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QT n. 6, giugno 2020 Cover story

Propaganda e infiltrazioni nella pubblica opinione

La disinformacja straniera ai tempi del Coronavirus. Come e con quali obiettivi, prima Russia e poi Cina si insinuano nei siti web.

Alessandro Dalrì

Nel corso degli ultimi anni, in Occidente ci siamo abituati alle notizie sulle operazioni di disinformazione sponsorizzate dalla Russia, così come abbiamo sentito parlare delle sue subdole campagne online, messe in atto con l’utilizzo incrociato di siti web di finta informazione e di numerosissimi account fasulli. Queste attività continuano a venire segnalate dalle commissioni speciali anti-fake istituite sia a Washington che a Bruxelles, e il periodo della crisi del Coronavirus non ha fatto eccezione. Anzi, proprio questa circostanza, che mantiene le persone concentrate sull’evento in sé e per sé, offre una cortina fumogena perfetta per maggiori attività di questo tipo.

La novità è che Pechino sembra aver iniziato a imitare approcci fino ad ora generalmente associati solo a Mosca. In effetti in Cina, parallelamente al messaggio più canonico di un governo forte e benevolo, i conduttori della TV di stato, così come i funzionari del ministero degli Esteri cinese, hanno iniziato a divulgare al loro pubblico storie molto dubbie e con poche evidenze. In diverse occasioni, ad esempio, è stato affermato che Covid-19 è un’arma biologica progettata negli Stati Uniti, portata a Wuhan dai soldati statunitensi.

Per rendersi meglio conto dei cambiamenti in atto a Pechino, però, è utile ripercorrere brevemente ciò che sappiamo delle strategie impiegate dal regime di Putin.

Dopo l’annessione della Crimea nel 2014, in un periodo di peggioramento delle relazioni tra Russia e Occidente, i media finanziati direttamente dallo stato russo, come RT (network televisivo) e Sputnik (agenzia di informazione web e radio) hanno intensificato i loro sforzi nel perorare la causa filo-russa e nel sollevare questioni più o meno fondate sui loro oppositori europei e statunitensi. Nello stesso periodo, la Russia è stata accusata di utilizzare fake, bot e troll (vedi box) su Internet per soffiare sul fuoco delle divisioni interne nelle società occidentali.

Obbiettivo: la confusione

Al di là dei casi più noti di interferenza nel periodo precedente alle elezioni presidenziali americane nel 2016, che hanno portato all’elezione di Trump, il ruolo della Russia anche nel dibattito sui vaccini sembra particolarmente rilevante. Illuminante, in questo senso, uno studio dell’American Public Health Organization, che ha scoperto come l’attività della Russia su questo argomento non sia tanto mirata a screditare gli effetti delle vaccinazioni in sé, ma sia invece orientata a portare agli estremi entrambi i punti di vista sull’argomento.

A metà aprile, ad esempio, la newsletter di EuvsDisinfo, la task force Ue per la lotta alla disinformazione del Servizio Ue per l’azione esterna, ha sottolineato come le fake news da parte di media russi si fossero concentrate sui vaccini per il coronavirus.

Medici e infermieri cinesi in arrivo in Itali

Tra le notizie false individuate, si distingue quella riguardante “Bill e Melinda Gates e il resto dei governanti ombra”, accusati di progettare l’introduzione di un vaccino obbligatorio che conterrà impianti segreti per controllare il mondo. Ad oggi, secondo la task force Ue, Bill Gates sembra essere preso particolarmente di mira: appare infatti in almeno dieci casi di fake news, otto delle quali diffuse nelle ultime settimane, dopo l’inizio dell’epidemia. Diversi studi poi, secondo EUvsDisinfo, dimostrano come le istituzioni militari russe e i think tank ufficiali tollerino e diffondano teorie cospirative infondate. La Bbc Russian Service ha riferito di un caso in cui il ministero degli Affari Esteri russo avrebbe pubblicato una teoria cospirativa su “chi c’è dietro il Covid-19”.

Guardando da vicino, diventa chiaro come molto di ciò che fuoriesce da questa complessa macchina di propaganda russa promuova molteplici punti di vista, non necessariamente in accordo tra loro, che mirano a confondere piuttosto che a convincere, e che hanno l’effetto di fare calare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nei media tradizionali e di inasprire gli scontri politici e sociali all’interno dei paesi bersaglio, così da destabilizzarne e indebolirne il funzionamento democratico.

Il modello cinese

Mentre l’approccio mediatico della Russia è cambiato poco negli ultimi anni, quello cinese sembra aver subito una progressiva modifica, con un punto di rottura raggiunto durante la pandemia. Fondamentalmente, questo cambiamento sembra aver allineato le tattiche cinesi a quelle russe in termini di disinformazione.

Il controllo della narrazione in Cina è da sempre un elemento centrale. Infatti, la task force riunita a Pechino per combattere l’epidemia, composta da nove funzionari statali di alto rango con competenze diverse, contava due elementi, la quota relativa più grande, con il compito di curare la comunicazione e la propaganda. A tale proposito, Steve Tsang, direttore del SOAS China Institute di Londra, ha sottolineato come di tutti gli aspetti relativi all’epidemia, il governo cinese abbia dato priorità proprio allo studio del messaggio e alla costruzione della narrazione.

Inizialmente, la priorità era dimostrare che la situazione, sul fronte interno, fosse sotto controllo e che la risposta data dalle autorità cinesi fosse più che adeguata. Un caso emblematico, trasmesso dai media di tutto il mondo, è stata l’ormai famosa costruzione in dieci giorni di un ospedale a Wuhan. Evento che ha portato molti commentatori occidentali a lodare l’organizzazione cinese e persino a chiedersi se qualcosa di questo tipo potesse avere luogo nei rispettivi paesi.

Quando però il virus ha superato i confini nazionali, la narrazione è mutata. La nuova immagine che il governo ha voluto costruire era quella di una Cina che, dopo avere risolto brillantemente il suo problema interno, era pronta ad aiutare i suoi partner internazionali, sostenendo incondizionatamente le nazioni europee. Un tentativo sicuramente ben riuscito, data la grandissima risonanza mediatica, anche qui in Italia, dei comunque encomiabili aiuti cinesi al nostro paese. Una risonanza ben diversa rispetto a quella ottenuta dalle azioni di soccorso e amicizia che ci sono arrivate da tanti paesi europei e dall’Unione Europea stessa, che invece è stata spesso dipinta come una matrigna avara e severa.

Eppure, il cambiamento davvero cruciale nella strategia comunicativa è arrivato all’inizio di marzo, quando l’epidemiologo cinese Zhong Nanshan, che ha guidato la lotta contro la SARS nel 2003, durante una conferenza stampa a Guangzhou ha dichiarato che anche se il virus era stato individuato per la prima volta in Cina, ciò non significava necessariamente che fosse nato lì. Poco dopo, il messaggio è stato amplificato da Lijian Zhao, portavoce e vicedirettore generale del dipartimento dell’Informazione del Ministero degli Affari Esteri, che ha detto ai giornalisti che “non è stata ancora raggiunta alcuna conclusione sull’origine del virus”.

Una settimana dopo, il 12 marzo, il portavoce del ministero degli Esteri ha raggiunto la notorietà globale grazie a una serie di tweet con collegamenti ad articoli e video che implicavano come fossero gli Stati Uniti i responsabili dell’epidemia. Nel giro di poche ore quei tweet hanno collezionato oltre 160 milioni di visualizzazioni, anche grazie alle condivisioni degli ambasciatori cinesi in Francia, Germania e Sudafrica.

A completare il quadro la denuncia di una fake news cinese arrivata da una fonte autorevole, il Financial Times. Pochi giorni dopo aver annunciato l’invio di forniture mediche all’Italia, i media cinesi, e in particolare l’account del sopracitato portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian, hanno mostrato dei video di italiani affacciati alla finestra e in strada che applaudivano all’inno nazionale cinese. Ma un’analisi condotta dallo stesso Financial Times ha sollevato molti dubbi sull’autenticità dei video, alimentando così i timori sulla propaganda di Pechino in Europa.

Tutte queste narrazioni, una volta ricevuta la legittimazione da parte di un organo ufficiale, hanno preso piede velocemente, spinte da sempre più utenti, veri o fasulli, sui social media. Secondo il Servizio Europeo per l’Azione Esterna l’obbiettivo principale della Cina è proprio quello di creare confusione sul dove sia nata la malattia. Infatti una delle storie più popolari degli ultimi mesi, che ha raccolto oltre mezzo miliardo di interazioni sui social media cinesi, sosteneva come in realtà il focolaio originale fosse proprio quello italiano, insinuando in molte persone il dubbio che le cose non stiano come racconta la versione ufficiale.

In ultima analisi, per quanto le tecniche russe siano state prese ad esempio dal governo cinese per veicolare la propria narrazione e per confondere le acque nell’immaginario collettivo sulle proprie responsabilità, si può dire che l’attività di Pechino sia una semplice evoluzione e sofisticazione di quei meccanismi di propaganda nazionale a cui tante volte abbiamo assistito nella storia.

Molto meno chiara, più subdola e strisciante l’attività della Russia, che invece investe costantemente per sponsorizzare su diversi canali non con il solo obbiettivo di migliorare la propria immagine nel mondo, ma anche per diffondere nei paesi occidentali narrazioni completamente false o del tutto inventate, allo scopo di minare la fiducia, già molto bassa - spesso a ragione - nei nostri media tradizionali e nelle nostre istituzioni.

Fake bot e Troll

Fake bot: profili social di identità inventate, controllati da algoritmi informatici che producono interazioni ed attività senza intervento umano (se non di programmazione iniziale).

Troll: creatura sotterranea della mitologia nordica, un mostro che distrugge e insozza. Può avere un doppio uso. Nell’accezione più bonaria trollare è sinonimo di prendere in giro. Nei casi migliori è anche un modo di provocare intellettualmente, mettere in dubbio verità precostituite. Nei casi peggiori si arriva al vandalismo, al puro disturbo: schiere di utenti, reali o meno, che lasciano feedback e commenti negativi sotto i contenuti social dei loro bersagli.