Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 10, ottobre 2020 Servizi

La partita dell'acqua è cominciata

I grandi interessi che da qui al 2024 si muoveranno per mettere le mani sulle nostre concessioni idroelettriche hanno battuto un colpo. Per ora solo attraverso gli “amichevoli consigli” dell’Autorità garante della concorrenza, a cui la legge provinciale non piace.

La prossima settimana il Consiglio provinciale discuterà la legge sulle concessioni idroelettriche: il primo passaggio della lunga marcia che, entro luglio 2024, ci porterà a sapere chi saranno i nuovi padroni della nostra acqua ed energia.

Se saremo noi o qualcun altro dipende da alcune decisioni intermedie che dovranno essere prese a valle dell’approvazione di questa legge.

I nostri lettori sanno che nei mesi scorsi abbiamo esaminato un’ipotesi che molti considerano improponibile: che la Provincia assuma in proprio il controllo e la gestione della produzione idroelettrica.

I tecnici la considerano inattuabile per il semplice motivo che da decenni il pubblico non si fa più imprenditore. Tuttavia, nel caso della nostra acqua ed energia, avrebbe l’innegabile vantaggio di non dover cedere questa ricchezza in cambio di un canone di concessione (niente altro che un “affitto”) che, per quanto alto, non sarà mai equivalente a quello che possiamo ricavarne in proprio. Per non parlare di quanto meglio potremmo garantire la nostra sicurezza e tutela ambientale prendendo decisioni in prima persona e non solo come controllori. Sicurezza, perché le dighe servono anche come camere di compensazione per evitare le piene dei torrenti (la cosiddetta “laminazione delle piene”), e tutela ambientale perché mantenere un deflusso minimo nei corsi d’acqua fa la differenza tra la vita e la morte del torrente e dell’ambiente circostante.

La decisione di gestire direttamente richiederebbe oggi un enorme coraggio politico ed amministrativo. Non solo da parte di chi oggi siede in piazza Dante, ma dall’intera società trentina.

Ma di tutto questo torneremo testardamente a parlare nei prossimi mesi, quando arriverà il tempo di prendere questa decisione.

Va detto infatti che la legge in discussione dal 6 ottobre prossimo definisce per ora “soltanto” il perimetro normativo, e in parte tecnico, per l’assegnazione delle concessioni che dovevano scadere a fine 2023 e che causa Covid sono state prolungate a luglio 2024, in quanto la procedura è lunga e sarebbe dovuta partire a marzo scorso.

Una legge nazionale ci obbliga a dotarci di questo strumento (tra parentesi: a livello nazionale nessuno prende in considerazione ipotesi diverse dalle concessioni. E meno che mai a livello europeo), ma il modo in cui facciamo la nostra legge e quello che ci sta dietro non è ininfluente, sia che poi decidiamo di “affittare” la nostra acqua, sia, per altri versi, se decideremo di tenercela.

Facciamo qui un inciso: la “partita” della nostra acqua ed energia è un boccone molto ghiotto, come sanno tutti coloro che si occupano di mercato dell’energia. È tanta, gli impianti sono in ottime condizioni di mantenimento - nonostante alcuni siano quasi centenari, come ad esempio la centrale di Cogolo - e si tratta di energia che si vende a caro prezzo sul mercato perché verde e rinnovabile.

E la partita è già iniziata.

Una bocciatura

Le prime bordate, a salve per ora, sono arrivate all’inizio di settembre con cinque pagine di osservazioni pubblicate sul bollettino settimanale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Che bacchetta pesantemente il disegno di legge provinciale licenziato in commissione a febbraio scorso, dicendo, in buona sostanza, le seguenti cose: non va bene che voi trentini pensiate di poter restringere il numero delle imprese concorrenti (anche quando, come dice il disegno di legge, “lo richiedono la difficoltà o la complessità della concessione”); non va bene che voi trentini pretendiate da chi vuole concorrere alle gare troppe condizioni tecniche e di esperienza di gestione degli impianti (ma pensiamo a Santa Giustina: voi in che mani la vorreste?); non va bene che tu Provincia ti attribuisca un vantaggio se deciderai di acquistare le centrali. Inoltre, tu Provincia devi stare molto attenta “ad evitare l’introduzione di misure che possano impropriamente avvantaggiare il gestore uscente”. All’Autorità, ovviamente, sanno benissimo che si tratta di Dolomiti Energia.

Abbiamo chiesto a Gianfranco Postal, ex dirigente provinciale e magistrato della Corte dei Conti che si occupa della materia da molti anni, un parere su questi rilievi.

Fanno un favore alla Provincia - esordisce Postal - perché anticipano gli elementi critici sui quali dobbiamo fare grande attenzione”. E continua spiegando che, oltre a problemi di conflitto con le norme italiane ed europee, una legge fatta male apre la strada a cause di ogni tipo da parte di chi parteciperà alle gare e perderà. E sono cause nelle quali, se si perde, si pagano danni milionari.

Ma dietro le sottigliezze delle norme c’è altro: “È chiaro che ci sono grandi interessi in movimento su questa partita” dice Postal. Grandi interessi che danno per scontata la nostra preferenza per Dolomiti Energia, di cui siamo soci di maggioranza. Quindi, poiché è meglio prevenire che reprimere, è probabile si siano messi in moto gli studi legali delle società energetiche italiane e internazionali per sollecitare l’Autorità. La quale, peraltro, fa quello che è nella sua natura: custodisce il sacro principio della concorrenza. E lo fa prevalere anche se uno dei contraenti è l’ente pubblico.

Dice infatti l’Autorità, in una nota al testo nell’ultima pagina, che non va bene che la Provincia abbia previsto di prendersi immediatamente il possesso delle centrali - se deciderà di acquistarle - “anche in caso di pendenza della vertenza arbitrale per la determinazione del prezzo da corrispondere” e che la stessa condizione non sia concessa all’”eventuale concessionario subentrante”. Potrebbe sembrare un dettaglio. Ma non lo è.

Riavvolgiamo il film.

La prima decisione importante che dovremo prendere dopo aver approvato la legge sarà se comprare le centrali idroelettriche (tutto il resto: dighe, condotte forzate, canali ecc. sono demanio provinciale) che attualmente sono di Dolomiti Energia in quanto attuale concessionario. Il quale potrà venderle al nuovo concessionario, a meno che la Provincia non faccia valere la sua prelazione d’acquisto.

Sul metodo di stima di questo tipo di beni, nel tempo, c’è stata battaglia e perfino la Commissione Europea ha aperto una procedura di infrazione contro le norme italiane. E l’Autorità, non a caso, prevede che questo punto possa diventare oggetto di controversia.

La differenza tra avere il possesso immediato delle centrali e non averlo, una volta assegnate le concessioni ad un nuovo concessionario, significa solo una cosa: prolungare ad libitum il tempo in cui il concessionario uscente continua a gestire.

Perché senza centrali, ovviamente, non si produce energia.

L’Autorità qui sembra farsi un film davvero bizantino: per favorire il concessionario uscente, che è preferito dalla Provincia in quanto pressoché di sua proprietà, la stessa Provincia potrebbe decidere di comprare le centrali e poi mettere in piedi una bella causa sul prezzo d’acquisto che dura anni guadagnando anni di extra-gestione per il suo favorito.

Ci pare però che il non detto di queste sottigliezze sia: meglio se tu Provincia non te le compri proprio le centrali. Perché acquistandole diventi proprietaria di tutta la filiera produttiva e quindi puoi, a norma di legge, decidere di non dare le acque e l’energia in concessione. Puoi, diciamo noi, gestire in prima persona.

L’Autorità ovviamente non concepisce nemmeno la nostra ipotesi. Ma sconsiglia vivamente anche la sua forma più blanda, pur consentita dal quadro normativo italiano ed europeo: il cosiddetto partenariato pubblico-privato. Una forma mista di gestione della filiera idroelettrica che la legge in discussione la prossima settimana in effetti prevede e in base alla quale la Provincia siederebbe direttamente nei consigli di amministrazione delle società di gestione.

Quello dell’Autorità è un parere non vincolante e la Provincia può anche decidere di non ascoltarlo, ma in piazza Dante lo dovranno comunque valutare molto bene. Perché una cosa è decidere, scientemente e coscientemente, che si vuole il maggior controllo possibile sull’acqua e sull’energia (e allora ci si arma a dovere per una battaglia durissima, ma in nome della quale la Giunta provinciale potrebbe trovare alleati inaspettati), un’altra è cercare di sgattaiolare attraverso un quadro normativo imponente sperando che nessuno si accorga di dove vogliamo arrivare.

È chiaro, dopo i rilievi dell’Autorità, che questa strategia tentata dal governo provinciale, è morta sul nascere. Siamo sotto i riflettori e ci rimarremo fino alla fine. Quindi, cara Giunta del “prima i Trentini”, che strada vogliamo prendere?

Parliamo di soldi

Si dice che comprarci le centrali idroelettriche attualmente di proprietà di Dolomiti Energia ci costerebbe 350 milioni di euro.

La cifra proviene da una voce che circola, ma non ci sono carte che cantano. La Giunta si tiene ben stretta la stima della società di consulenza che, verosimilmente, ha prodotto questo ammontare (ne abbiamo parlato nel numero di luglio-agosto).

Quindi è su questo dato che siamo andati a fare i conti di quanto ci costerebbe realmente comprare gli impianti idroelettrici.

Sulla base dei bilanci più recenti delle due società, che oggi sono titolari delle concessioni in scadenza e a cui dovremmo dare i 350 milioni (ovvero Hydro Dolomiti e Dolomiti Edison, controllate dalla holding Dolomiti Energia), abbiamo calcolato quanto incassa ogni anno la Provincia nella sua veste di azionista e quanto dunque ci rimetterebbe se le “sue” società perdessero le concessioni. Escludiamo dal conto ovviamente i canoni di concessione perché questi entrano nelle casse provinciali, chiunque sia il concessionario.

Specifichiamo che in questo caso per “Provincia” intendiamo l’insieme di tutti gli azionisti pubblici, come ad esempio i Comuni o i Bacini Imbriferi Montani, in quanto canalizzatori dell’interesse pubblico.

La “Provincia”, dunque, è proprietaria di circa il 70 per cento di Dolomiti Energia, che a sua volta controlla il 60 per cento di Hydro Dolomiti e il 51 per cento di Dolomiti Edison.

In base al bilancio 2019 di Hydro Dolomiti l’azionista “Provincia” aveva diritto a 22.962.469 euro per la sua quota di reddito netto. Nel bilancio 2018, l’ultimo pubblicato di Dolomiti Edison, lo stesso tipo di conto sommava 835.450 euro. Totale quindi: 23.797.919 euro.

Il livello di reddito è abbastanza costante per le società idroelettriche, salvo anni tremendi ed eccezionali come il 2017, e possiamo quindi prendere questa cifra come un valore costante annuale, come confermano anche le note al bilancio di Hydro Dolomiti.

Abbiamo scelto poi di escludere dal conto di quello che verrebbe a mancare alle casse provinciali le tasse che un eventuale nuovo concessionario con sede fuori dal Trentino non pagherebbe in loco. Questo perché una parte di quelle tasse ci tornerebbero comunque, ma la misura di questo ritorno dipende da calcoli legati al Pil annuale su indicatori Istat. Una cifra non prevedibile perché dipende da variabili che ad oggi non conosciamo. Ma che probabilmente non sono noccioline.

Ci atteniamo per ora agli oltre 23 milioni di utili che perderemmo ogni anno, verosimilmente per i prossimi 30 anni.

Vediamo adesso invece il costo d’acquisto delle centrali.

Ricordiamo che la “Provincia” è proprietaria di quote azionarie delle due società da cui comprerebbe questi impianti. Per non stordire il lettore con i calcoli diciamo che la proprietà pubblica nelle due società ammonta a circa il 40 per cento (ovvero il 70 per cento del 60 per cento, che fa 42, e il 70 per cento del 51 per cento che fa 35. Abbiamo fatto una media che ci farebbe bocciare a scuola, ma il conto ci serve per dare ordini di grandezza, non per compilare un bilancio).

Quindi, se noi paghiamo 350 milioni a due società che possediamo effettivamente al 40 per cento, vuol dire che 140 di quei milioni, indirettamente, ci tornano indietro.

Restano perciò 210 milioni da pagare ai soci privati. Ovvero l’equivalente di nove anni di mancati dividendi.

Ma quei 210 milioni potrebbero poi tornarci in vari modi. Come minimo dall’affitto delle centrali stesse che il nuovo concessionario dovrebbe pagarci oltre al canone per l’uso dell’acqua. Ma molto di più se riuscissimo a scegliere di gestire più o meno direttamente la produzione. Teniamo presente che nel 2019 la sola Hydro Dolomiti ha dichiarato un reddito netto di circa 54 milioni.