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La livella

Fino agli anni ‘70 in pubblico le donne portavano il lutto stretto con calze velate e abiti neri. L’uomo un bottone di raso nero all’occhiello. Il periodo variava col grado di parentela della persona scomparsa. Un anno per un genitore, molto più per figli o coniuge. Senza le esagerazioni tipiche di altre realtà, il lutto lo portavano tutti. Ricchi e poveri, religiosi e non. Riuniti dalla poesia di Totò: “A morte ‘o ssaje ched’è?...è una livella”.

C’era la figura della vedova in gramaglie rimasta con figli piccoli da allevare e che aveva la solidarietà di tutto il vicinato. E quella della vedova allegra sulla quale si levavano le chiacchiere. Il patimento del vedovo dicevano invece fosse breve e paragonabile a quella specie di scossa che si prende sbattendo il gomito... Fa male sì, ma passa in fretta! A noi bambini veniva insegnato a portare rispetto alle persone in lutto col divieto di fare schiamazzi in loro presenza. Nelle case vicine si abbassavano volume delle radio e toni della voce. La morte faceva parte della vita e avveniva fra le pareti domestiche, quale elemento previsto anche se doloroso. L’ospedalizzazione estrema ha invece espulso la morte dalle case, occultandola alla visibilità sociale.

Nella mia infanzia ricordo senza traumi un cuginetto, morto dopo pochi giorni di vita, vestito di bianco come fosse per una festa. Quando gli adulti non guardavano, noialtri cuginetti lo si toccava, dapprima incuriositi come da un gioco nuovo, per poi tenerlo in braccio come una bambola.

Quando morì il nonno più caro, ero adolescente e lì capii cosa vuol dire non esserci più. La morte di mio padre invece fa sempre male a pensarci. Avrei, come ha scritto Auden, spento le stelle, imballato la luna e smontato il sole... Manifestando così al mondo tutto il mio dolore. Non avrei invece impedito ai miei figli allora piccoli, 8 e 3 anni, di vedere il nonno morto. Si evita il più a lungo possibile per tenerli lontani da quel dolore, non dando però loro modo di farne esperienza.

La società iperattiva non dà il tempo di chiudersi in lutto, sembra non sia opportuno esibirlo e dopo tre giorni si riprende il lavoro. Terapia d’urto dove solo i forti sopravvivono! Cancellato l’unico segnale pubblico di riconoscimento, magari si cammina vicini ma ignari del periodo funesto che sta attraversando quel signore che si ferma a comprare il giornale. Chi portava una volta il lutto era autorizzato a non aver voglia di parlare o sorridere. Non serviva nemmeno spiegare il perché. Ci vorrà una legge per ripristinarlo, pur senza renderlo obbligatorio? Sarebbe un dolore da riconoscere e rispettare.

Se ora fossi su facebook, sarebbe facile. Fonderei il gruppo “per tutti quelli che vogliono indossare un fiocchetto nero quando han subito un lutto”. Così capiresti al volo se la cassiera del supermercato non ha voglia di scherzare quel giorno. E se quell’amico invece lo toglierà, vorrà dire che il peggio è passato e gli è tornata voglia di sorridere.

"la livella" Principe Antonio De Curtis (in arte TOTO')

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