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QT n. 6, giugno 2009 Servizi

Arriva il referendum

Intervista al prof. Giovanni Guzzetta, presidente del comitato promotore

Dopo lo slittamento di un anno a causa delle elezioni anticipate e dopo un estenuante tira e molla sull’accorpamento o meno della consultazione con le elezioni europee, finalmente il 21-22 giugno si voterà per 3 referendum elettorali. Ne parliamo con Giovanni Guzzetta, docente di diritto costituzionale (a Roma, dopo essere stato a Trento) e presidente del comitato promotore dei referendum.

Giovanni Guzzetta

Prof. Guzzetta, molti di coloro che vi avevano sostenuto nella raccolta delle firme (Di Pietro, parte del Pd e di An) ora sono molto perplessi o contrari al referendum. Come mai? Non è che nel frattempo l’obiettivo che vi eravate prefissati ha cambiato di senso?

“L’obiettivo era abbattere la legge elettorale ‘porcata’, come definita dal suo stesso estensore. E rispetto agli 820.000 firmatari, sarebbe fraudolento non mantenere l’impegno. Purtroppo è vero, molti hanno cambiato opinione, evidentemente il loro appoggio era strumentale”.

Veniamo al cuore del referendum: assegnare il 54% dei seggi in Parlamento non più alla coalizione, bensì alla lista vincente.

“Faccio una premessa: noi siamo cittadini, non parlamentari, e quindi utilizziamo i mezzi a nostra disposizione, abrogare delle norme, o cambiarle dall’interno; non possiamo presentare nostri disegni di legge. Noi stravolgiamo la ‘porcata’, eliminando la follia delle coalizioni, in cui i partiti sono contemporaneamente alleati e concorrenti. Con tale sistema le differenze politiche, compresse dentro le coalizioni, esplodono poi quando si governa (vedi adesso con le frizioni tra Pdl e Lega, e ancor più nella coalizione di Prodi). Il che porta all’instabilità, a un governo impegnato a risolvere le proprie contraddizioni, invece che i problemi del Paese”.

La democrazia...

“Questo sistema porta conseguenze gravi proprio sul piano della democrazia. Perché il parlamento dei nominati dalle segreterie di partiti irresponsabili, è indifendibile. La politica risulta molto più autorevole nei sistemi bipartitici”.

Ma nel bipartitismo, non risulta annullata la varietà di proposte presenti nella società?

“No. Se passa il referendum tutti i partiti saranno presenti in Parlamento, basta che passino lo sbarramento del 4%. Quello che cambia è il governo, fatto non più da una pluralità di partiti, ma da uno solo, che se ne assume la completa responsabilità. Capisco che culturalmente questo è difficile da capire: ma perché si è abituati a concepire la politica come trattativa, scambio, inciucio”.

Una delle accuse al bipartitismo è la tendenza a portare i due maggiori partiti a convergere al centro, presentando proposte analoghe, scolorite.

“A parte che non mi sembra che Bush abbia vinto con una proposta centrista, e neanche Obama, è vero che il bipartitismo porta a elaborare programmi complessivi, che cercano di soddisfare il maggior numero di interessi.”

La vostra proposta nasce dal disastro del governo Prodi, continuamente ricattato dai partitini. Oggi però il quadro è semplificato, con i partitini scomparsi e Pdl e Pd in posizione preminente. E i vostri temi appaiono meno attuali.

“Al contrario, se non si fa il referendum, è alto il rischio di tornare a una situazione balcanica come con Prodi. Nel centro-sinistra la deriva alla frantumazione è sempre attuale, e se ci fossero le elezioni si ricorrerebbe ancora a una coalizione di tante piccole forze, poco credibile e incapace di governare. La semplificazione che pur c’è stata nel 2008, è risultata propizia ma, grazie alle attuali regole, perdente.”

Lei porta ad esempio il partito laburista, dove convivono diverse culture, dai trotzkisti ai blairiani. Ma questo implica confidare nella democrazia interna ai partiti; che, si sa, è una frottola.

“Nei partiti la democrazia non sarà mai all’ordine del giorno finché sarà concesso, a chiunque è in dissenso, di uscire e fondare un nuovo partito. Occorrono regole perché il dissenso interno possa esplicitarsi. Oggi invece abbiamo false maggioranze bulgare (vedi Franceschini eletto col 90% dei voti) espresse da gente che poi è pronta ad uscire”.

I tre referendum

I primi due riguardano l’attribuzione del premio di maggioranza alla Camera e al Senato, il terzo invece è relativo all’abrogazione delle candidature multiple. Il 1° e il 2° quesito si propongono l’abrogazione del collegamento tra liste e del premio di maggioranza alle coalizioni di liste. Se il referendum passasse, il premio di maggioranza, pari al 55% dei seggi, verrebbe attribuito alla lista singola (e non più alla coalizione) che ha ottenuto più voti. Una seconda conseguenza è una contrazione dei seggi dei partiti minori e di opposizione, per i quali peraltro rimane la soglia del 4% alla Camera e 8% al Senato. Il terzo quesito referendario elimina la possibilità di candidature in più circoscrizioni (anche tutte!): la legge porcata dà infatti un enorme potere al candidato eletto in più luoghi (il “plurieletto”) che, optando per uno dei seggi ottenuti, permette ai primi dei candidati “non eletti” della propria lista di subentrargli nei seggi cui rinuncia. Dispone così del destino degli altri candidati la cui elezione dipende dalla sua scelta. (p.c.)