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Partito Democratico: le mie perplessità

Maurizio Agostini

Visto che ormai siamo alla sarabanda delle dichiarazioni personali e che non siamo riusciti ad attendere un momento di riflessione comune dentro Trento democratica, come avrei auspicato, vorrei contribuire anch’io ad alimentare il dibattito che è stato rilanciato pubblicamente con l’intervento di Marco Dallafior.

Come i miei compagni di gruppo sanno bene, ho anch’io delle riserve pesanti che mi frenano rispetto ad una adesione al nascente Partito Democratico, ma mi sembrano abbastanza diverse da quelle avanzate da Dallafior.

Non si riferiscono infatti all’incontro fra due storie di provenienza così diversa e lontana: per intenderci, sono uno che sorride per il termine infelice, ma non riesce a offendersi se viene definito cattocomunista, vengo piuttosto da una formazione che consentiva con Ernesto Balducci, Raniero La Valle, Mario Gozzini e molti altri nel ritenere auspicabile per l’Italia un incontro fra il meglio, in termini di radicamento e di valori, della tradizione comunista italiana e di quella cattolico- democratica; il compromesso storico ci infastidiva nella sua lettura politico istituzionale che lo leggeva come un accordo di potere fra due partiti, non in quella più ampia che coinvolgeva il livello sociale e culturale.

Non mi pare decisivo neppure il problema dell’adesione o meno al partito socialista europeo; penso che per molti cittadini, specie giovani, che si avvicinano oggi alla politica e che non hanno una storia di partito, la questione non sia vissuta come centrale e sono disposto a pensare che forse, su questo aspetto, il futuro potrà riconoscere, una volta tanto, all’Italia di essere stata addirittura più avanti rispetto all’Europa.

Quel che non mi convince invece è il fatto che si parla troppo poco dei contenuti, delle idee, della direzione e degli orizzonti del cambiamento verso cui il nuovo partito tende. Penso che uno dei principali motivi della crisi attuale della politica sia l’appiattimento sull’amministrazione e sull’occupazione degli spazi della rappresentanza istituzionale e che si dovrebbe cercare invece di ritrovare slancio e passione nella formazione e nella mobilitazione dentro la società, alimentando fra la gente la crescita di progetti, anche di sogni, basati su valori condivisi, affidando poi ai rappresentanti eletti il compito di tentare di realizzarli almeno parzialmente, con le mediazioni e i compromessi necessari. Senza questa articolazione sembra che l’ambizione massima possa essere solo quella di gestire un po’ meglio e con un po’ più di attenzione alle fasce deboli, una realtà che di fatto si rinuncia a voler cambiare e di cui ormai si accettano tutte le compatibilità di contesto che nell’area occidentale e capitalistica si sono consolidate, identificandosi in una rinnovata prospettiva di "sogno americano" seppure nella sua versione clintoniana. E paradossalmente questo avverrebbe proprio nella fase storica in cui le varie emergenze di livello planetario, prime fra tutte quella ecologico ambientale e quella delle immigrazioni e del divario Nord Sud, imporrebbero uno sforzo di fantasia per individuare piste, anche radicalmente nuove, che vadano al di là della semplice proposta di estendere i nostri insostenibili modelli economici e politici dovunque.

Per essere più concreto, su tutta una serie di questioni quali il ruolo del mercato e le regole che devono impedirgli di essere di fatto il regolatore principe delle relazioni umane, sull’importanza di mantenere forte l’iniziativa pubblica nei settori più delicati della vita sociale (sanità, scuola…), sulla concezione del fisco come strumento per dare risposte collettive ai bisogni dei cittadini, sulla necessità di introdurre strumenti di efficienza nei servizi pubblici senza smantellarli e senza consegnarli al trionfo delle cosiddette logiche aziendali, sulla necessità di perseguire davvero obiettivi qualitativi nello sviluppo, accettando l’inevitabilità di qualche decrescita e di qualche rallentamento, non vedo indicazioni convincenti o almeno un confronto aperto per precisare la linea di direzione del nuovo partito.

Sul tema del lavoro poi non vedo una riflessione sulla sconfitta, culturale ancor prima che politica, della sinistra, né l’indicazione della necessità di una svolta, non per tornare indietro ma per ritrovare una bussola perduta. Piangiamo sulla nuova recrudescenza delle morti sul lavoro e ci limitiamo a chiedere più controlli e ispezioni, senza ammettere che è il rispetto del lavoro e della sua dimensione umana ed essere venuto meno, perché altri sono i valori e gli idoli saliti nella scala di importanza. Questo accade anche se e quando governiamo noi e lasciamo, di fatto, che sia il papa a parlare di "primato della valenza etica del lavoro umano, con le ulteriori priorità che ne conseguono: quella dell’uomo sullo stesso lavoro, del lavoro sul capitale, della destinazione universale dei beni sul diritto alla proprietà privata".

Un ultimo accenno è per un altro tema su cui mi sento ancora distante dalle indicazioni del Partito Democratico: l’enfasi sulle "primarie" individuate come strumento democratico per l’espressione delle candidature ai vari livelli. La mia perplessità nasce dalla convinzione che la società civile non è, per definizione data, sempre migliore di quella politica: è anche il luogo dove maturano e si confrontano gli interessi corporativi, gli egoismi personali e di gruppo, il cinismo degli arroganti e dei senza scrupoli, senza neppure l’apertura o l’intenzione dichiarata di convergere verso un tentativo di bene comune. Nella politica, specie ai livelli di rappresentanza meno elevati, si moltiplicherebbero le iniziative di lobby, le logiche dei pullman di sostenitori portati a votare e perfino quelle del voto di scambio e importanti energie e professionalità resterebbero inutilizzate solo per l’indisponibilità ad accettare una fase autopromozionale e di lotta tutti contro tutti.

Su tutte queste questioni, che non mi sembrano di secondo piano, il progetto di Partito Democratico non mi convince. Sono portato a pensare che sia un passaggio inevitabile, spero anche positivo sul piano della stabilizzazione e chiarificazione del quadro politico, ma sono anche attento, e penso che lo stesso P. D. debba esserlo, a ciò che nasce a sinistra, nella speranza che non si tratti della nascita di un ennesimo partitino, che non coltivi settarie presunzioni di essere "l’unico possessore della verità" e che non cada in atteggiamenti puramente testimoniali e autoreferenziali.

Maurizio Agostini, Consigliere comunale di Trento democratica