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L’eterno clandestino

La costruzione dell’illegalità, da Mussolini a Berlusconi

Si è clandestini perché si va contro la legge o è la legge stessa che crea clandestini? “Nessuno può trasferire la propria residenza nei comuni del Regno capoluogo di provincia, o in altri comuni con popolazione superiore ai 25 mila abitanti o in comuni di notevole importanza industriale, anche con popolazione inferiore, se non dimostri di esservi obbligato dalla carica, dall’impiego, dalla professione, o di essersi assicurato un proficua occupazione stabile nel Comune di immigrazione». È la “Legge contro l’urbanesimo” varata da Mussolini nel 1939, pensata per porre un freno alle migrazioni interne che, nella visione ruralista del Duce, avrebbero portato allo spopolamento delle campagne.

Il meccanismo messo a punto per cercare di bloccare le partenze suona molto familiare: “Per poter cambiare residenza bisognava avere un’occupazione nel luogo della nuova dimora, ma per ottenere un’occupazione era necessario possedere certificato di residenza nella città di immigrazione”, spiega la storica Marta Margotti (su www.istoreto.it).

L’inefficacia di questa legge fu totale: “Le migrazioni interne, occultate e sottaciute nelle statistiche ufficiali, continuarono, con la tendenza del Sud verso il Nord e dalle campagne verso i centri urbani”, conclude lo studioso Marco Palla (in Mussolini e il fascismo, Giunti).

Ma nonostante la sua inutilità palese, la legge restò in vigore fino al 1960, nel pieno dell’ondata migratoria interna del secondo dopoguerra: solo fino a quell’anno dal Sud erano partite per il triangolo industriale un milione di persone.

A Milano in quegli anni, gli immigrati - i più poveri, i clandestini - avevano un problema urgente sopra tutti: quello di trovare un’abitazione. Sorsero, alla periferia delle città, le “coree”, interi quartieri fatti di case tirate su alla buona, senza permessi: si viveva nelle cantine, in condizioni igieniche terribili, immersi nella povertà e nel degrado.

A sollevare il velo su questa situazione fu un grande sociologo e attivista politico, Danilo Montaldi (Milano, Corea, Feltrinelli), che nel 1960 scriveva: “Tale legge ha esercitato un’influenza negativa all’interno del fenomeno, ma non ne ha evitato l’intensificazione; essa giustifica il ricorso alla clandestinità da parte di numerosissimi immigrati, e contribuisce a mantenerveli”.

Goffredo Fofi, nel suo libro L’immigrazione meridionale a Torino (seminale ricerca del 1964 pubblicata da Feltrinelli), scriveva: “Per gli immigrati il discorso viene ripetuto fino alla ossessione, alla nausea: la Torino dal buon cuore che li accoglie chiede delle condizioni. Si dice insomma, e con il tono del padrone: siete sporchi e incivili, sfaticati e violenti, analfabeti e disonesti, ma noi - così bravi!- vi lasciamo venire... ma, attenzione!, c’è un patto da seguire: dovete cioè diventare come noi vi diciamo”.

E poi ci sono le migrazioni degli italiani nel mondo che - come hanno dimostrato le ricerche di Sandro Rinauro per il secondo dopoguerra - sono segnate fortemente dalla clandestinità: solo in Francia tra il 1946 e il 1950 arrivarono 143.416 lavoratori italiani, di cui il 40-50% (da 58.000 a 72.000 individui) clandestinamente. Gli sbarchi di immigrati extracomunitari in Italia sono sotto le 30.000 unità annue.

La clandestinità, come spiega il sociologo Enrico Pugliese (su http://docs.google.com), era l’unica modalità di uscita alternativa ai contratti tra stati (quali lo scambio braccia-contro-carbone col Belgio); “per questa ragione il suo studio risulta essenziale al fine di ridimensionare la vulgata sui clandestini attualmente dominante nella nostra società, che tende a ridurli strumentalmente ad allegorie d’invasione e criminalità”.

Negli ultimi anni c’è stato uno scivolamento linguistico che è indizio di un ben più consistente sgretolamento nel senso comune: clandestino è diventato sinonimo di criminale, ed essere clandestini un reato. Una definizione che male si attaglia per esempio alle badanti presenti in Italia (e in Trentino); eppure due terzi di loro sono clandestine.

E poi, nel nostro paese, grazie alla Turco-Napolitano prima e alla Bossi-Fini oggi, diventare clandestini è sorprendentemente facile. Un esempio tratto dal bel dossier Mandiamoli a casa, che sfata i luoghi comuni sull’mmigrazione (www.civati.it/mandiamoliacasa.pdf): “Un lavoratore che ha un incidente sul lavoro lo denuncia all’INAIL, è dichiarato inabile al lavoro dall’Asl e avrebbe diritto alla pensione di invalidità Inps. Però, essendo inabile al lavoro, non ha più un contratto di lavoro e non può rinnovare il permesso di soggiorno, quindi diventa irregolare”.