni ‘80 del Novecento sul finire dei quali crollarono alcuni valori che avevano costituito i capisaldi della sinistra e il nuovo partito decaffeinato aprì la strada a pratiche disinvolte e ovviamente fece spazio agli arrivisti, compresi quelli della peggior risma, facendo così venir meno quel pudore sul terreno politico che condizionava anche i partiti avversari.

In quegli anni la sezione locale del Partito Comunista aveva sostenuto l’esperienza amministrativa del sindaco Vigilio Valentini ed era diventata un punto di riferimento anche per alcuni giovani della valle. Purtroppo però quell’apparente zoccolo duro si reggeva su una vuota ortodossia e perciò era destinato all’impotenza di fronte all’attacco del neoliberismo. Un vuoto tale da portare, proprio alla fine di quegli anni, alla designazione della moglie di uno degli attuali arrestati (anch’essa finita ai domiciliari a seguito dell’operazione “Perfido”) quale segretario in pectore della locale sezione di un Pci ormai in irreversibile fase di dissoluzione.

Una metamorfosi ben rappresentata dal camaleontico Manuel Ferrari, cresciuto all’ombra del duo Roberto Dalmonego e Pietro Battaglia nell’Asuc di Lases, della quale nel 2016 è divenuto presidente. Nello stesso anno lo si ritrova come rappresentante dell’USB nelle cave, per passare dopo pochi mesi alla Fillea-Cgil, diventandone rapidamente delegato e funzionario e prodigandosi in tale veste per ottenere il consenso dei lavoratori al rinnovo del contratto e il loro sostegno alla revisione, voluta dall’allora assessore provinciale Olivi (Pd), della legge sulle cave (n. 1/2017). Quella non fu affatto una legge “coraggiosa” e tanto meno “rivoluzionaria”, ma lo strumento per sbarrare la strada alla proposta avanzata nel febbraio 2016 dal consigliere (allora del Movimento 5 stelle) Degasperi ed elaborata con il Coordinamento Lavoro Porfido che, attraverso modifiche mirate e puntuali, avrebbe potuto rendere la legge adatta a far emergere il malaffare che imperversava.

Complice l’errore della Procura che, dando notizia agli indagati di essere intercettati, nel dicembre dello scorso anno ha forse determinato il passo indietro della coppia Dalmonego-Battaglia (il primo indagato per voto di scambio e il secondo arrestato), Manuel Ferrari si trova ora a ricoprire la carica di sindaco a Lona-Lases in una lista in cui predomina la componente di estrema destra; significativo è il fatto che Stefano Cobelli (emissario locale di Cristano de Eccher) sia risultato il più votato raccogliendo ben 150 preferenze.

Riferimento provinciale della lista e quindi dell’amministrazione comunale di Lona-Lases è senz’altro l’assessore agli enti locali Mattia Gottardi e a livello locale l’ex sindaco Marco Casagranda (entrambi candidati alle elezioni provinciali con Civica Trentina), colui che nel 2005 portò in consiglio comunale per la prima volta Pietro Battaglia e nominò assessore esterno alle cave il fratello Giuseppe, già consigliere comunale fin dal 1999 con il sindaco Dalmonego. Per chiudere il cerchio, ricordo che nel corso del Novecento anche il “lasesi franzesi” è mutato in “lasesi masa tesi del borgo famà” (troppo sazi in un paese affamato) che in sé evidenzia la contraddizione tra ricchezza privata (di alcuni) e miseria pubblica (non solo economica).

Se non ci sforziamo di comprendere le origini di questa metamorfosi e l’estesa rete di interessi e complicità che vi sono sottesi, non potremo spiegarci che in modo sbrigativo e superficiale un fenomeno di penetrazione della ‘ndrangheta che è avvenuta in tutte le regioni del nostro Paese. Ben altro atteggiamento quindi occorre assumere se si vuole contrastare efficacemente un fenomeno che ha implicazioni importanti ed interagisce in maniera significativa con la fase di sviluppo capitalistico che stiamo attraversando, caratterizzata dall’acuirsi di vecchie e dall’apparire di nuove contraddizioni. Penso che un serio ed approfondito confronto in tal senso possa e debba trovare spazio, anche all’interno di QT.