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Sempliciotti ma non troppo

Qualche idea sul Canada e i suoi abitanti

Nell’immaginario collettivo ogni Paese ha il suo stereotipo fatto di icone pop-culturali: formaggio e baguette, palla ovale e hamburger, e via dicendo. Anche il Canada non sfugge a questa caratterizzazione (sciroppo d’acero, Lumberjack e camicia a scacchi), dietro cui si cela l’idea di un Paese semplice, anzi, sempliciotto, fatto di aitanti boscaioli e guardie a cavallo, una realtà felice ma ignorante, ospitale ma isolata. In effetti, stiamo parlando di uno Stato che conta la metà degli abitanti dell’Italia pur essendo il secondo al mondo per estensione. Un certo senso di isolamento, persino nelle grandi città come Vancouver, Montreal, Toronto e Ottawa, è inevitabile. Aidan, una ragazza che studia con me a Victoria, vicino a Vancouver, ancora non si capacita che in Europa bastino dieci ore per guidare da un capo all’altro del continente: lei, quando torna a casa in macchina, impiega diciotto ore senza mai uscire dalla British Columbia. Guidare da una parte all’altra del Paese attraverso tutte e dieci le province comporta quattro giorni filati, senza contare le soste: quasi quanto la Transiberiana, per capirci.

In questi spazi sconfinati, nel mio periodo di studio all’università di Victoria, mi accorgo che il Canada è, in realtà, un Paese complicatissimo. È una nazione nuova, anzitutto: più di metà della popolazione di Vancouver è di origine asiatica; a Toronto, meta favorita dell’immigrazione italiana, uno dei nomi più comuni è Roberto, mentre a Montreal, città francofona, c’è una grande comunità indiana. Senza dimenticare gli altri indiani, quelli d’America, i nativi, che hanno subito un brutale sterminio, ignorato dai libri di storia occidentali. A questo tema (‘Natives and newcomers’, letteralmente ‘Nativi e nuovi arrivati’) è dedicato uno dei mie corsi universitari. Alla prima lezione il professore chiede ai presenti di menzionare le loro origini. “Cosa significa?” chiedo al compagno di banco. “Vuole sapere da dove veniamo noi, i nostri genitori, o al limite i nonni: se sono emigrati dall’Europa o dall’Asia”. Solo uno studente su 40 risponde che la sua famiglia è canadese da generazioni.

In questo mosaico culturale emergono comunque alcune comunanze nazionali. Tutti i canadesi, siano le loro famiglie indiane, scozzesi, cinesi o italiane, indossano sempre un cappello di lana e impazziscono per l’hockey su ghiaccio: la vittoria della nazionale canadese contro gli Stati Uniti nella finale olimpica dell’anno scorso viene tutt’ora celebrata come un trionfo, un momento storico. Ma su quella partita pesa anche un altro aspetto: l’ambiguo rapporto del Canada con l’ingombrante vicino di casa, che ha una fortissima influenza sui costumi e i consumi locali. Film, programmi e sport in TV sono praticamente gli stessi; le grandi leghe sportive di hockey (NHL), baseball (MLB), e basket (NBA) comprendono team americani e canadesi senza distinzioni; e tutto quello che è canadese si mimetizza in questa sorta di fusione culturale (pochi sanno, ad esempio, che Nelly Furtado, Avril Lavigne, Bryan Adams, Neil Young, e Joni Mitchell sono canadesi). È forse per questa confusione che a Vancouver nutrono un malcelato astio verso il loro ingombrante vicino. L’anti-americanismo come fenomeno sociale nacque proprio qui, in seguito al rifiuto di Quebec e Nuova Scozia di prender parte al Congresso americano nel 1775 e alla successiva invasione dell’esercito confederato - peraltro sconfitto malamente. Ogni volta che mi rivolgo ai miei compagni d’università iniziando con un “Ma voi americani...” vengo bruscamente corretto: “Noi non siamo americani!”.

Politicamente, tuttavia, Canada e Stati Uniti non sono mai stati così vicini. Il governo conservatore eletto cinque anni fa ha appoggiato l’invasione americana in Iraq, dando anche ampio spazio agli interessi del vicino nel recente G8 tenutosi a Huntsville, restringendo le proprie politiche immigratorie e appoggiando la ricerca di nuove fonti di petrolio nelle province occidentali, provocando un forte malcontento nella sinistra di un Paese che si era sempre distinto per le sue politiche multiculturali, ambientaliste e pacifiste. Alle elezioni di maggio, tuttavia, i liberali sono crollati al di sotto del 20%. Gli opinionisti dicono che gli elettori hanno premiato i conservatori per aver evitato - praticamente unico tra gli Stati occidentali - la grande recessione. Il Canada, infatti, è oggi uno degli Stati più ricchi e dinamici al mondo: lo stipendio medio supera i 4000 dollari mensili e trovare lavoro qui è molto più facile che in Europa, o negli Stati Uniti. Alla faccia del Paese sempliciotto e ignorante, e delle sue camicie a scacchi.

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