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QT n. 3, marzo 2010 Servizi

Primo marzo: la primavera dei migranti

Successo anche in Trentino per l’iniziativa antirazzista

Presidio davanti all’ospedale S. Chiara

L’immagine più significativa, quella che meglio descrive gli obiettivi della giornata del 1° marzo e dello “sciopero degli stranieri”, sono le lavoratrici delle pulizie del S. Chiara che nelle loro tute rosse raggiungono il presidio organizzato davanti all’ospedale dal Comitato Primo Marzo di Trento. Sono donne, sono immigrate e sono molto combattive: per loro è un momento delicato, visto che l’appalto l’ha vinto da poco una nuova azienda e si tratta di difendere le (magre) conquiste sindacali ottenute a caro prezzo.

Ma sono anche un po’ imbarazzate di essere al centro dell’attenzione: attorno alle 10.30 del primo marzo, infatti, lo spazio davanti all’entrata del S. Chiara si anima, si riempie di gente, migranti e italiani, e di parole. Tutti vogliono sapere qualcosa di loro e per tutte parla Zorica Petkovic, anche lei donna delle pulizie, delegata Filcams-Cgil, unica categoria a decretare lo sciopero in Trentino.

Il presidio organizzato dal Comitato è riuscito: ci sono tanti nastri gialli - simbolo della giornata di mobilitazione antirazzista, adottato anche da QT sul suo numero di febbraio -, gli striscioni e circa 150 persone. Non era scontato, soprattutto perché tutto è stato fatto in poco più di un mese e senza nessuna organizzazione (sindacato, partito...) alle spalle. Un movimento nato su Facebook che cerca di incidere sulla realtà; una scommessa difficile, basata sulla convinzione che siano prima di tutto gli immigrati a sentire il bisogno di autorganizzarsi per rispondere al clima di razzismo che si respira in Italia. Eppure, pensandoci bene, non è così scontato.

Nel corso del lavoro del Comitato, che ha promosso due assemblee pubbliche cittadine a Trento, due a Rovereto e numerose riunioni organizzative, si è molto discusso sulla difficoltà riscontrata nel coinvolgere in prima persona gli stranieri nel percorso di costruzione delle mobilitazioni.

Promuovere partecipazione politica è difficile anche tra gli italiani, figuriamoci tra gli immigrati: chi ha raggiunto una buona situazione esistenziale dopo anni di precarietà si guarda bene dal mettersi al centro dell’attenzione, non si sa mai... Chi invece è ancora in situazioni difficili non si sogna proprio di mettersi a fare politica. Esiste dunque, di fatto, una delega: “Fate voi che potete, parlate voi a nome nostro”, che corrisponde all’atteggiamento di una donna araba che al mercato prende un volantino del Comitato da una giovane italiana dicendole: “Per fortuna che ci siete voi!”. Poi c’è la paura dell’immigrato che, alla ragazza di origini rumene che volantina, dice: “Ma nel tuo paese stavi peggio, e allora perché ora qui ti lamenti?”, quasi a dire che in quanto immigrato ti devi accontentare e che i diritti sono riservati agli italiani.

Per chiedere un ruolo

Il concerto dell’OrchExtra Terrestre la sera del 1° marzo

Eppure questa delega e questa paura si possono superare: a poco a poco gli immigrati hanno cominciato a fare capolino alle riunioni del Comitato di Trento e, anzi, ne sono stati tra gli ispiratori. Come Ana, ragazza di origini rumene, da 9 anni in Italia, che durante la prima assemblea pubblica a Gardolo, ha spiegato: “Sono qui con voi stasera per chiedere un posto, un ruolo nella società dove lavoro, mi muovo, dormo, mangio, rido, piango, amo, respiro, insomma, dove vivo”.

Una società ancora piena di pregiudizi, entro la quale non riesci mai a sentirti a casa. “La gente fa fatica a salutarti, - racconta ancora Ana - quando entri in un bar ti guardano con disprezzo, quando ti siedi vicino alla signora sul pullman lei stringe più forte la borsa, quando vai a comprare un libro il negoziante allunga il collo per seguirti tra gli scaffali; arriva a casa il bambino in lacrime perché gli altri lo chiamano rumeno, al lavoro sei il migliore e dai il massimo, sei pagato sempre meno e devi sempre rispondere davanti agli altri”.

Presidio davanti all’ospedale S. Chiara

Eppure gli immigrati - e far riflettere su questo era lo scopo dell’iniziativa del 1° marzo - sono indispensabili nella nostra società: come faremmo a tenere pulite le stanze degli ospedali, le sale operatorie, se le donne delle pulizie del S. Chiara non ci fossero? Nonostante questa che parrebbe un’evidenza, capita che proprio una di queste donne, tunisina, leggendo in ospedale uno dei volantini del Comitato in vista del 1° marzo si faccia apostrofare da un paziente con epiteti razzisti, tanto da dover fare intervenire la caposala per sedare gli animi.

Da sempre - è la storia del ‘900 - i diritti, la loro conquista e il loro allargamento a strati sempre più larghi della società, sono stati collegati al lavoro: ecco una ragione in più che spiega la scelta dello sciopero come strumento di mobilitazione. Astensione dal lavoro che il 1° marzo è stata più che altro simbolico in tutt’Italia, con importanti eccezioni nel bresciano, dove da anni esiste un movimento dei migranti radicato e combattivo.

In Trentino la scelta di insistere sulla necessità dello sciopero inteso in senso tradizionale è stata importante, anche se è impossibile sapere quanti vi abbiano aderito o quanti, in provincia, abbiano indossato il fiocco giallo in solidarietà alla giornata di mobilitazione.

Il problema, nella nostra provincia come nel resto d’Italia, è stato che le organizzazioni tradizionalmente deputate a indire lo sciopero non lo hanno fatto. La CGIL nazionale si è limitata ad una adesione di massima, lasciando ai vari territori e alle categorie la decisione se indire o meno lo sciopero. E dando luogo anche a polemiche un po’ strumentali, come è successo anche in Trentino, dove il Comitato Primo Marzo e la Filcams-CGIL sono stati accusati di aver voluto dare vita a uno sciopero etnico, colpevole di dividere i lavoratori. E questo nonostante in mille modi, sia a livello locale che nazionale, fosse stato spiegato come l’astensione dal lavoro doveva riguardare tutti, italiani e immigrati, per fare riflettere sul ruolo di questi ultimi nell’economia.

Il sole del primo marzo

Tione, la vetrina dell’ASI (Associazione Solidarietà Immigrati).

Ma il sole del primo marzo, giallo anche lui, ha spazzato via queste paure ed ha illuminato le speranze dei partecipanti. Una lista infinita di realtà associative da tutta la provincia ha aderito alla giornata di mobilitazione (la lista aggiornata sul blog del comitato: www.primomarzotn.wordpress.com) mostrando la reattività su questo tema della società trentina: dalla “A” di Atas (Associazione trentina accoglienza stranieri) alla “T” di Trentinosolidale onlus, passando per il Csa Bruno e l’associazione “Il gioco degli specchi”.

Da Rovereto, dove nel pomeriggio del 1° marzo in piazza Malfatti si è tenuta una festa antirazzista con musica e testimonianze organizzata dal Comitato Primo Marzo insieme ad altre associazioni, alle Giudicarie, quella che si è messa in movimento è la parte migliore della società trentina. Una reattività che si è vista la sera di quel lunedì, quando l’Aula Magna del Museo di Scienze naturali a Trento non è riuscita a contenere tutti coloro (circa 200 persone) che volevano partecipare alla serata di musica, teatro e cinema organizzata dal Comitato Primo Marzo. Un evento emozionante e coinvolgente grazie alla musica dell’OrcheXtra Terrestre, alle letture di Andrea Castelli e al film di Katia Bernardi sulle badanti “Sidelki”.

Ora però- spentisi i riflettori - inizia il lavoro vero, quello di costruzione di un comitato popolare antirazzista che sappia coniugare l’analisi all’azione, la radicalità delle sue parole d’ordine (no al reato di clandestinità, no ai Centri di identificazione ed espulsione, no ai respingimenti in mare, no alle graduatorie separate per l’Itea, diritto di voto) alla capacità di parlare a tutti e in particolare agli immigrati.

Nel servizio dedicato al presidio davanti al S. Chiara, il giornalista del Gr regionale commentava così la manifestazione: “Ci si chiede se possano servire iniziative come questa”. È il momento di dimostrarlo.

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In altri numeri:
Lavori sporchi. Lavori da donne. Immigrate.

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