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Dottor Artiglio

Quando un concorso in Provincia può voler dire mettere il culo nelle pedate

Provincia matrigna

Storia semiseria, iniziata nel settembre 1974, ai confini del buonsenso, contro corrente, contro tutti e anche contro me stessa, di una sincerità disarmante, ovviamente molto di parte. Primo capitolo di un libro dove i dipendenti provinciali si riconosceranno con un sorriso. Quei dipendenti un po’ alternativi che hanno sempre detto: “Bisognerebbe scrivere un libro!”.

Ho deciso da donna libera di colmare questo vuoto e quindi ai miei ricordi precisi, perché osservo molto e ho buona memoria, si potranno unire anche i vostri. Non per vendicarsi, sia ben chiaro, anche perché il passato non ritorna, ma per tentar di guarire da soli l’animo ferito da ingiustizie, mobbing, trasferimenti, esaurimenti nervosi, depressioni.

Il Palazzo incuteva timore: lunghi corridoi, scaloni imponenti, un tetro ascensore, facce spente si trascinavano, negli angoli uomini graditi al potere sogghignavano. La triste impressione di essere finita in un collegio o in una prigione come Alice nel paese delle meraviglie.

Quella mattina il corvo tinto scelse la sua preda fra le tante gallinelle che aspettavano di finire in uno o nell’altro pollaio. Ottima scelta: la più bella, la più giovane, ma ahimé la più guerriera delle galline. Che contestava già il solo essere definita gallina e voleva al più presto riavere la dignità di donna. Capii di non essere capitata bene, quando da sola andai cercando nei corridoi il pollaio destinatomi, ma il posto era così opprimente e si era come schiacciati dal tetto.

Il Dottor Artiglio mi presentò, molto fiero della preda prescelta. Volle la conferma degli altri tre corvi presenti in sala, che sorridenti ammiccarono.

Le altre due galline, un pochino più pallide del solito, guardarono con astio la nuova troppo bella arrivata e per punizione la tennero sul trespolo più scomodo che c’era nel pollaio.

C’era poco sole, poca aria, pochi colori e molte persone che entravano ed uscivano. Incuriosivo molto e venivo presentata come una gallina bella sì ma complicata. Il lavoro poi era assolutamente alienante. Due grossi registri sui quali scrivere numeri e articoli di legge, con l’angoscia di essere sempre solo all’inizio.

Dopo essere stata promossa, mi assegnarono una scrivania nella metà dell’ufficio del corvo più carino e simpatico che c’era. Che fortuna!

Carte bollate da riempire con la macchina per scrivere in cinque copie; se sbagliavi dovevi pagarle. Mi veniva da piangere. Smettevo di scrivere a macchina solo per andare a stenografare da uno dei corvi. Il corvo un po’ spelacchiato mi bloccava per ore per dettarmi una paginetta striminzita. L’avesse scritta a mano impiegava meno di un quarto d’ora! Mah! Forse era contento di avermi là.

Il corvo affascinante dettava invece velocemente e con voce grave. Ma un giorno, ad una cena d’ufficio, ballando una canzone dei Genesis, lui con trasporto mi aveva stretta ed i nostri occhi si erano incontrati, quella volta. Era molto intrigante, si faceva un baffo delle regole della Provincia e aspettava solo di andare in pensione per dedicarsi alle sue montagne.

Il Dottor Artiglio invece correva come un treno e se protestavo mi ricordava che avevo vinto un concorso per steno/dattilografa. “Certo - rispondevo - ma a 90 parole al minuto, Lei sta dettando ad oltre il doppio!”. Nulla, aveva sempre ragione e cambiava discorso solo per dirmi con voce melliflua che sarebbe stato eccitante vedermi nuda, mentre stenografavo.

Disegno di Luigi Penasa.

Era molesto; gli rispondevo di fare quei discorsi al bar con gli amici. Ma credo non avesse amici. Lui allora si divertiva ancora di più. Mi diceva che avevo la bellezza dell’asino … Sarebbe passata insomma.

Lo guardavo con un misto di tenerezza e rabbia. Sulla fronte era intanto colata qualche goccia di colore nero. Il corvo tingeva i suoi capelli rossi con una pozione nera fatta in casa dalla moglie. Risultato pessimo, il rosso fulvo si intuiva anche sotto il nero che lo sbatteva ancor di più.

Non era cattivo, parlava pesante ma era innocuo. Doveva essere stato molto maltrattato in seminario; allora per le famiglie povere era l’unica possibilità di far studiare il figlio dotato. Da adulto si divertiva a spaventare giovani fanciulle che gli capitavano a tiro. Il mio carattere indomabile lo spiazzava. Non ero docile.

Il mese d’agosto del 1975 il corvo andò in ferie e nel frattempo Matteo, che era stato lo spermatozoo più veloce quel giorno, aveva costretto al matrimonio i suoi genitori bambini.

A settembre dunque mi sarei sposata e mentre lo dicevo al Dottor Artiglio lui sbiancava e imbarazzatissimo tossiva. Ma come? Il suo bel giocattolo nuovo diventava mamma. Forse era meglio trasferirla e cercarsi qualche altra preda. Allora, mentre ero in viaggio di nozze all’Isola d’Elba, mi arrivò la notizia che ero stata trasferita. Che gioia, pensavo di marcire in quella topaia!

Allora alcuni amici del sindacato si sono arrabbiati e hanno scritto un volantino nel quale denunciavano le molestie sessuali (adesso hanno un nome) contro le donne. Il giorno dopo i quotidiani accusarono i dipendenti provinciali di fare sesso in ufficio! Roba da gossip, insomma.

Il mio pensiero adesso va al Dottor Artiglio, che ci ha lasciati molti anni fa, perché volevo specificare alcune cose. Andandosene mi ha fatto un gran torto. Sono costretta ad ammettere che Lei, in fondo, era un buono, perché si sa che l’erba cattiva non muore mai.

E poi volevo dirLe che sono passati trent’anni ma la bellezza dell’asino regge ancora e forse la maturità aggiunge un certo fascino.

E poi propongo di fare la pace, perché noi buoni si dimentica in fretta. In fondo non potrei pensarLa in pensione a dar caccia alle corve contendendo la preda ad altri corvi a colpi di becchime. A proposito, ha fatto bene a riporre gli artigli.

Un brindisi allora, alla mia meritata e spero felice, e lunga quel che serve, pensione.

Non ne potevo più, sa, dopo trentadue anni; io sono una creativa e contenersi in una gabbia per così tanto tempo… ho sofferto come una leonessa prigioniera.

E poi avevo un oceano dentro. Le storie si accumulavano una sopra l’altra. I personaggi saltavano fuori prepotentemente e mi costringevano a pensare a loro, a fare una sintesi della loro vita per riporla in un angolo della mia memoria. Ma ora sono proprio felice e ho giusto il tempo per spolverare, riordinare, togliere, aggiungere, mescolare e intanto scrivere quel famoso libro di cui si parlava all’inizio.

Un brindisi a Lei, dottore, un goccio del suo amato Ballantines.