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I’ve had enough, Mr. Zuckerberg

La mia relazione con Facebook è iniziata tardi e terminata un po’ di mesi dopo. Ogni qualvolta mi connettevo avevo l’impressione di trovarmi in un immenso suk in cui tutti urlano ed esibiscono mercanzie soggette a immediata decomposizione. Mi prendeva un certo stordimento nel veder scorrere quel magma irrisolto di immagini e parole. Quando cercavi di afferrarle, quelle parole, ti sgusciavano via come le trote, travolte da nuove ondate di cicaleccio. Un cicaleccio inclusivo delle pulsioni che più appagano la nostra ansia elementare di comunicare: il piacere del vanto, della lusinga, dell’incazzatura, del complimento, del dileggio. Un vorticare caotico di buoni e cattivi sentimenti, un frullato umano di tutto e il suo contrario. Immergendomi in quel brodo mi rendevo conto di essere un corpo estraneo. Non riuscivo a bearmi di ciò che ad altri suscitava benessere. Mi pareva che qualsiasi pensiero venisse deposto in quella pentola a pressione, inevitabilmente perdesse consistenza riducendosi in poltiglia. Un canederlo sfatto. Non mi sorprende che si cominci a dubitare dell’efficacia dei social nel migliorarci la vita: “È sempre più evidente come la nostra illusione di cambiare il mondo a colpi di hashtag e like si sia infranta contro la consapevolezza che il binomio’ più connessione uguale più democrazia’ funzioni davvero poco”. (Anna Serafini, Corriere della sera, 20 agosto). Già, è dura pensare di cambiare il mondo gingillandosi in un altro, fra spritz virtuali e tartine di aria fritta.

Una sera, durante il mio periodo feisbuchiano, mi attardo a corrispondere con una vecchia conoscente. Si affrontano temi seri: morte della madre, lavoro, amici in difficoltà. L’indomani ci incrociamo per caso: nessuna decelerazione, passo deciso, occhio fisso sulla strada. In quell’attimo mi si staglia l’assurdità di spendere energie praticando una seconda vita fasulla. Sento l’urgenza di staccare la spina: “I’ve had enough, Mr Zuckerberg!”. Gli restituisco l’anello di fidanzamento, che ci sta tutto in un pacchetto di bit. Poi assaporo un sorso della mia sigaretta quotidiana e... sorrido.

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