Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

Dieci anni: colpevole!

Avvertivo che l’infanzia stava sfumando. Mi ero allungata e smagrita. Cambiavo spesso umore. Quell’estate in colonia don Ottavio, il direttore dalla lunga tonaca bianca, mi aveva scelto fra le altre per farmi delle fotografie in spiaggia. Perché solo a me? Non l’ho mai capito. Con quel ridicolo prendisole a forma di tutù di un’altra bambina, poi. Era troppo piccolo e il mio disagio aumentava. Accigliata, sbirciavo le compagne che ridacchiavano guardandomi. Sapevo che avrei dovuto tirare i capelli a qualcuna per non esser canzonata anche dopo. Era la dura legge della colonia.

Iniziata da lì a poco la quinta elementare, mi operarono urgentemente di appendicite. I miei genitori, avvertiti al telefono, non fecero in tempo ad arrivare. Disinfettata con cura e spennellata di marrone, cercai invano di resistere all’anestesia fino all’arrivo dei miei. Al risveglio trovai la mamma accanto e di lato un’altra bambina operata come me. Papà, come dipendente dell’Inps, aveva diritto alla seconda classe in ospedale. Stanza da due, visite senza orario, trattamento da hotel, regali e attenzioni... un’insolita vita da principessa! Ma quando tornai a casa, trovai tutto come prima e la mamma che mi sgridava più del solito. Diceva che in ospedale mi avevano viziato. Sparirono le mie amate bambole di cartone con tutti i vestitini di carta. Perlustrai ogni stanza per mesi, supplicai invano i fratelli... Niente. Abbandonare a poco a poco la bambina che avevo dentro, fu molto doloroso.

A carnevale girava la polverina degli sternuti. E che sternuti. Fragorosi. Quel giorno tornai da scuola con mezza bustina nascosta e aspettai che la mamma si girasse per lavare i piatti. Da dietro le strofinai un po’ di polvere sotto il naso e... etciù!, etciù!, etciù! Una, due, tre volte e giù tutti a ridere. Alla decima volta, nessuno rideva più. Mi prese il panico. Iniziò a uscirle copiosamente sangue dal naso. E non si fermava più, tanto che papà decise di portarla in ospedale. Le cicatrizzarono la vena che si era rotta per gli sforzi. Tornò a casa la sera con due tamponi nel naso e l’espressione di una madre pugnalata alle spalle dalla figlia degenere. Ero affranta, ma il pianto era rintanato giù, da qualche parte, e al suo posto esibivo un’inedita faccia da schiaffi.

L’insegnante di religione ci diede da preparare un disegno sugli angeli. A quei tempi si ricalcava molto da altri libri, appoggiando con mano ferma il foglio su un vetro con una lampadina accesa dietro. Tutte, la lezione successiva, portammo il nostro disegnino autarchico. Tutte, tranne la nipote di un pittore, che poteva sfoggiare due angeli meravigliosi tratteggiati dal nonno. Don Mario vistò sbrigativo i nostri disegni, soffermandosi a elogiare quell’opera d’arte, premiata con il voto più alto. Quando poi ci disse di imparare da lei a disegnare; a voce alta protestai che non era giusto, perché era stato il nonno a farlo. Rimase di stucco per un attimo, poi gridando mi ordinò di uscire, aggiungendo che non voleva mai più vedermi in classe durante la sua ora. Gli angeli ribelli erano stati cacciati dal paradiso, a me cosa sarebbe successo? Aspettavo di essere punita dal direttore e anche dai miei. Ma stranamente nessuno mi sgridò e durante l’ora di religione rimasi proprio volentieri in compagnia delle bidelle.

Poi capitò quel terribile incidente per colpa mia. Rabbrividisco ancora se ci penso. Il pomeriggio si andava spesso a casa della zia. Sul terrazzo c’era un’altalena con la struttura di ferro e il mio fratellino, di soli quattro anni, non sapeva spingersi da solo. Allora lo spingevo per un po’, ma quando smettevo, cominciava a frignare finché riprendevo. Stavo parlando con le cuginette e all’ennesima richiesta l’ho spinto senza guardare se si stesse tenendo. Ricordo bene quel tonfo, il sordo rumore della testa sulle lastre del terrazzo. Un urlo tremendo. Gridavano anche i grandi che accorrevano. Perdeva conoscenza, la mamma cercava di tenerlo sveglio, lui vomitava. Lo ricoverarono con una grave commozione cerebrale. Mamma rimase con lui giorno e notte per molti giorni, fino a quando fu fuori pericolo.

Lui è cresciuto sano e intelligente. Ogni tanto con sarcasmo mi fa: “Ti ricordi il rumore della mia testa sul terrazzo? Di’ la verità... hai tentato di ammazzarmi da piccolo!”. Sì, lo so, ero una bambina e non l’ho fatto apposta, ma riuscirò mai a togliermi quel macigno dal cuore?