Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 11, novembre 2018 Monitor: Arte

“Un viaggio nel fango e nella confusione con piccole boccate d’aria”

Nathalie Djurberg & Hans Berg. Rovereto, MART, fino al 27 gennaio

Vladimiro Sternini
“Worship” (2016)

Chi ritiene che l’arte contemporanea sia troppo concettuale, per iniziati e soprattutto noiosa, con questa mostra avrà da ricredersi. Nathalie Djurberg dal 2001 realizza videoanimazioni con la tecnica della stop motion, ovvero montando delle fotografie in sequenza per dare l’illusione del movimento; tecnica le cui origini risalgono alla fine dell’Ottocento, ma che è ancora utilizzata da molti artisti per il suo carattere magico ed evocativo.

Le animazioni dell’artista svedese, realizzate nella parte audio dal musicista elettronico Hans Berg, affrontano deliri e perversioni della società contemporanea, i suoi miti, le sue miserie. Il sottotitolo della mostra ben delinea quello che aspetta il visitatore varcata la soglia d’ingresso: “Un viaggio nel fango e nella confusione con piccole boccate d’aria”. Ad accoglierlo una parata di uccelli a grandezza naturale, dai fenicotteri ai tacchini, dai pellicani alle aquile, realizzati dalla Djurberg in tela dipinta con tonalità sgargianti e filo di ferro. Molte di queste creature si ritrovano in cinque installazioni video visibili nella stessa sala, alcune delle quali incentrate sulla messa in scena di un’idea di violenza e sopraffazione ambientata in spazi sempre ridotti, come ad esempio gli interni domestici: stanze tappezzate al limite della claustrofobia. L’animale è sempre uno specchio dell’uomo, è la sua deformazione grottesca, e in questo l’artista ricorda molto gli animali umanizzati del celebre illustratore romantico Grandville, con il quale condivide anche il gusto per il fantastico e l’onirico.

La sala che segue presenta un’antologia dei primi lavori video della Djurberg, compresi i primissimi realizzati animando dei disegni monocromi. Troviamo qui riflessioni sul ciclo della vita (Turn into Me), in cui una donna morta in un bosco viene “animata” dalle creature che si nutrono di lei, ma anche episodi di satira sociale, come in The Parade of Ritals and Stereotypes, ove - dal predicatore all’aspirante modella - tutto è intriso di frivolezza, esteriorità e senso di vuoto.

“We are not two” (2008)

Varcato l’angolo, ad accoglierci è un ambiente a forma di enorme patata, con tanto di germogli. The Potato è una sorta di grotta che ospita tre installazioni video, due delle quali rimandano al tema della madre. Una madre tutt’altro che protettiva e amorevole nei confronti dei figli: in My Mother’s Side un’obesa uccide involontariamente, schiacciandola, la figlia che l’accudisce; in It’s the Mother, come in un incubo, tre bambini rientrano nel corpo della madre sofferente, deformandolo.

Giunti a metà percorso, ecco la boccata d’aria promessa dal sottotitolo: The Black Pot è una sorta di spazio di decompressione, un’installazione video che occupa tre pareti, con tanto di cuscini al centro in cui il visitatore è invitato a sedersi. Rispetto al resto della mostra, qui è la musica a dominare, e le immagini, astratte, sono di puro accompagnamento. Tuttavia la pausa è breve: nella stanza successiva, Cinema, troviamo alle pareti una serie di sculture con evidenti rimandi alla sessualità. Le stesse luccicanti sculture le ritroviamo in uno dei tre video proiettati nella sala, Worship, anch’esso carico di una forte ed esplicita sensualità, dinamizzata da un ritmo di sonorità incalzanti, con numerosi rimandi al mondo dei video musicali, soprattutto hip-hop.

Le ultime sale documentano la produzione più recente della Djurberg, con molti lavori del 2018, come il video Delights of an Undirected Mind, che inizia con scene che rimandano al mondo dei cartoon per l’infanzia, ma che presto si trasforma in un incubo senza capo né coda. Oppure l’installazione Cheer up - Yes you are Weck and yes, Life is hard, che ritrae un gruppo di animali intenti a consumare un lauto banchetto attorno a un tavolo circolare, opera che a ben guardare risulta inquietante, specchio della perfidia umana.

Chiude il percorso l’ultimo e avveniristico lavoro dell’artista, It will End in Stars, fruibile sono in determinati orari in quanto necessita della presenza di un operatore. Si tratta di una vera e propria esperienza di realtà virtuale, tramite la quale il visitatore viene proiettato all’interno dell’animazione e può interagire con i personaggi che la animano.

Parole chiave:

Commenti (0)

Nessun commento.

Scrivi un commento

L'indirizzo e-mail non sarà pubblicato. Gli utenti registrati non devono inserire altre verifiche e possono modificare il proprio commento dopo averlo inserito.

Riporta il codice di 5 lettere minuscole scritto nell'immagine. Puoi generare un nuovo codice cliccando qui .

Attenzione: Questotrentino si riserva la facoltà di cancellare commenti inopportuni.