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Un sindacato per tutti

Armando Polli

Sono un dipendente dell’Azienda Sanitaria presso l’Ospedale di Rovereto, lavoro nel settore economale e da sempre sono iscritto al sindacato. Chiedo ospitalità al vostro giornale per raccontare un’esperienza personale consumata ad un’assemblea sindacale ed analizzare poi quale significato può avere oggi l’appartenere a un sindacato confederale. Nell’esporre ciò provo un senso di disagio e di delusione nei confronti del segretario alla Sanità per la UIL, Ettore Tabarelli.

Vorrei capire se tale disillusione sia imputabile solo alla sua persona, a quel modo cinico e così convenzionale d’agire, o non sia invece, come temo, un limite del sindacato nel suo insieme: l’essere divenuto un tassello come altri all’interno dell’organizzazione del lavoro, un meccanismo assorbito dentro logiche di ruoli e poteri. Si ha come la sensazione che sia scomparsa la differenza dei compiti assegnati ai vari soggetti: v’è una cortina che confonde chi amministra un’azienda e chi dovrebbe svolgere opera di controllo.

Dopo i primi anni di iscrizione alla CGIL, sono divenuto un tesserato della UIL, avendo individuato nella stessa qualche delegato pieno di dinamismo ed entusiasmo. In tutti questi anni, non ho mai chiesto consiglio o aiuto a delegati sindacali; pur avendo cambiato ruolo e tipo di lavoro, ho agito individualmente in accordo con i miei superiori. Comunque, l’appartenere con altri lavoratori a una associazione comune, dentro un sentire solidale, ha costituito una certezza, una cosa importante nella quotidianità del lavoro. Nel passato, ho partecipato a momenti di confronto, ascoltando con attenzione pur senza mai prendere la parola.

Qualche anno fa, quando furono istituite le R.S.U., sperai in un percorso unitario delle diverse sigle confederali, al di là delle divisioni ideologiche, ormai, ritenevo, superate. Così non è stato; me ne rammarico e desidererei sentire delle voci autorevoli pronunciarsi su tale questione, capire perché la spaccatura all’interno del sindacato si è invece, paradossalmente, acuita. Basta dare una scorsa ai comunicati delle varie sigle esposti nei posti di lavoro, per vedere quale litigiosità e faziosità sia in atto: tutto un fiorire d’accuse e invettive reciproche, che danno uno spaccato desolante del rapporto all’interno di tali organi rappresentativi.

Ma torniamo all’assemblea svoltasi qualche mese addietro nell’aula magna dell’Ospedale di Rovereto, presieduta dal sig.Tabarelli. In sala non v’erano molte presenze, una trentina di persone; quasi tutti i delegati UIL impiegati all’interno dell’Ospedale. Credevo che quello fosse un momento di confronto e ascolto reciproco, così come dovrebbe essere un’assemblea rivolta a coloro che sostengono anche economicamente il sindacato. Avevo maturato alcune problematiche che volevo discutere pubblicamente.

Anzitutto avrei espresso alcune perplessità concernenti le modalità con le quali si sono svolte le elezioni per il rinnovo delle cariche del fondo pensione complementare gestito dal Laborfond, un appuntamento organizzato in maniera grottesca e poco democratica: lista unica con nessuna possibilità di scelta, ci si limitava a ratificare scelte decise in altra sede; quale il senso di tale commedia? Altresì importante è una semplificazione dei ruoli e dei profili all’interno dell’Azienda Sanitaria. Le differenziazioni economiche tra le tante figure professionali dovrebbero derivare da pochi e ben riconoscibili elementi contrattuali.

Al di là del compenso per il ruolo che il dipendente svolge e per il quale è stato assunto, in quell’assemblea avrei detto che le ulteriori variabili economiche per tutto il personale non dirigenziale dovrebbero derivare dalla turnistica (prestazione fornita nell’arco delle 24 ore) e dall’indennità di missione o rischio. Tale riconoscimento economico cadrà quando la prestazione non sarà al dipendente più richiesta; insomma, può avere anche carattere provvisorio. Altro elemento era lo sforzo che il sindacato dovrebbe compiere per reintrodurre lo scatto di anzianità. A parità di mansioni, cioè, vi sia un riconoscimento per chi da più anni svolge un’attività.

Accomodatomi in sala, aspettavo con una certa ansia che l’autorevole relatore terminasse la sua lunga e ripetitiva prolusione su tutta la sanità trentina e financo su tutta la società italiana. Mentre con infinita pazienza attendevo che venisse concessa la parola all’uditorio, s’aggiunse un’altra curiosità da sottoporre all’esperto sindacalista, riguardante l’infinita diatriba tra sindacati per il rinnovo del contratto. Infatti, dopo la solita guerra tra rappresentanze dei lavoratori, solo UIL-Nursing Up e CISL avevano sottoscritto l’accordo; un minimo di chiarezza su tale percorso così travagliato sarebbe stato auspicabile.

Dopo aver sciorinato tutta una serie di ragionamenti, imperterrito, Tabarelli riprendeva a ripetere gli stessi concetti espressi poco prima, cambiando con qualche nuovo termine qua e là l’ordine dell’esposizione: sono sicuro, non per calcolo razionale, ma così, come il fumatore incallito consuma una dietro l’altra le sigarette. Si percepiva chiaramente un caos mentale e affabulatorio. Osservavo i presenti in sala per scorgere qualche reazione, un moto vivaddio d’impazienza a quel fiume di suoni. Nulla: tutti immobili e silenziosi come bambini annoiati o soldati remissivi.

Preso coraggio, dopo circa un’ora e mezzo di tale farsa, alzata la mano per richiamare l’attenzione del piccolo despota, chiesi la possibilità di formulare qualche domanda. Con gesto rapido delle mani l’attore principale e unico m’intimò di aspettare; più tardi, forse qualcuno avrebbe potuto parlare. Passò così un’altra ora.

Cercavo di attirare con gli occhi l’attenzione del delegato locale, il più conosciuto e stimato rappresentante UIL all’interno dell’Ospedale, Alfio Traverso. Nulla da fare: chino su dei fogli, era come in estasi; ogni tanto schizzava dalla sua postazione per mostrare dei documenti a qualche altro ascoltatore, poi compunto riprendeva la meditazione. Dopo oltre due ore, osservando come l’oratore non avesse nessuna intenzione di terminare quel delirio verbale, mi alzai imponendo alla sala la mia voce, le mie rimostranze. Espressi la meraviglia nel constatare come delle persone adulte potessero rimanere in silenzio tutto quel tempo ascoltando concetti ripetuti in continuazione, sempre gli stessi. E cosa pensavano del fatto che non mi fosse concessa la parola? In qualunque consorzio civile v’è diritto di parola…

Silenzio, smarrimento: solo un tecnico di laboratorio, un po’ stizzito, chiese cosa intendessi dire, quale cosa importante volessi comunicare. Rattristato nel constatare come la rassegnazione possa intimidire le persone, sbottai, paventando come forse tanti di quei pochi presenti avessero interessi particolari da tutelare per subire così passivamente la ritualità del piccolo padroncino sindacalista.

Un’ultima considerazione. Come può un sindacato guidato da tali ripetitive e tristi figure rappresentare e difendere i tanti nuovi lavoratori che irrompono all’interno degli enti pubblici (parlo di servizi esternalizzati)? Tali soggetti, credetemi, si trovano ad operare in un clima di estrema precarietà e fragilità, preda, spesso, di ricatti e soprusi da parte di chi gestisce tali ditte.

Mi auguro dunque che anche fra i vertici sindacali vi sia un ricambio di personale, capace di portare un po’ di democrazia e di cogliere le nuove sfide, dando ascolto ai più deboli, a chi subisce ricatti ed ingiustizie.

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