Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 11, novembre 2018 Cover story

La fine dell’isola felice (che non è mai esistita)

Considerazioni sulla campagna elettorale e l'esito delle elezioni di un ex candidato

Ciascun lettore capirà quanto sia rischioso affidare una riflessione sull’esito delle elezioni provinciali del 21 ottobre a un candidato che ha partecipato alle stesse. Rischioso ma forse utile. Certamente la mia analisi sarà di parte, più personale che politica. Ancora una volta sarà il lettore a giudicare l’onestà intellettuale dello scrivente.

Non interessa qui rivendicare la bontà o meno di una scelta che per forza di cose è “partigiana”, di parte, suscettibile a critiche e opposizioni. Questo è il bello della democrazia. Il bello di mettersi in gioco, di misurare il proprio consenso. Siamo tutti persone normali per cui è gratificante sentirsi apprezzati, mentre non è sempre facile accettare un’opinione contraria alla propria. In questo senso la campagna elettorale è un’esperienza significativa. Una palestra di vita in cui è interessante allenarsi.

È la prima volta che mi sono candidato alle elezioni. Forse sarà l’ultima. Ma mai dire mai in politica. Ho voluto cimentarmi adesso proprio perché questo tempo non è normale. Dal dopoguerra in poi non abbiamo mai vissuto una stagione così difficile. Facendo la tara con la consuetudine – forse inevitabile – di considerare il passato migliore del presente, nessuno potrà negare la regressione in atto. Di linguaggio, di idee, di provvedimenti concreti. La violenza politica di oggi è lontanissima da quella degli anni ‘70. Forse però è una forma di violenza peggiore, perché scagliata contro i diversi. Quarant’anni fa, se così si può dire, c’era una tensione costruttiva, oggi completamente distruttiva. Dilaga l’odio. La volgarità.

Cosa c’entra questo con le elezioni in Trentino? A mio avviso il risultato delle elezioni si lega a questo clima generale. Parlare della nostra Provincia come “isola felice” da sempre avulsa dalle dinamiche nazionali e internazionali è una sciocchezza grande come il provincialismo che la sottende. Il Trentino invece è stato ed è pienamente inserito in dinamiche più complesse della propria auto-referenzialità. Così la sorpresa di un Trentino “diverso” da quello immaginato, leghista (della peggior Lega, anche se Fugatti si presenta come aperto al confronto), estremista, probabilmente razzista, è la reazione di anime belle che stentano a vedere la realtà.

In Trentino, quando il regime era in auge, tutti erano fascisti (senza dimenticare le sparute ed encomiabili eccezioni), salvo svegliarsi tutti democristiani e degasperiani con la caduta di Mussolini.

Sono esagerazioni ovviamente. Iperboli. Ma non voglio fare un ragionamento storico. Voglio dire che l’autonomia del Trentino pensata in questi termini è una grande illusione. E leggere i risultati del voto come “la fine dell’anomalia trentina” è altrettanto fuorviante. Trentino anomalo soltanto perché Dellai, anche quando Berlusconi era vincente, riusciva ad arginare l’ondata di Forza Italia: ma perché non si è mai detto questo della Val d’Aosta o al limite dell’Emilia Romagna? Ci si cullava in miraggi di continuità. I segnali invece erano evidentissimi, segnalati più e più volte da questa rivista. Ma non si poteva dirlo, non si poteva parlare di contenuti. Solo assetti, nella speranza che “se la coalizione fosse stata unita” si sarebbe vinto a prescindere.

Un clima plumbeo

Paolo Ghezzi e Giorgio Tonini

In campagna elettorale aleggiavano sentimenti contrastanti. Visto che “la coalizione si era spaccata”, per alcuni si partiva perdenti in partenza. Quindi clima plumbeo, voglia di fare pari a zero. Soprattutto dalle parti del PD. UPT non pervenuta.

La tesi era già precostituita: si perderà per colpa dei litigi personali, del “suicidio collettivo” determinato dalla scelta di non ricandidare il presidente uscente. D’altra parte ci si affidava disperatamente alla presunta anomalia. Poi, come è inevitabile, tutti sono stati travolti dalla frenesia di passare da un incontro all’altro, dal tentativo di finire sui giornali, dalla necessità di farsi vedere, di contattare amici persi nella memoria ma ripescati per l’occasione, di sentire i parenti fino al quinto grado…. “Dopo il 21 farò …”: quante volte mi sono ripetuto questa frase. E confesso che è anche stimolante essere parte di una campagna elettorale, un mese che sicuramente resterà nei miei ricordi. Si sono rimandati impegni, scadenze, progetti. Il tempo è come sospeso, in attesa del verdetto. Si possono fare analisi politiche in questi giorni convulsi? Domanda retorica la cui risposta negativa è inevitabile.

Piazze piene, urne vuote” si diceva una volta dalle parti della DC per sottolineare l’esistenza di quella “maggioranza silenziosa” che alla fine, turandosi il naso, garantiva i voti allo scudocrociato. Oggi non si può più affermare questo. L’esperienza della campagna elettorale mi ha fatto toccare con mano la difficoltà di organizzare incontri pubblici e soprattutto la scarsità del pubblico intervenuto a fronte degli sforzi. Anche in questo caso ci sono le eccezioni (come gli incontri di Futura2018 al Muse): ma negli eventi territoriali, togliendo i candidati, spesso i cittadini presenti si contavano sulle dita di una mano. È un problema generale: anche solo rispetto a 15 anni fa è difficile coinvolgere la gente nelle associazioni di ogni tipo.

Tuttavia le piazze per Salvini erano piene. Poi la Lega non ha fatto praticamente campagna, ma la sensazione era quella di un disincanto se non di aperta ostilità verso il centrosinistra. Gli elettori comuni volevano un cambio. Una campagna on line, con lettere, prese di posizioni sui giornali, contatti personali, telefonate, non basta. Occorre essere presenti sul territorio, andare in giro, stringere mani. Cominciare a farlo un mese prima delle elezioni è una vana rincorsa, un esercizio sterile, a volte controproducente. Questo contatto mancato da anni con la gente è il segno più evidente della crisi della sinistra.

Quindi il 22 ottobre è arrivato puntuale, così come la sconfitta della coalizione di Giorgio Tonini. Non voglio addentrarmi nei risultati, né miei né di quelli della mia lista. Ognuno avrà la sua opinione. Rimando agli articoli di questo numero di QT. Quello che sconcerta è capire quanto molti politici – eletti e non eletti – di quello che fu il centrosinistra autonomista sembrano ancora essere al punto di partenza, alle diatribe sul candidato presidente, sul Rossi sì o Rossi no.

Ma forse sono ancora più indietro, prima del 4 marzo. Alcuni a rimpiangere il “Dellai nostro leader”, alcuni a ripetere “avevo ragione io, con Rossi si vinceva” modificando all’uopo persino le regole dell’addizione. L’analisi si limita sempre a quello: le correnti interne, i personalismi, la tendenza nichilista della sinistra.

Programmi, contenuti, errori della Giunta uscente? Nulla di tutto questo. Solo l’accusa a quei quattro idioti che avevano messo in discussione le mirabili sorti e progressive del centrosinistra autonomista, invece di capire che, come sentenziava Ugo Rossi in uno spot elettorale, “La ricetta è semplice: continuiamo così”. Continuiamo a perdere voti. Continuiamo ad allontanarci dalla gente.

Personalmente sono contento che sia finita questa campagna elettorale. Per qualcuno non è mai iniziata, per altri dura sempre. Intanto sembra non interessare quello che accade “fuori”. Ecco, se una cosa ho imparato da questa esperienza sta tutta qui: la sinistra perde perché non sa più quello che accade “fuori”. Non pretendo di dare lezioni a nessuno, ma nel mio piccolo voglio parlare sempre di più di contenuti. È una promessa di un non eletto.