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QT n. 6, giugno 2014 Cover story

Itea: da rottamare?

La trasformazione in spa si rivela un boomerang. Così si dà il via a un nuovo strumento, il Social Housing, e subito si inizia male.

È stata privatizzata, però tornerà pubblica. Anzi no, forse avrà una riduzione delle tasse come gli altri istituiti di case popolari. Ma se è stata trasformata in Spa con una legge del 2005? Una Spa per l’edilizia abitativa pubblica? Ma come fa un Istituto di case popolari, che per definizione deve dare un’abitazione alla popolazione povera, e che quindi non può non essere in perdita, a diventare una società per azioni, che per definizione deve fare utili?

Queste sono le magie della politica, per di più in quegli anni sedotta dalle sirene del neoliberismo; e nel disegno di legge Dalmaso del 2004, diventato operativo nel 2007, ce ne vengono fornite le spiegazioni. Dunque, innanzitutto si è passati a Spa (pagando in consulenze la bellezza di 1,8 milioni) per poter adeguare i canoni Itea a quelli di mercato (a noi era subito sembrata una bestialità), con una previsione di entrate valutata in circa 40 milioni, contro i 10 milioni degli anni precedenti raggiungendo quindi una graduale autonomia finanziaria rispetto alla Provincia. Con gli utili così incassati si dovevano finanziare i contributi necessari per mantenere i canoni sociali: una roba a dir poco macchinosa, ma tant’è.

Secondo motivo: una Spa può indebitarsi, evitando così alla PAT di ricorrere al debito anche per l’edilizia abitativa, con il rischio di non rientrare nei rating finanziari a tripla A, indispensabili, in quegli anni, per fare ricorso ad altro debito. Insomma, un’operazione di mera cosmesi finanziaria, perché i debiti, della Pat o delle sue partecipate sempre debiti sono; comunque in questo modo, Dellai sosteneva di poter attuare un piano straordinario della costruzione di 9000 alloggi pubblici in 10 anni, che era poi l’obbiettivo primario della riforma. Insomma mani libere, un assetto societario che la Presidente ITEA Spa Aida Ruffini, da noi intervistata, ritiene “ad alto indice innovativo, con strumenti di analisi finanziaria più raffinati”.

Noi però continuiamo a non comprendere quale necessità abbia un Istituto di case popolari di “strumenti raffinati di analisi finanziaria”, e ci sorge il dubbio che questo passaggio a una società partecipata abbia voluto (soprattutto?) eludere le esigenze di trasparenza, meno tutelate nelle spa rispetto alle aziende pubbliche.

La trasparenza è assolutamente garantita - ci dice Ruffini, snocciolando una serie di ragioni - Il capitale sociale è della Provincia ed è vincolato alla destinazione sociale, i bandi sono pubblici e soggetti alla disciplina europea sugli appalti ed alla normativa nazionale. Gli acquisti li fa la CONSIP (l’organismo consortile per il risparmio negli acquisti della pubblica amministrazione) e le cessioni pure.”

E le assunzioni del personale? Occorre ricordare che da quando è partita la Spa nel 2007, Itea ha quasi raddoppiato il personale (ma le Spa non dovevano essere più efficienti?). Durante il passaggio infatti gli 88 dipendenti in organico hanno scelto di rimanere provinciali, mentre sono state fatte una sessantina di nuove assunzioni con contratto privato.

Sì, non sono stati proprio concorsi pubblici - si difende Ruffini - comunque sono selezioni molto accurate con una commissione interna molto severa.”

Tasse esorbitanti e obbiettivi disattesi

Aida Ruffini

Questo quindi il quadro di partenza di Itea Spa. Negli anni però la scelta ha mostrato tutti i limiti di una politica che pensa di poter fare e disfare a proprio piacimento: le maggiori entrate di cui si fantasticava, da 10 a 40 milioni, logicamente non si sono verificate (il canone medio, che era di 120 euro, è stato portato a 150, di più non si poteva fare, pena lo stravolgimento degli obiettivi). Ad aggravare poi il quadro finanziario è intervenuto un fattore che i poco lungimiranti consulenti nel 2005 non avevano previsto: un aumento progressivo del carico fiscale, soprattutto sulla casa, da cui sono esentati - guarda un po’! - gli Istituti case popolari, ma non, ovviamente, le immobiliari private, tra le quali finisce ahinoi con il rientrare Itea Spa.

Ecco quindi che la “riforma” del 2005 diventa un clamoroso boomerang: nel 2013 versa in totale 9 milioni e 611.159 euro di imposte sul reddito, Ires, Irap, ecc, alle quali va aggiunta l’imposta comunale sugli immobili (Ici/Imu) per altri 1,5 milioni di euro, cifre che rappresentano l’86% del bilancio 2013 dell’ente. Il risultato è che la disponibilità liquida della società passa da 16,8 milioni del 2012 a 11,5 del 2013, oltre 5 milioni di euro in meno. Con i costi (gestione dei servizi, fornitori, manutenzione) in aumento del 9%, per stare in piedi non rimane altro da fare se non tagli al personale, blocco del turn over, con un risparmio del 3%. Tutto questo pur in presenza nel 2013 di maggiori contributi da parte della PAT: 8 milioni in conto esercizio e 16 milioni in conto capitale, per nuovi lavori.

In questa maniera si riesce a chiudere in positivo il bilancio 2013 con un attivo di 125.000 euro, ma è chiaro che l’”autonomia finanziaria” di Itea promessa dal passaggio a spa non solo è una bufala, si sta trasformando nel suo contrario, una maggior dipendenza dalla Pat. E anche il piano straordinario di 9.000 alloggi in dieci anni è in ritardo, a sette anni dalla trasformazione di ITEA in società per azioni, ne sono stati realizzati circa la metà, mentre il fabbisogno di alloggi popolari rimane ancora alto: nel 2013 su un totale di 4.899 domande, i contratti stipulati in base alle graduatorie sono stati 242.

Insomma, la patata bollente della tassazione rischia di minare l’operatività gestionale di ITEA, che fare?

Inizialmente si pensa di riportare ITEA a società pubblica, dentro l’alveo provinciale, ma la cosa è più difficile del previsto, sia per i dipendenti assunti con contratto privato, che per altre questioni burocratiche. Cerca di correre in soccorso della PAT un emendamento, poi ordine del giorno del senatore Franco Panizza al decreto emergenza casa, che chiede una riduzione del 50% dell’Ires, pari a circa 5 milioni di euro; ma fino ad ora senza successo in quanto lo Stato, per equiparare ITEA agli altri Iacp (Istituti autonomi di case popolari) dovrebbe rinunciare a quei cinque milioni, e con la spending review in atto, non è proprio aria.

Ma perché tutta questa preoccupazione se poi i 9/10 delle tasse, grazie allo Statuto di Autonomia, dovrebbero tornare in Trentino? Non si tratta di una partita di giro? L’Itea paga allo Stato, lo Stato restituisce alla Pat? Il motivo è molto semplice, nessun economista, parlamentare, alto funzionario e forse nemmeno il presidente della PAT, in questo momento può dire se quei nove decimi rimarranno tali. Dal 2009, data dell’accordo di Milano in poi, le cifre ballano, tra riserve dell’erario, ricorsi della Provincia nei confronti dello Stato e altre partite ancora tutte aperte.

L’incertezza presente e il “nuovo che avanza”

E per il 2014 come si esce da questo pasticcio? La Provincia in bilancio ha previsto solo 10 milioni di euro per ITEA, vincolati alle ristrutturazioni e nemmeno un centesimo per nuove costruzioni. Pur tenendo conto che ITEA ha ancora 1025 alloggi da occupare, la tendenza pare quella di considerare la Spa una sorta di vuoto a perdere, per orientarsi verso un nuovo strumento: l’housing sociale, percepito come meno oneroso, con una platea di accesso più ampia verso le classi medie, ma con qualche punto interrogativo niente affatto banale, come riferiamo più avanti.

E ITEA ritornerà pubblica?

Non importa se pubblica o privata - afferma Franco Ianeselli della CGIL - l’importante è dare risposte ai cittadini. Se grazie all’housing sociale si riesce anche a dare un po’ di respiro occupazionale all’edilizia in crisi, tanto di guadagnato, si recuperano posti di lavoro ed al contempo si danno risposte ai bisogni abitativi.”

Non vede il rischio che la Provincia paghi un prezzo di mercato troppo alto per l’invenduto acquistato con il fondo di investimento immobiliare del social housing?

Meglio sarebbe progettare e poi far costruire alle ditte in difficoltà - asserisce convinto Ianeselli - il rischio attuale è un atteggiamento minimale dell’ente pubblico nei confronti della politica della casa”.

Walter Allotti della UIL è molto preoccupato per le sorti di ITEA, soprattutto alla luce del fatto che ATAS (Associazione Trentina di accoglienza stranieri) si trova a dover dare risposte a gruppi sempre più numerosi di italiani in difficoltà. “Nel 2013 gli italiani sono il secondo gruppo nazionale di persone e famiglie che chiedono un intervento temporaneo - riferisce - donne con bambini, genitori separati, forse ci stiamo dimenticando degli ultimi. La notizia che la costruzione di nuovi alloggi ITEA è ferma è angosciante.”

L’Housing sociale

Il fatto è che la Pat sembra puntare su un nuovo strumento: l’housing sociale. Presentato con grande enfasi, è un organismo complesso che intende mettere insieme investitori privati e finalità sociali, secondo lo slogan pubblico\privato molto in voga fino a qualche anno fa, e in ogni caso molto allettante dal punto di vista teorico.

Si tratta di dar vita a un fondo - Housing Sociale Trentino - promosso dalla Pat. La quale indice una gara tra le Sgr (società di gestione risparmio): la vincitrice rastrellerà soldi, che verranno investiti in alloggi da destinare ad affitto a canone moderato. La differenza tra il suddetto canone (400 euro) e quello di mercato, viene pagato dalla Pat.

Come si vede, la differenza rispetto ad Itea è macroscopica: l’ente pubblico non costruisce più, non è proprietario, paga (in parte) l’affitto. Dato a prima vista sconcertante: nessuno, se solo può, va in affitto, la casa in proprietà è notoriamente più conveniente. Né sembra lungimirante la motivazione per cui con il Social Housing si mettono in circolo mezzi finanziari privati: perché è vero, ma poi, tra Provincia e famiglie affittuarie, li si remunera, e bene, con gli affitti secondo il mercato.

Comunque il social housing è uno strumento molto diffuso all’estero, a iniziare dal nord Europa, sembra con buoni risultati. E in Trentino la spinta verso di esso è sostenuta anche da una certa disaffezione verso Itea spa: per i problemi fiscali che abbiamo visto, per l’incremento di personale (ma di chi è la responsabilità?), per la perdurante difficoltà a reperire le aree su cui costruire (nessuno vuole come vicini i poveri, magari immigrati).

A questo si aggiunga che il Fondo, rastrellando 110 milioni, si ripromette di acquistare a breve 500 alloggi, il che sarebbe molto positivo non solo per le relative 500 famiglie, ma anche per immobiliaristi e imprese edili, che hanno sul groppone stock consistenti di invenduto.

Per questo insieme di motivi l’Housing Sociale sembra portato a debordare dal suo ambito. Dovrebbe andare a colmare una lacuna nella politica abitativa provinciale: la classe medio bassa, troppo ricca per accedere all’edilizia pubblica, troppo povera per acquistarsi la casa, e quindi strangolata da affitti pesanti. Insomma, l’Itea è riservato a chi ha un coefficiente ICEF fino a 0,23, oltre - ICEF tra 0,18 e 0,39 - interviene l’Housing.

Bene. Ma tutta questa enfasi sul nuovo strumento dalle mirabolanti capacità di rastrellare soldi, non sta portando a trascurare il fatto che esso è rivolto a una determinata fascia di popolazione, e altre - che non possono permettersi i 400 euro al mese - sono tagliate fuori, come peraltro sottolineato in un’interrogazione del Gruppo Consiliare del Movimento 5 Stelle? E d’altra parte non si va in pratica a rottamare uno strumento, l’Itea, che pur tra alti e bassi, per 40 anni ha garantito, e a costi meritoriamente contenuti, un’abitazione decorosa a decine di migliaia di persone altrimenti derelitte?

Non solo. Sul Social Housing questa che abbiamo illustrato è la teoria. Ma tutti sappiamo che nella pratica l’inviluppo politica\finanza\immobiliari non è dei più tranquilli.

E la prima operazione effettuata in effetti preoccupa. Si è trattato (vedi anche il numero scorso di QT) di un’acquisizione nel complesso Corti Fiorite dell’imprenditore Dalle Nogare, sull’orlo del fallimento. Due piccioni con una fava? Si fa un affare e si salva un’azienda?

Non proprio. L’esborso previsto è di 21 milioni, per realizzare 76 alloggi: al valore di 276.000 euro ciascuno, nettamente superiore ai 200.000 euro (poi portati a 220.000) previsti dal Regolamento del Fondo e peraltro giudicati eccessivi (i 200.000) da un articolo sullo “Speciale Social Housing” del Sole 24 Ore (ricordiamo inoltre che la bistrattata Itea costruisce, e non male, a 150.000 euro ad appartamento). Ecco quindi che subito, si deraglia. E ci piacerebbe anche sapere come si è arrivati a questo acquisto, se si sono rispettati tutti i passaggi e le valutazioni di conformità al Regolamento.

Il Presidente Ugo Rossi, che noi avevamo indicato nello scorso numero come sponsor politico di questa poco brillante operazione, ci ha telefonato indignato (eufemismo), sfidandoci ad esibire un atto della Giunta da lui presieduta che avvallasse l’inghippo. E in Consiglio provinciale, in risposta a analoga interrogazione del consigliere Filippo Degasperi dei 5 Stelle, l’assessore Dal Doss analogamente si trincerava dietro l’autonomia del Fondo, che i soldi li gestisce come meglio crede.

Invece il 20% dei soldi viene dalla Pat (che quindi paga due volte, come sottoscrittore del fondo e come contributo all’affitto) altri vengono da realtà parapubbliche come Pensplan, e tutta l’operazione è pubblico\privata. Ma il politico ci mette i soldi (nostri) e poi, di fronte alle perplessità sulla loro gestione, magari influenzata dalle sue stesse pressioni, si nasconde dietro il privato.

Forse questi giochini non sono l’ultima delle motivazioni per cui si costruiscono barocche architetture societarie, dagli esiti spesso sconfortanti.

Il dirigente perdonato

È poco commendevole la storia che andiamo a raccontare. Ci risulta che uno dei massimi dirigenti di una società partecipata della Pat sia stato scoperto mentre visitava siti pornografici a pagamento. Affari suoi. Ma lo faceva con una chiavetta aziendale, attraverso la quale avrebbe speso, addebitate all’Istituto, cifre molto, molto consistenti.

Scoperta la cosa, per un po’ si traccheggiava, anche perché si era ancora scottati dal caso di un dirigente della Pat implicato in pesanti molestie sessuali. Poi una delibera della Giunta Provinciale provvedeva a sollevare il dirigente dall’incarico e trasferirlo alla Patrimonio del Trentino (la Chiesa evidentemente insegna, con i suoi trasferimenti di parrocchia in parrocchia dei preti pedofili).

Solo che a questo punto, onore al merito, il dirigente di Patrimonio del Trentino non ci stava: lui il soggetto in questione non lo voleva proprio. La Giunta abbozzava, e si provvedeva a “convincere” il reprobo ad andare in pensione.

Corrisponde al vero questa ricostruzione dei fatti?

Se sì, si pongono varie questioni: utilizzare soldi pubblici per i propri vizietti, è reato? Se è reato, il reprobo lo si denuncia oppure ci si accontenta (come sembra avvenuto in questo caso) di una restituzione del malspeso? Il dirigente disinvolto, lo si rimuove o lo si sposta? Per i dirigenti è previsto un regime diverso dai comuni impiegati? (Ricordiamo il caso dell’impiegata pesantemente sanzionata per aver utilizzato il Pc aziendale per inviare mail contro l’inaugurazione di Lettere affidata al Vescovo).

Vorremmo chiarimenti.

e. p.

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La riforma ITEA fra inquilini e consiglieri
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Commenti (3)

itea uno schifo exinquilino itea

Itea mai più ex inquilino. Itea crede che le persone sono animali gli dai un tetto e basta così, le case di cartone freddissime muffa da per tutto addirittura arrivava al terzo piano. Chiamavi l'Itea passavano settimane le mattonelle del poggiolo che si staccavano bagno che perdeva crepe sul muro sia interno che esterno il parquet che si è alzato quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso dopo tutte le banche del trentino che ho girato finalmente c'è l' ho fatta ho comprato casa non potevo stare in un cesso pieno di muffa con 2 bambini piccoli io sono andato via ma penso alle persone che abitano ancora in quello schifo roncafort via dell'asilo

quasi due milioni in consulenze Carlo

Più che un male Trentino lo definirei un male politico... consulenti che si fanno pagare moltissimo per dare dei consigli sbagliati e naturalmente nessuno è responsabile delle decisioni prese e tutto finisce in gloria! Mai che qualcuno ne paghi le conseguenze! Milioni di euro buttati, servizi scadenti e famiglie bisognose che restano senza casa... e chi è responsabile di tutto ciò? Pagherà qualcosa? Sicuramente no e avrà magari qualche bell'avanzamento di carriera!

chi paga ?? Pantalone

Questo articolo mette ancora una volta alla luce i mali del Trentino. Chi ha fatto la scelta di privatizzare ITEA è stato sanzionato ? Nel privato un manager che avesse effettuato una scelta aziendale rivelatasi poi disastrosa sarebbe stato allontanato.
In Trentino no... Ai vertici di PAT, COOP, Casse Rurali ecc. ci sono i soliti noti che si sono circondati di parenti e amici. E' così che funziona in Italia e così funziona in Trentino. Se sei amico/parente di qualcuno che conta vieni assunto (anche con lauti stipendi) a dispetto del curriculum. Quelli bravi ... che mettono in vista l'altrui incapacità vengono "segati" subito.
Oltre ai casi di Lavis, andate a verificare la situazione dell'Apt di Rovereto... gente messa li - senza concorso/senza esperienze pregresse nel turismo- non si sa il perché .... mah !!! e intanto noi paghiamo ... ma i soldi stanno finendo... forse è il caso di segnalarlo ai nostri "amati" politici.
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