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Premaman

Che belli quei pancioni rotondi che crescono un bimbo! Messi in evidenza da magliette e pantaloni aderenti che ne seguono la pienezza. Rivincita dopo secoli di gravidanze nascoste con "chador" occidentali. Finalmente finiti i tempi dove il solo rappresentare la donna incinta nuda era un fortissimo tabù.

In spiaggia la mia vicina d’ombrellone - a quaranta giorni dal parto - portava il bikini dell’anno prima con un bellissimo pancione nudo. Sembrava di vedere - in controluce - il bambino succhiarsi il pollice a testa in giù. Mia mamma scuoteva la testa. Ai suoi tempi! Tutto coperto da gonnelloni con l’elastico che si allargava mese dopo mese.

A me fanno proprio gola. Eppure non vengo da un passato remoto. La prima gravidanza, nell’inverno 1975, fu all’insegna della tristezza degli abiti premaman. Tre informi e mortificanti scamiciati - marrone, grigio e verde scuro - indossati tutti i giorni per gli ultimi mesi. A mano a mano che il pancione cresceva - e aumentava la distanza con l’ombelico - i piedi sparivano. Il cappotto, che le ultime settimane abbottonavo a fatica, era un loden verde con ampio faldone dietro. Sempre più preoccupata mi osservavo lievitare giorno dopo giorno, diventare gonfia come una rana, goffa come un pinguino. A vent’anni succede di pensare – salvo poi sentirsi in colpa - ai jeans che magari non rimetterai più! Mi sentivo così sola e spaventata. Ero la prima ad aspettare un bambino fra le amiche, le dodici cugine, le colleghe.

Per fortuna a Trento si teneva allora il primo corso di preparazione al parto ed eravamo un piccolo gruppo di sette mamme esploratrici. Mi sentivo a casa in mezzo a loro. Si condividevano il pancione e la paura del parto, il timore che il bimbo non fosse sano e gli esercizi di ginnastica per rilassarsi. Tutte vestite quasi uguali, anche con lo stesso loden verde. Un tardo pomeriggio siamo uscite in gruppo chiacchierando fra noi. Ma ci sentivamo osservate con curiosità dai passanti. Io mi sono tirata su la sciarpa pensando "Oddio, sono diventata orribile!" Un’altra si è guardata le calze credendo si fossero smagliate. Una terza temeva di aver perso le acque per strada. Poi abbiamo capito: sette donne incinte con sette loden verdi! Ma portavamo bene e nessuno faceva scongiuri.

E’ poi arrivata la notte in cui, con un parto precipitoso, ho stupito l’ostetrica - che mi dava ancora dodici ore di travaglio - e fatto nascere il mio bellissimo bambino, immerso in tutti quei litri d’acqua che mi avevano gonfiato.

La seconda gravidanza - molto più serena - nell’estate ’80 osava qualche colore allegro. Il verde era diventato bandiera per lo scamiciato a quadri, verde pisello con fiorellini per il vestitino fresco, a pois per il costume da bagno intero, con castigata gonnellina che copriva l’inguine.

La nascita della bambina mi fece provare una gioia immensa – speravo tanto fosse femmina – e mitigò il rammarico di essere arrivata troppo presto. Da lì a poco iniziava un cambiamento radicale del parto ospedalizzato. Definirlo "dolce" sarebbe eccessivo, ma indubbiamente è stato addolcito di molto. Adesso si può scegliere il parto in casa, quello in acqua, quello con la musica, o accovacciate sul "seggiolino olandese", camminando, con l’agopuntura, con lo shiatsu e soprattutto il bebè viene lasciato con la mamma fin dai primi momenti.

Grandi passi avanti nel costume e nell’ostetricia che sicuramente renderanno più sereno il mio diventare nonna!