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QT n. 7, luglio 2009 L’intervista

Oltre alle case, ricostruire le persone

Il sostegno psicologico ai terremotati dell’Abruzzo. Intervista al dott. Marco Gradassi dell’associazione “Psicologi per i popoli.

“Il mondo altro non è che un gioco di dadi giocato da dei bambini...”. Con quest’amara riflessione comincia la testimonianza del dott. Marco Gradassi, dell’associazione “Psicologi per i popoli”, accorso in Abruzzo dopo il sisma per occuparsi di psicologia dell’emergenza alla comunità civile e ai soccorritori volontari. Quella in cui lavora è un’organizzazione, senza fini di lucro, che opera volontariamente dal 1999 con finalità umanitarie in situazioni di calamità.

Molti di noi hanno sentito parlare per la prima volta di un pronto soccorso psicologico affiancato al lavoro della Protezione Civile e della Croce Rossa.

La drammaticità di un sisma come quello che il 6 aprile, appena dopo le tre del mattino, ha colpito l’Aquila devastando contemporaneamente le dimensioni ambientali, sociali e psicologiche di un’intera popolazione, è insita nella sua natura. Nel giro di 23 interminabili secondi, scanditi uno a uno dallo scoppio delle tramezze e gli squarci dei muri portanti, 75.000 persone che possedevano una casa dove erano nati e avevano cresciuto i propri figli, avevano degli affetti e un lavoro... tutto questo si è sgretolato. Non solo le case sono crollate.

Vuol dire che anche le persone...

Quel lunedì sono stati due i terremoti. Come per le case che hanno risposto al sisma in modo diverso, crollando, lesionandosi gravemente o solo leggermente, così sono cadute le strutture portanti delle persone, che hanno risposto diversamente. Alcune crollando, altre perdendosi nei ricordi, altre reagendo con coraggio. Questi crolli dentro e fuori sono stati così evidenti, che gli psicologi convenzionati con la Protezione Civile sono stati chiamati fin dal primo momento.

Come avete organizzato i primi soccorsi psicologici?

Confesso che c’è stato anche per noi un primo, inevitabile smarrimento, immersi con la popolazione in un senso di stordimento e irrealtà. Poi abbiamo cominciato a lavorare: innanzitutto occupandoci dei bambini e così abbiamo fornito il campo, quando era ancora in costruzione, di una tenda diversa dalle altre, una ludoteca che si è presto riempita di bambini che, nonostante tutto, avevano ancora voglia di giocare. Poi una telefonata della Protezione Civile Nazionale ha chiesto che due di noi si recassero con urgenza all’obitorio da campo: stavano arrivando i parenti delle vittime per il terribile compito del riconoscimento. Infine, mentre il campo prendeva forma, abbiamo pensato a un’altra tenda da “rubare” all’incontenibile impulso di agire e agire in fretta: una tenda vicina a quella dei bambini, una tenda per i grandi, per pensare, al riparo da tutto il movimento, a ciò che accadeva. Passato il momento di massima emergenza, quella tenda è diventata uno spazio di ascolto psicologico.

A distanza di oltre due mesi la convivenza forzata nella stessa tenda di più gruppi famigliari sta causando problemi?

In un primo momento gli sfollati si sono sistemati nelle tende senza preoccuparsi della convivenza con altri gruppi famigliari, grati a tutte le persone che li stavano aiutando. Ma dopo oltre due mesi si è entrati in una fase diversa, da un certo punto di vista più difficile: gli esperti la chiamano la fase della disillusione. Si assiste a un considerevole calo di energia e speranza, sentimenti quale rabbia e tristezza prendono il sopravvento e si comincia a percepire la difficoltà delle convivenze forzate.

Le persone verranno seguite anche in futuro?

Come i tecnici dovranno ricostruire le case, così gli psicologi dovranno aiutare le persone a ricostruire le proprie strutture interiori, che risultano anch’esse lesionate. I progetti sono pensati per quattro diverse fasce della popolazione: i bambini attraverso la scuola e un’azione di supporto a insegnanti e genitori; gli adolescenti con la creazione di spazi a loro dedicati; gli adulti attraverso interventi individuali e di gruppo; gli anziani attraverso centri culturali e ricreativi.

Il susseguirsi delle scosse sta mettendo a dura prova il fragile equilibrio delle persone; soprattutto gli anziani, che hanno visto sgretolarsi il loro vissuto, sono incapaci di ricominciare.

Per la ricostruzione dell’Abruzzo ci vorranno molti anni e molto denaro, anche perché un terremoto non è fatto solo di pietre e case crollate...

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