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Aria frizzante

Rileggere la quotidianità con ironia.

Un articolo divertente fa sempre piacere. Mi ero quindi ripromessa una lettura della mia ultima settimana con quel pizzico d’ironia che non guasta. Poi i giorni sono passati senza fissare nulla, neanche due righette due. Così ho dovuto ripensarci per bene, perché l’argomento che mi aveva turbato, monopolizzando il pensiero negli ultimi giorni, riguardava l’asilo di Rignano. E su questo, per trovarci da ridere, ci vorrebbe Benigni!

Sabato scorso ero al Sociale, alla premiazione del Festival della Montagna. C’era la Banda Osiris. Era la prima volta che la vedevo dal vivo. Mi è piaciuta: divertente, ironica, alternativa, ecc., ma, come spesso succede, credo di essere arrivata tardi. Era pionieristico averla scoperta dieci, quindici anni fa, quando la conoscevano in pochi. Era venuta varie volte in Trentino, a "Solstizio d’Estate", per esempio. Poi, con lo spettacolo della Dandini l’hanno scoperta in molti; insomma, adesso sono bravi tutti!

La premiazione è durata poco. Nichetti si era impegnato a non andar per le lunghe perché sapeva di suo quanto sono barbose queste cerimonie.

Genziane di qua e genziane di là, applausi continui... Ecco il disagio del pubblico: si parte ad applaudire con forza, ma dopo un po’ cala la foga (a qualcuno anche la palpebra) per stanchezza. Ci si rianima tutti pimpanti nell’applauso finale.

Una scena del film di Filip de Rycke “Swept away, adrift between Alaska and Siberia”.

I film - se ne vedevano alcuni frammenti - mi sembravano molto simili; ma confesso d’essere ignorante nel campo: soffrendo di vertigini, non ho mai scalato montagne, anche se le adoro. Mi ha colpito uno dei film premiati perché due temerari nuotavano e galleggiavano lentamente fra il ghiaccio, vestiti da lapponi. L’effetto era stupefacente (un tantino gelido, direi), magari è un nuova pratica sportiva che io ancora ignoro. Anche "Primavera in Kurdistan" mi ha incuriosito e fatto venir voglia di vederlo per intero il giorno dopo al cinema Modena.

Come ricordo della serata, una mini scatolina gialla e blu di cartone lucido con la scritta "Figlia del trentino" contenente una mela, e che dondolava appesa all’indice teso della mia mano sinistra. Graziosissimo gadget consegnato all’uscita del teatro. Lì ho recuperato qualche rigurgito campanilista osservando compiaciuta il sorriso dei forestieri, parlanti altre lingue, che ammiravano la perfetta ospitalità del nostro Trentino che, fino alla fine, sapeva sorprendere.

La sera dopo, vedere "Primavera in Kurdistan" meritava proprio: sono tornata a casa a mezzanotte con il bisogno di sapere. Rientravo perfettamente nella categoria "conseguenze positive" di un film.

Compiuti in perfetto ordine i rituali serali, dopo essermi struccata e lavata, messo il contorno occhi anti zampe di gallina e l’antirughe effetto seta, mi sono infilata la versione estiva del "pigiamino antistupro" rosa con tenerissimi orsetti in braghette corte. Succedesse un fattaccio; entrasse, mentre dormo ignara, un malintenzionato, nessuno potrebbe accusarmi che me l’ero cercata con un abbigliamento provocante. I processi per stupro hanno insegnato qualcosa.

Ho trovato quasi subito l’atlante (ricordo dei miei figli bambini, anno 1987) e anche gli occhiali da presbite. Adesso sono un paio per stanza, perché, dopo anni di caccia agli occhiali,s’impara.

Pur sapendo molto dei curdi, avevo bisogno di un ripassino veloce. Almeno visivo. Della serie: inquadrare il paese dal punto di vista geografico. Ma forse è ora di comprare un atlante nuovo, perché proprio non esisteva come stato, regione, valle, montagna, lago.

L’ora si era fatta tarda ed era preferibile rileggere il giorno dopo su Internet le atrocità subite dai curdi e sapere dove sono finiti: ad essere troppo sensibili, si fan brutti sogni!

Intanto era giunto il momento del bacio Perugina (surrogato del bacio della buonanotte). Quindi, filo interdentale, spazzolino e dentifricio. Deve essere stato in un momento così che qualcuno ha inventato i cioccolatini con la menta.

Il giorno dopo, sul tavolo di cucina, nessuna traccia di notte trasgressiva, di caviale o champagne, ma una mela in scatola! Brutto segnale: sarò arrivata alla frutta? Gli amici potevano dirmelo direttamente senza farmi arrivare i segni del destino addirittura confezionati!

Dipinto di Luigi Penasa.

Che poi… se una mela costa, mettiamo 20 centesimi, quella graziosissima scatoletta? Secondo me di più. Noi donne di una volta, trentine per giunta, siamo abituate a far di conto: questo sembrava proprio uno spreco. Potevano almeno chiedere un euro simbolico e donarne il ricavato. Ma a chi? Troppa scelta: siamo un paese ricco anche d’associazioni benefiche.

A questo pensavo, mentre facevo colazione. Alla porta suona Giulia, sette anni. La bimba "cristallina", figlia dei miei vicini di casa. Siamo diventate amiche. Nota subito la mela in scatola. "Hai visto che simpatica, prendila, te la regalo. Anzi, no, aspetta un attimo".

Sostituisco velocemente la mela con una di quelle biologiche che compro io. Non sono la strega di Biancaneve, non regalo mele avvelenate! Quelle mele lì subiscono da un minimo di 25 ad oltre 40 trattamenti chimico/sistemici l’anno, con cadenza settimanale. Ci vuol coraggio a chiamarle figlie del Trentino ed esserne orgogliosi.

Quella mattina mi aspettava un appuntamento insolito: la festa ufficiale per i dipendenti provinciali andati in pensione negli ultimi sei mesi, con consegna di pergamena e stemma con l’aquila di San Venceslao. Discorso ufficiale del Presidente: "…si apre un grande spazio per mettere il proprio bagaglio di esperienze al servizio della comunità".

Sigh! Lacrima trattenuta. Rimpianti?

No, no, non è quello … un po’ d’amarezza, di disagio. Forse non era il mio posto qui, oggi. Ma perché sono sempre nel posto sbagliato? Già perché? Forse tra scegliere e dover andare in pensione, la differenza si chiama "salute". Allora è una pensione subìta! Bella definizione però. Inventata or ora, Google me l’ha confermato.

Però è vero, a volte per stare meglio basta saper come chiamare il proprio disagio. Dargli un nome. Punto.

E dopo, con ironia, farsene beffe.