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QT n. 17, 13 ottobre 2007 Servizi

Il carcere di Trento e le bugie di Dellai

Come Dellai, messo nell’angolo sulla tutela dei beni ambientali, si riduce a mentire a Repubblica.

E’ letteralmente uscito dal seminato il Presidente della Provincia Lorenzo Dellai quando si è trovato a dover rispondere a un duro editoriale di Piero Citati, pubblicato sulla prima pagina di Repubblica (vedi L'intervista a Dellai). Pesantemente attaccato, Dellai ha risposto nel modo peggiore: con una brutta serie di bugie dalle gambe cortissime, nella grottesca speranza che da Roma non si riesca a smascherarle.

Il complesso austro-ungarico del Tribunale e del Carcere.

La storia è quella del carcere di Trento, che dovrebbe essere abbattuto per crearvi, in continuità con l’adiacente Tribunale, il nuovo Polo della Giustizia. Solo che, come abbiamo già riferito nel n° 15 del settembre scorso, il carcere è in realtà un pregevolissimo manufatto di fine secolo, costruito assieme al Tribunale e in perfetta continuità stilistica con esso, è uno dei primi esempi di quell’architettura austro-ungarica di fine ‘800 che giustamente in altri casi è stata preservata, e contribuisce ad abbellire la città (vedi la Filarmonica, l’attuale Sociologia, le ex-Aziende Agrarie oggi Economia, ecc).

Non si capisce perché, invece di ristrutturarlo, lo si voglia distruggere: e contro questo proposito demenziale sono scesi in campo Italia Nostra e il Fondo per l’Ambiente Italiano.

E’ in questo contesto che, su Repubblica, è apparso l’articolo di Piero Citati, un duro j’accuse. Diciamolo francamente: l’esimio giornalista non convince neanche lui. Si dimostra approssimativamente informato (confonde il Comune di Trento con la Provincia) e soprattutto si lancia in una durissima reprimenda all’Autonomia, contrapponendone le lasche tutele a quelle, ben più rigorose secondo lui, dello Stato centrale. Ma Citati, dove vive?

Comunque, a parte l’ideologia centralista (assolutamente fuori luogo, ma che peraltro risulta inevitabilmente rinvigorita ogniqualvolta l’Autonomia razzola male), l’editoriale di Citati ha il grosso merito di accendere un riflettore nazionale sulla distruzione del carcere trentino, che si pensava di poter compiere senza troppi patemi d’animo.

Dellai dunque si trova costretto a rispondere. E se ha gioco facile nel contrapporre le tutele trentine rispetto ai noti scempi nazionali, non ha argomenti invece nel merito della questione. E allora, non avendoli, se li inventa.

Il nostro infatti, il 7 ottobre su Repubblica dichiara: "Il valore architettonico (delle carceri) è stato compromesso da tutta una serie di modifiche e manomissioni che ci sono state nel corso di anni. Non c’è ragione di mantenerle. L’edificio è stato violato, destrutturato. Conserviamo ciò che è giusto conservare, le città devono cambiare, evolvere, dove il segno architettonico è irrimediabilmente compromesso cade il senso della tutela ".

Quindi contrappone la sorte del "Palazzo di Giustizia accanto al carcere, che verrà restaurato in modo filologicamente corretto" a quella del carcere stesso, che "non ha più alcun valore architettonico" e quindi va raso al suolo.

L’impianto edilizio con le trasformazioni degli anni ‘60 1. Il Palazzo di Giustizia – 2. La Corte d’Assise e la Procura – 3. Il complesso carcerario - 4. La guardiola e l’alloggio del Direttore – 5. Le cucine – 6. Edifici per uffici, laboratori, magazzini.

Per capire la gravità di queste affermazioni, basate sul nulla, sulla falsificazione della realtà, dobbiamo approfondire l’argomento, illustrando sinteticamente i processi di trasformazione architettonica (documentati) che si sono succeduti dal 1881 (anno dell’inaugurazione dell’intero complesso della Giustizia) ai giorni nostri, facendo un raffronto tra le modifiche e trasformazioni avvenute per il Palazzo di Giustizia e per il complesso carcerario, come dagli studi e dalla relazione dell’arch. Luca Beltrami, di ciò a suo tempo incaricato proprio dalla Provincia.

Le trasformazioni del Palazzo di Giustizia. Precisiamo anzitutto che l’edificio è dichiarato di interesse storico artisticocon provvedimento della Commissione Beni Culturali di data 9 maggio 2001. Progettato ed edificato dall’Amministrazione austriaca nel 1876-77, subisce un primo intervento nel 1922, quando l’architetto trentino Natale Tommasi, per conto del Commissariato dei Lavori Pubblici, ne progetta l’innalzamento del secondo e terzo piano dei corpi laterali. Il Palazzo di Giustizia perde la sua compattezza di edificio in linea progettato nel 1876 trasformandosi in un corpo dalla tipologia ad U. Poi gli altri interventi: nel 1955 viene realizzata la costruzione dei corpi servizi sanitari nella corte del Palazzo di Giustizia, più altre modifiche all’interno; nel 1966 si passa alla demolizione dell’originario volume del lato est con successiva costruzione di un edificio su tre piani con annesso interrato (il numero 2 nella piantina), che attualmente ospita la Corte d’Assise e la Procura della Repubblica. E’ inutile sottolineare come questo intervento (vedi anche la foto sottostante) abbia profondamente modificato l’equilibrio volumetrico e architettonico originario, sostanzialmente rimasto inalterato per cent’anni. Negli ultimi vent’anni, poi, il Palazzo di Giustizia ha subito molte sistemazioni interne per l’adeguamento alle esigenze amministrative e burocratiche, le sostituzioni delle pregevoli pavimentazioni originali, la ristrutturazione del piano sottotetto ed altri interventi tra cui una scala antincendio nella corte.

L’ala est (il numero 2 nella piantina) del Palazzo di Giustizia, demolita e così ricostruita nel 1966.

Le trasformazioni del Complesso Carcerario. L’edificio (n° 3 nella piantina) viene dichiarato di non interesse storico artisticocon provvedimento della Commissione Beni Culturali di data di data 27 ottobre 1993

Dal 1881 fino al 1955 non si registrano trasformazioni o manomissioni dell’impianto originario. E’ del 1955 il primo intervento, la modifica e ampliamento dei lucernari posizionati sulla copertura del corpo edilizio centrale. Negli anni ’60 vengono costruiti nell’area ad est alcuni edifici indipendenti per laboratori, magazzini e uffici (n° 6 nella piantina) senza interferire con il vecchio manufatto. Invece la trasformazione degna di nota riguarda gli ampliamenti di corpi destinati alle cucine (n° 5), all’alloggio del direttore e della guardiola (n° 4). Tali interventi sono stati realizzati solo nelle parti finali delle due ali ad est dell’edificio carcerario, non alterando l’assetto planimetrico e strutturale del complesso.

Da questo raffronto si evince, esattamente al contrario di quanto dichiara il Presidente, come le trasformazioni più significative e massicce di tutto il complesso edilizio siano avvenute nel Palazzo di Giustizia e non nelle carceri.

In effetti nessun tecnico è mai entrato all’interno dell’edificio delle carceri, a valutarne il valore architettonico: non l’arch. Beltrami, che ha lavorato sui progetti e sulla documentazione storica, né i responsabili degli Uffici Beni Culturali, che hanno emesso il loro verdetto negativo senza operare alcuna istruttoria significativa (le carte sono mancanti di documentazione storica e di verbale di sopralluogo), come ha ampiamente dimostrato lo stesso arch. Beltrami nel suo intervento su QT del 15 settembre.

Il primo vero sopralluogo all’interno dell’edificio effettuato da tecnici, è avvenuto il 15 maggio 2007 ad opera di Italia Nostra. Queste le conclusioni: "L’impianto esistente ha subito molte meno modifiche rispetto al progetto originario, praticamente l’impianto antico è perfettamente leggibile. Percorrendo i lunghi corridoi e visitando vari vani che su questi si affacciano, si rimane impressionati dalla forza degli elementi murari e dalla maestria costruttiva: murature di grosso spessore, soffitti a volta, rinforzati da arconi, pavimenti in lastroni di pietra trentina, pilastroni in pietra; notevole lo spazio centrale sul quale si affacciano due ordini di celle su ciascun lato con ballatoi in pietra di grosso spessore sorretti da potenti mensole in pietra, ben illuminato da alcuni lucernari zenitali e da un ampio finestrone sul lato ovest; perfino il piano interrato dimostra una notevole cura costruttiva e funzionale con pavimentazione centrale in pietra e laterali in selciato; illuminamento e aerazione da lucernari e bocche di lupo; dai disegni di archivio è desumibile che anche la carpenteria lignea sia di rilevante valore. Infine, al centro del lato est, estesa dal 1° al 2° piano vi è un’ampia chiesa di stile eclettico, con alto soffitto voltato, illuminata da tre finestroni absidali e da un ampio lucernario zenitale, ricca di pregevoli elementi di arredo".

Quindi non è assolutamente vero, come afferma il Presidente della Provincia sulla stampa nazionale, che l’edificio delle carceri è stato violato e destrutturato. La sua struttura è perfettamente conservata e "leggibile" in ogni sua parte.

Certo, ci sono state trasformazioni avvenute nel corso degli anni per adeguare le carceri alle esigenze attuali: ma, come facilmente si intuisce anche guardando la piantina, sono "reversibili" cioè possono essere tranquillamente eliminate non alterando la struttura originaria dell’impianto ottocentesco. Sono state più pesanti e per certi versi "irreversibili" le manomissioni avvenute nel corso degli anni per il Palazzo di Giustizia. Ancora una volta è evidente la scarsa conoscenza storica del manufatto carcerario e la superficialità nel giudicarlo architettonicamente.

Insomma, in questa vicenda si sommano due dinamiche fortemente negative. Da una parte degli Uffici che lavorano male, con approssimazioni inaccettabili, e che poi pretendono che le decisioni prese con tanta superficialità, non possano più essere messe in discussione. Dall’altra parte un potere politico arrogante, che ritiene di dover coprire comunque l’operato degli Uffici, e che poi alla marcia indietro preferisce l’arrampicata sugli specchi. Fino a scrivere panzane su un giornale nazionale, per di più come suicida risposta a un articolo che mette in discussione le prerogative autonomistiche. Ancora una volta, l’Autonomia che si fa del male da sola.

Con questo non vogliamo insinuare che dietro questa vicenda ci siano aspetti poco chiari o chissà quali interessi nascosti. Ci troviamo "solo" di fronte a gravi carenze culturali ed organizzative, e all’evidente incapacità della burocrazia a rapportarsi con i propri errori.

Secondo noi se ne dovrebbe uscire in avanti. Ci sono stati anche fattori tecnici ed emotivi che hanno portato a una decisione sbagliata. A causa della sua caratteristica funzionale come luogo di pena il carcere è poco visibile, celato parzialmente alla vista da una cinta muraria di protezione e la scelta sbrigativa di non effettuare un sopralluogo all’interno ha condizionato poi il successivo giudizio. E il fattore emotivo può aver influenzato la successiva scelta alla demolizione.

Per molti le carceri ancora attive rappresentano un luogo torbido e fastidioso dove si consumano tragedie umane; è naturale quindi pensare, magari inconsciamente, alla sua eliminazione fisica perché solo così si crede di rimuovere il dolore che il luogo ricorda. E’ quello che è accaduto per anni all’architettura militare della Prima Guerra Mondiale. Soltanto ora che sono passati quasi cent’anni si è giunti al recupero e alla valorizzazione dei forti italiani e austrungarici facendoli "rientrare" nel patrimonio culturale e ambientale delle Alpi.

E analogamente, se proviamo a superare razionalmente l’emotività e guardiamo in avanti, ci accorgiamo che la storia del passato, testimoniata per questa vicenda dall’architettura austroungarica, è una tessera fondamentale per la vita sociale trentina. E un pregevole, potente manufatto di 130 anni orsono, può testimoniare la storia, e contribuire ad arricchire la città.