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Diario di un immunodepresso

Alcune osservazioni sulle vicende del mondo al tempo del coronavirus

Walter Ferrari

Un mondo a rovescio.

È stato dato ampio spazio alla notizia che i calciatori della Juventus hanno raggiunto un accordo con la Società per una riduzione dei propri compensi, visto che il campionato di calcio si è fermato.

Si parla di un risparmio per la società calcistica di 90 milioni di euro in quattro mesi, da marzo a giugno. Nello stesso tempo le trasmissioni televisive mostravano il lavoro nei nostri ospedali e in una di queste il giornalista chiedeva ad una infermiera a quanto ammontava la sua paga; la risposta è stata: 1.400 euro mensili di paga base. A prescindere dall’emergenza, che sta scaricando tutto il suo peso sulle strutture sanitarie e sugli operatori delle stesse, vi pare che il compenso dei calciatori e lo stipendio degli infermieri siano commisurati alla loro utilità sociale?

Papa Francesco in piazza San Pietro vuota

La realtà che prorompe sull’onda della pandemia. Quanto affermato da Papa Francesco nei giorni scorsi rappresenta una constatazione illuminante e che merita di essere, sia pure laicamente, posta al centro dell’attenzione. Il pontefice ha sottolineato come l’emergenza sanitaria stia facendo emergere una realtà fin qui nascosta. Quale è questa realtà nascosta e chi, e per quali motivi, l’ha fin qui nascosta? Non si tratta solo delle inadeguatezze dei vari sistemi sanitari sottoposti da decenni a continui tagli di spesa, la cui aziendalizzazione (risalente alle cosiddette riforme susseguitesi a partire dal 1992) anche in Italia ha sottratto il Servizio Sanitario Nazionale alle logiche proprie di tutela sanitaria per sottoporlo a quelle di mercato, aprendo spazi sempre più ampi e lucrativi alla sanità privata. Né si tratta solo dell’esclusione di sempre maggiori fette della popolazione mondiale da un diritto fondamentale quale dovrebbe essere quello alla salute: basti pensare che nel Paese più ricco, gli Stati Uniti, oltre il 20% dei cittadini sono privi di assistenza sanitaria, vale a dire non sono cittadini al pari degli altri.E non si tratta nemmeno soltanto delle differenze che stanno emergendo tra Paesi ricchi e Paesi cosiddetti poveri (sarebbe meglio dire depredati e impoveriti) o all’interno delle stesse due categorie di Paesi, con la progressiva concentrazione della ricchezza in poche mani, anche se questo è l’elemento centrale sotto il profilo economico. Un elemento che gli economisti cercano di nascondere dietro l’ideologia della assoluta efficienza del mercato, evitando ogni ricerca empirica che mostrerebbe proprio il continuo aumento delle diseguaglianze che si accompagna al fondamentalismo del mercato.

I politici di quasi tutti gli schieramenti fanno loro da grancassa con proposte di flat tax che, abbassando la tassazione sui redditi delle aziende, generano benefici solo sulle grandi aziende multinazionali e i loro azionisti, scaricando gli oneri relativi ai mancati introiti e di conseguenza tagli ai servizi (sanità, scuola, ricerca, ecc.) sulle piccole imprese e sui lavoratori (dipendenti, autonomi, precari).

Ancora una volta quanto è successo negli USA è illuminante: nel 1985 le imposte per le multinazionali ammontavano al 49% e nel 2019 soltanto al 24%; dal 1980 al 2014 il reddito medio è cresciuto dell’1,4% annuo e ciò si è tradotto in un aumento delle entrate per lo 0,1% degli statunitensi più ricchi pari al 320%, mentre per l’85% della popolazione (classe operaia compresa) tale crescita ha avuto scarsi o pressoché inesistenti benefici. Popolazione che in questi giorni paga un ulteriore sovrapprezzo, visto lo sbando in cui si trova il sistema sanitario americano di fronte alla pandemia.

Ciò che l’emergenza sanitaria rende oggi meno facile da nascondere è l’insostenibilità di un sistema economico, negli ultimi decenni sfrontatamente basato sull’ideologia neoliberista, che ha trasformato tutto in merce e in rapporti di tipo mercantile. La mano invisibile del mercato è penetrata in ogni interstizio delle nostre vite, mediando quasi completamente il rapporto tra l’umanità e gli altri esseri viventi, tra la società umana e il mondo che la ospita. Vita umana e vita in generale sono state trasformate in mere occasioni di profitto, i rapporti umani e l’intero mondo naturale ridotti a merce.

Il virus sta drammaticamente ricordandoci, così come le parole di Francesco, non solo che questo non è il migliore dei mondi possibili, ma che è oggi più che mai necessario pensare a un altro mondo possibile.

Perché la Lombardia?

Ancora una volta Report, la trasmissione d’inchiesta giornalistica di Rai 3, merita un plauso per avere mostrato i retroscena nascosti dietro la virulenza del coronavirus in Lombardia.

Sentire il messaggio “Tutti andranno avanti con i loro affari come sempre”, lanciato dalla Confindustria di Bergamo ai clienti stranieri, quando già l’epidemia in alcune aree lombarde era scoppiata e mieteva le prime vittime, fa un certo effetto. Scoprire che la stessa Confindustria e suoi esponenti illustri hanno fatto di tutto per evitare l’istituzione della zona rossa in Val Seriana, rende a pieno l’idea di cosa voglia dire vivere in una società che mette il profitto davanti a tutto.

Scoprire poi che il Coronavirus in Lombardia ha trovato terreno fertile grazie al depotenziamento continuo a cui è andata incontro la sanità pubblica in favore di quella privata, rende ulteriormente evidente quale sia la differenza tra la tutela della salute come bene comune e diritto, o invece come mera fonte di lucro.

Report ha fatto bene a ricordare la riforma Formigoni che ha equiparato la sanità pubblica a quella privata, introducendo tra le stesse il principio della concorrenza di mercato e portando al dimezzamento dei posti letto nella sanità pubblica favorendo i profitti delle cliniche private convenzionate. Altrettanto bene ha fatto a ricordare i tagli alla spesa sanitaria, in particolare per quanto riguarda i medici di base e l’assistenza territoriale, operati da Maroni, a proposito dei quali Giancarlo Giorgetti dichiarava spavaldo: “Chi va più dal medico di base?”. Sentirlo sostenere che ormai tutti cercano in Internet lo specialista che più gli aggrada, a maggior ragione oggi che molti hanno difficoltà a far fronte alle proprie esigenze alimentari, dovrebbe illuminare l’elettorato leghista appartenente alle fasce economicamente più deboli della popolazione. Tanto più che dall’inchiesta è emerso chiaramente che il depotenziamento della medicina di base è stato uno degli elementi per cui la pandemia è dilagata in Lombardia.

L’altro elemento, come accennato, è stata la resistenza opposta dalle aziende alla chiusura della attività produttive non essenziali, per cui nel distretto industriale della Val Seriana hanno continuato a far lavorare i propri dipendenti anche nel pieno dell’emergenza sanitaria.

Report ha evidenziato il caso della Tenaris, con sede legale in Lussemburgo, di cui è proprietaria la famiglia Rocca che, unitamente al gruppo presieduto da Angelino Alfano, controlla il 50% delle cliniche private lombarde (ovviamente convenzionate).

Che le cose vadano così, a questo punto, c’è poco da stupirsi: in fondo questi signori guadagnano sia quando una persona è sana e va a lavorare che quando si ammala e occupa un posto letto nelle loro cliniche convenzionate.

Porti chiusi.

Alla nave Alan Kurdi, che ha soccorso decine di migranti in mare, è stata negata l’autorizzazione ad attraccare in un porto italiano. L’Italia non è un Paese sicuro! La sensazione che le cose stessero in questo modo, a dire il vero, serpeggia da qualche anno e in modo particolare fra coloro che ancora si richiamano alla sostanza dei valori affermati nella Costituzione repubblicana. Dall’avvento al governo del Cavaliere fino alla predicazione xenofoba di Salvini, la vita dei cittadini italiani non si è certo fatta più sicura. L’emergenza sanitaria in corso ci sta insegnando che non di muri per respingere gli immigrati avevamo bisogno, bensì di posti letto nelle terapie intensive. Non di regionalismo, ma di un sistema sanitario pubblico fatto di assistenza territoriale e di presidi ospedalieri che tutelassero anche la vita degli operatori.

Che però oggi si invochi, da parte del Governo, l’emergenza sanitaria per non prestare soccorso a un centinaio di naufraghi è scandaloso, a maggior ragione dopo che fino alla scorsa settimana si sono accolte nei nostri porti gigantesche navi da crociera con migliaia di persone a bordo. Evidentemente la vita di quei disperati africani, siriani o afghani non vale quanto quella dei vacanzieri europei o americani. Così, mentre ci siamo lamentati per settimane della poca solidarietà nei nostri confronti da parte dell’Europa, oggi dimostriamo la stessa scarsa sensibilità nei confronti di chi proviene dall’altra sponda del Mediterraneo. Eppure in queste settimane sembrava che il Coronavirus ci avesse insegnato a superare il nostro egoismo sostituendo l’Io con il Noi. O forse questo vale solo all’interno dei sacri confini della Patria, all’ombra del Tricolore?

L’Africa, il debito e il Coronavirus.

Il virus in Africa

Da alcuni giorni l’Organizzazione Mondiale della Sanità sta lanciando l’allarme per l’accelerazione del contagio in Africa e le sue possibili disastrose conseguenze. Un allarme che trova ragione nell’assenza o inadeguatezza dell’assistenza sanitaria nei Paesi africani e nelle condizioni di vita di buona parte della popolazione.Pare però che l’orizzonte della classe politica dei vari Paesi europei trovi difficoltà a spingersi oltre i confini nazionali, immaginarsi al di là del Mediterraneo. Fino ad ora si è sentita solo qualche flebile voce favorevole all’azzeramento del debito dei Paesi africani, ma nulla di più.

Le parole più sensate in proposito non sono state pronunciate da un politico ma da un uomo di spettacolo e ciò dovrebbe far riflettere. Qualche giorno fa, infatti, è stato l’attore Giobbe Covatta a ricordare, in una breve intervista televisiva, come sia assurdo parlare di debito, in quanto l’Africa non può avere alcun debito verso i Paesi europei: “Per rendersene conto basta leggere qualche libro di storia”. Egli ha giustamente ricordato che da secoli le risorse dell’Africa vengono depredate dai cosiddetti Paesi industrializzati e come esempio ha citato il Congo, ex colonia belga, spogliato sistematicamente delle proprie risorse fino ai giorni nostri. Ecco perché, come ha affermato Covatta, “l’Africa non può avere debiti”.

Galere turche e Coronavirus

Ieri Rai News 24 ha dato la notizia dell’amnistia concessa dal Presidente turco Erdogan a migliaia di detenuti, al fine di alleggerire le strutture carcerarie di fronte al contagio che si sta diffondendo nel Paese.

Il provvedimento ha ridato la libertà ad assassini, stupratori e trafficanti di droga, escludendo rigorosamente e quindi lasciando in carcere centinaia di dissidenti ed oppositori politici. Tra questi lo scrittore Ahmet Altan e il leader dell’HDP (Partito democratico dei popoli) avvocato Selahattin Demirtas. Con loro rimarranno in carcere oltre una decina di deputati dello stesso partito HDP, decine di attiviste del TJA (Movimento per la libertà delle donne), decine di membri del DTK (Congresso della società democratica) e del Congresso democratico dell’Islam, docenti, avvocati, magistrati e giornalisti.

Anche in questo caso la pandemia sta contribuendo a svelare al mondo la reale natura del governo turco. Un governo, è bene ricordarlo, al quale l’Unione europea ha affidato il compito di guardiano delle proprie frontiere pagandolo profumatamente per fermare i migranti e per questo trattato sempre con estrema benevolenza.

Profonda tristezza

Luis Sepulveda

La notizia che il coronavirus si è portato via Luis Sepulveda mi ha profondamente rattristato. Non solo tristezza, ma anche rabbia, perché, ancora una volta il virus ha colpito duramente non solo gli strati sociali più deboli ma anche uno scrittore che ad essi e alle loro più nobili aspirazioni ha sempre dato voce e prestato le sue parole.

Anche il fuoco, a casa mia, bofonchia arrabbiato dentro la stufa, come mi pare di averlo raramente udito.

Addio combattente gentile, irriducibile oppositore di ogni dittatura, fosse quella fascista di Pinochet o quella del mercato nella moderna era del capitalismo neoliberista. Nel silenzio della cucina, stasera, mi sento più solo.

Colpi di mano

Mentre eravamo “covidistratti”, il Presidente della Giunta provinciale di Trento ha emanato un decreto con il quale ha affidato gli “affari in materia di veterinaria e sicurezza alimentare” alla competenza dell’assessore all’Agricoltura Giulia Zanotelli. Un colpo di mano magistralmente messo in atto lo scorso 13 marzo, quando l’attenzione veniva catalizzata dall’emergenza ormai alle porte, reso di pubblico dominio soltanto qualche giorno fa da un articolo dell’Adige.

La decisione di Fugatti, volta a scardinare l’impianto peculiare del nostro sistema sanitario nazionale, ha lasciato alle competenze dell’assessore alla Sanità la “tutela degli animali d’affezione e prevenzione del randagismo”. Essa appare ancora più grave, a maggior ragione oggi in relazione alla pandemia, in quanto le modalità di allevamento e connessa sicurezza alimentare stanno assumendo un ruolo importante proprio in relazione allo sviluppo e diffusione di tali pandemie.

Fugatti sottomette di fatto ad un assessorato che si occupa di attività economiche, quale appunto l’agricoltura, un’attività di controllo pubblico sulla sanità delle popolazioni animali e sicurezza delle produzioni alimentari che dovrebbero essere volta alla tutela dell’intera popolazione e non piegata alle esigenze di questa o quella lobby economica.

Bene ha fatto il consigliere provinciale Filippo Degasperi (solo lui se ne è accorto?) a presentare un’interrogazione ponendo la questione appunto del conflitto d’interessi e chiedendo che tali deleghe vengano riportate al più presto nell’area sanitaria.

Bene farebbero però anche i cittadini a far sentire la loro voce in merito.

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