Un solo ordine: tagliare! E taglieremo!
Mentre a Roma la Gelmini si diverte a fare a pezzi la scuola, a Trento l’assessore Dalmaso non ci sta. E fa peggio. Cronaca in quattro atti di un pasticcio pasticciato.
C’era da aspettarselo: il mondo della scuola di fronte all’ennesimo tentativo di “riforma” è in subbuglio. Anche se la parola “riforma” in questo caso è eccessiva, dato che a ben osservare i cambiamenti previsti dalla ministro Gelmini possono essere riassunti con un solo termine: tagli. Le ragioni economiche, o presunte tali, hanno avuto la meglio su qualsiasi esigenza educativa e didattica. Una riforma degna di un ragioniere e poco più.
Niente di nuovo, si dirà. Eppure la sorpresa c’è e riguarda proprio il Trentino. L’assessore Dalmaso, infatti, ha deciso di preparare una riforma alternativa rispetto a quella nazionale. E il risultato è diverso. In peggio. O almeno così sostengono gli insegnanti delle scuola superiori, che appena hanno avuto l’occasione di gettare uno sguardo sui piani di studio provinciali (i documenti che indicano quali materie si insegneranno e per quante ore nei licei e negli istituti tecnici) hanno iniziato a mugugnare, ad irritarsi, fino ad arrabbiarsi seriamente.
Le ragioni di una simile reazione sono diverse e di seguito cercheremo di individuarne, nello specifico, alcune, sia relative al metodo che al merito.
La farsa delle commissioni
Quando due anni fa, in un incontro pubblico, il presidente Dellai aveva presentato il gruppo guidato dal pedagogista Michele Pellerey che aveva il compito di guidare i lavori per la riforma della scuola trentina, ai partecipanti erano rimaste in mente solo due cose: il taglio delle ore da passare a scuola (per lasciare più tempo libero agli studenti) e l’idea di creare delle commissioni di docenti che costruissero “dal basso” i piani di studio provinciali.
Di quelle due cose solo una è rimasta: il taglio delle ore, che ha assunto i caratteri di un semplice taglio di cattedre, come vedremo in seguito. L’idea, democratica, di utilizzare i docenti come creatori della nuova scuola superiore è invece naufragata in un mare d’ipocrisia.
Andiamo con ordine. Nel maggio 2009 ben duecento insegnanti delle scuole superiori trentine si dichiarano disponibili a partecipare ai lavori per i piani di studio. Non sembra loro vero di essere finalmente interpellati in occasione di una riforma. In realtà l’entusiasmo sciama rapidamente. Le commissioni dei docenti (guidate da alcuni dirigenti scolastici) vengono convocate solo due volte per parlare di aria fritta e poi, con l’arrivo dell’estate, sono dimenticate. A settembre i professori si aspettano di tornare a lavorare alla riforma, ma la loro è una attesa vana. L’11 settembre, infatti, esce la delibera provinciale che indica il monte ore minimo per gli istituti superiori, suddiviso in lezioni da 50 minuti. È l’inizio della fine.
Contemporaneamente in assessorato sono convocati uno ad uno, in seduta individuale, i presidi, ai quali i dirigenti provinciali mostrano alcune bozze di riforma. È un lavoro sotterraneo del quale sono tenuti all’oscuro i docenti. Ogni tanto escono delle notizie, ma sono spot incontrollati.
Tutto sembra fermo, fino a quando il 20 ottobre c’è il colpo di scena: le vecchie commissioni con i docenti volontari vengono sostituite con nuove commissioni di soli 5 membri, nominati dall’alto per meriti d’anzianità (vengono pure riesumati professori già in pensione). A queste nuove commissioni e ai dirigenti scolastici vengono consegnati delle bozze “top secret” che contengono i piani di studio già elaborati dalla Provincia. A loro spetta il compito di scrivere il cappello introduttivo in cui si spiega a quale profilo educativo si ispira la riforma. Ovvero: qualche chiacchiera sulle capacità che dovranno avere gli studenti al termine del percorso. Di fronte a questa farsa alcuni si ribellano e denunciano l’accaduto. Il professore Romano Oss, membro di una di queste commissioni, è netto: “Ci hanno obbligato a costruire il profilo degli studenti senza che potessimo indicare le discipline da insegnare e il monte ore. In pratica ci hanno chiesto un lavoro inutile, cioè di rivestire con delle belle parole quello che avevano già deciso loro”.
Ma le bozze “top secret” sono il segreto di Pulcinella e piano piano tutto esce allo scoperto, scatenando l’ira dei docenti, che si sentono presi in giro da un metodo fintamente democratico. E non hanno tutti i torti. Basti pensare che nel verbale della riunione del 4 novembre, rivolta alle commissioni per gli istituti tecnici, il dirigente provinciale Mario Turri promette che “c’è l’intenzione di riprendere il lavoro con i gruppi allargati, attivando cioè anche tutti quei colleghi rimasti al momento esclusi”. Promessa inutile, visto che è lo stesso Turri a dichiarare che è in preparazione un cd ufficiale “che ha lo scopo di illustrare a famiglie e studenti l’impianto della nuova riforma, e che conterrà anche la mappa dell’offerta formativa in Trentino” che questo cd verrà distribuito a inizio dicembre (come dichiarato in un’altra riunione), quindi ben prima che possano essere riconvocate le commissioni allargate.
Viene da chiedersi, inoltre: se quei cd vengono preparati ancora prima che le commissioni ristrette proferiscano parola, che potere hanno queste ultime di intervenire su quello che i dirigenti provinciali hanno già stabilito? Tutto sembra confermare che le decisioni siano già state prese e che le commissioni (allargate o ristrette) non contino un fico secco.
Un taglio pulito pulito
Come detto, la delibera provinciale dell’11 settembre prevede che in tutti gli istituti superiori trentini la singola ora di lezioni non duri più 60 minuti, bensì 50. Questo cambiamento ha delle conseguenze importanti. Consente, infatti, di tagliare cattedre senza sporcarsi le mani. Il giochino è presto detto: attualmente una cattedra intera prevede 18 ore settimanali da 60 minuti per un totale di 1060 minuti a settimana (solo di lezioni in aula, senza contare tutte le altre attività svolte fuori dall’aula). Introducendo le ore da 50 minuti ma mantenendo il monte ore complessivo invariato (1060 minuti), risulta che la cattedra piena passa da 18 lezioni settimanali a 21. In questo modo ogni 6 cattedre se ne può tagliare una. Risultato: un taglio di quasi il 17% delle cattedre. I precari possono dire addio alle loro speranze di lavorare e anche qualche docente di ruolo, pur non venendo licenziato, rischia di cambiare mansione.
Alcuni docenti delle Iti “Buonarroti” di trento ci hanno aiutato a fare i calcoli portando, infuriati, il loro esempio: “Attualmente alle Iti il monte ore annuo è di 1188, che corrisponde a circa 69 cattedre. con la riforma gelmini si passa a 1056 ore annue per circa 61 cattedre (taglio dell’11%). La riforma Dalmaso prevede, invece, 992 ore annue corrispondenti a 57 cattedre (taglio del 16%). ma quale progetto pedagogico c’è dietro a tutto questo? Vorremmo proprio saperlo”. Anche noi. Perché, in fondo, non si tratta soltanto di una questione occupazionale (i benpensanti per i quali i docenti sono dei privilegiati fancazzisti saranno finalmente contenti di vederli per strada, disoccupati). Si tratta di capire quale scuola si vuole realizzare in trentino, senza alcun progetto pedagogico chiaro alle spalle.
Cavie da laboratorio
La confusione che regna nelle teste dei dirigenti e dell’assessore risulta chiara, ad esempio, di fronte alla diminuzione delle attività di laboratorio. se da un lato Dalmaso dichiara di voler promuovere la conoscenza scientifica (consueta petizione di principio), dall’altro non si capisce perché la sua riforma dia un colpo di chiave ai laboratori di fisica e chimica negli istituti tecnici.
A livello nazionale, infatti, al triennio delle Iti sono previste per tutti gli indirizzi 891 ore annue di laboratorio. la riforma dalmaso, invece, differenzia tra i diversi indirizzi, abbassando notevolmente il monte ore complessivo del triennio, tanto che l’indirizzo più fortunato subirà un taglio di “sole” 104 ore, mentre gli altri vedranno addirittura dimezzate le attività pratiche di laboratorio.
Ci si chiede a questo punto se il futuro perito tecnico trentino potrà competere con i colleghi di altre regioni, a fronte di una preparazione scientifico-pratica molto meno incisiva.
Gente latina
Se negli istituti tecnici si combatte tra le provette dei laboratori, nei licei, invece, sono i dizionari di latino a fungere da sacchi di sabbia delle trincee.
La questione del latino a scuola (insegnarlo in tutti i licei? lavorare sulla lingua o piuttosto sulla letteratura?) è annosa e vecchia di quarant’anni, da quando il latino venne soppresso alle scuole medie.
Tuttavia i fronti dei “pro” e dei “contro”, spesso confusisi tra “passatisti” e “modernisti”, sono ancora caldi e la riforma Dalmaso non aiuterà a placare gli ardori. I Dipartimenti di Lettere dei diversi istituti si sentono minacciati leggendo i numeri dei piani di studio, specialmente al liceo scientifico. mentre a livello nazionale nell’arco del quinquiennio, infatti, verranno tagliate 123 ore di latino, in Trentino il taglio sarà maggiore, toccando le 147 ore. Senza dimenticare che proprio nella nostra provincia dovrebbe partire un indirizzo di liceo scientifico completamente privo del latino (chiamato Liceo Scientifico Trentino), ma che questo liceo non ha ancora ricevuto il riconoscimento da parte del ministero (quindi chi vi si volesse iscrivere, non sarebbe sicuro della validità legale del titolo).
Ancora una volta, resta aperto il nodo cruciale: sono chiari i tagli, del tutto oscuro, invece, è l’obiettivo a cui si vuole tendere, che risponde ad una sola domanda: quale “palestra intellettuale” vogliamo avere nella nostra società? Quella al servizio del mercato? Quella al servizio della scienza? Quella al servizio di nessuno? Questo piacerebbe sapere, tanto per capire in che posto stiamo vivendo. E se ne vale la pena.
La scuola “leggera” dalle radici lontane
Di tutta questa faccenda quello che non si comprende è il frettoloso decisionismo di Dellai e Dalmaso, che continuano a blindarsi dietro allo sterile slogan “è una riforma che mette al centro lo studente”. Ma al centro di che cosa, nessuno lo sa. Sembrano chiacchiere al vento.
I dati però non sono chiacchiere. E i dati indicano che il monte ore (da qualunque parte lo si guardi) calerà. Viene da chiedersi perché. Le uniche risposte possibili sono di tipo economico e di tipo politico.
Per quanto riguarda il primo, è presto detto: si vuole risparmiare denaro da spendere altrove.
Il secondo punto è, invece, più complesso. L’assessore vorrebbe chiudere la questione al più presto (con delibera di Giunta, senza passare dal Consiglio) sia per dribblare l’opposizione di parte del PD (Sara Ferrari, Bruno Dorigatti e Margherita Cogo tra tutti), sia per evitare la riforma Gelmini che dovrebbe passare entro fine dicembre. Ma non si capisce perché quando il Ministro Fioroni impose il ripristino degli esami a settembre Trento temporeggiò, mentre ora la stessa operazione non sia possibile.
Va detto, inoltre, che la “scuola Dalmaso” è la logica conseguenza della “scuola Salvaterra”. Era, infatti, l’ex assessore che predicava una sistema scolastico superiore che lasciasse più tempo per studiare o per godere delle offerte del territorio. Una scuola “leggera”, meno pesante e meno invadente, con maggior spazio (e denaro) per enti e associazioni del privato sociale. Tuttavia, ben pochi hanno rilevato che un modello di questo genere è ingenuo e classista. È, infatti, plausibile credere che il tempo sottratto alla scuola verrà davvero investito nello studio domestico da parte dei nostri 15-16enni? O resterà impigliato tra gli sms e il bar? Siamo sicuri, inoltre, che le cosiddette offerte del territorio saranno a disposizione di tutti? Per chi vive nei grandi centri e gode di una certa disponibilità economica, probabile. Ma per gli altri? E se per venire incontro alle classi più povere si proponessero i buoni prepagati dalla Provincia, che senso avrebbe tagliare da una parte per poi spendere dall’altra? A meno che non si volesse fare l’interesse di qualcuno. Magari proveniente dallo stesso mondo culturale degli ultimi tre assessori (Salvaterra, Dellai, Dalmaso). Un mondo che ha sempre visto la scuola pubblica (e laica) come qualcosa da limitare e tenere sotto controllo. La stessa logica, in fondo, che vigeva al Ministero della Pubblica Istruzione nella Prima Repubblica: va bene chiunque, purché democristiano.