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QT n. 16, 30 settembre 2006 Cover story

Pensiero unico: il Trentino, sempre e solo cattolico

Il leit-motiv delle agenzie culturali: il Trentino è sempre stato tutto conservatore e cattolico, disciplinatamente ossequiente a un potere lungimirante. Ma questo non è un dato storico, è una favola, anzi, una manipolazione. Per di più pericolosa, nell’attuale società interculturale. Chi la propaga, per quali motivi, chi dovrebbe opporsi e non lo fa.

Abbiamo trovato francamente uggioso il modo in cui, da parte trentina, è stata rivisitata la figura di Alcide De Gasperi in occasione della ricorrenza dell’Accordo di Parigi. Una astorica santificazione, una melensa agiografia, sulla falsariga dello sceneggiato Tv di un anno e mezzo fa: ma lì era uno spettacolo, qui parlavano politici e studiosi.

Flaminio Piccoli

Non è stato un caso. Pur con qualche lodevole eccezione (su De Gasperi-Gruber una tavola rotonda del Museo Storico e un convegno dell’Itc, le due istituzioni non omologate) l’insieme della comunicazione culturale, peraltro ripresa acriticamente dalla stampa, porta costantemente a una conclusione: il Trentino è sempre stato (ed è ora) terra cattolica, la sua storia è quella della cultura cattolica, portata avanti dai cattolici e – recentemente – dai democristiani. Tutti gli altri – illuministi, liberali, laici, socialisti, fino agli extraparlamentari degli anni ‘70 – vengono depennati. Sono stati irrilevanti; anzi, non sono mai esistiti. Il Trentino è sempre stato una comunità coesa, moderata, stretta attorno ai sani principi base propugnati dalla Chiesa e dalle sue articolazioni politiche.

A nostro avviso si tratta di una semplificazione grossolana, ai limiti della manipolazione. "In realtà in Trentino hanno convissuto, spesso confliggendo, una pluralità di storie e di culture – ci dice Walter Micheli, già vicepresidente della Provincia, ora dedicatosi agli studi, che a breve sfoceranno in una storia dei socialisti trentini – Questo è un portato della stessa geografia del Trentino, terra di transito e pertanto vocata alla pluralità culturale. E su questo ci troviamo di fronte ad una stridente contraddizione: da una parte si vanta il Trentino come terra di frontiera, ponte tra culture; e dall’altra si vuole accreditarne un preteso monolitismo conservatore".

Cesare Battisti

In effetti, solo per rimanere agli ultimi due secoli, il Trentino vide il confrontarsi di diverse culture. Nell’800 nelle città era egemone il liberalismo che, pur con tutte le parzialità del sistema elettorale, ebbe comunque il monopolio della rappresentanza fino al 1880; a fine secolo, con Battisti fiorì il movimento socialista, in forte antagonismo con quello cattolico; nelle elezioni del primo dopoguerra la sinistra raggiunse il 30%; nella Resistenza - basti ricordare le figure di Manci, Bettini e Pasi - la sinistra fu egemone, e ancora nel ’44, sotto la cruda occupazione nazista, espresse il Manifesto socialista sul ruolo dell’Autonomia regionale nella nuova Europa post-bellica; e nel dopoguerra l’Asar per un verso, la sinistra per un altro, svolsero un ruolo decisivo nella costruzione dell’Autonomia, che non fu espressione del solo De Gasperi; e nei più recenti anni ’70 la modernizzazione del Trentino e la costruzione del suo welfare furono figlie della temperie sessantottina e dell’imponente movimento sindacale, non dei falliti "raduni delle aquile" della Dc di Flaminio Piccoli, che espresse invece una cultura perdente.

E qui tocchiamo un altro punto: la pretesa assenza di conflitti in un Trentino solidamente cattolico e pacificamente comunitario. Proprio le vicende degli anni ’70, con il conflitto arrivato fino al terrorismo di Stato (ricordiamo per i più giovani che si arrivò alle criminali deflagrazioni alla stazione e nei cinema, con ogni probabilità per responsabilità dei Servizi segreti) ci dimostrano il contrario: con il confronto, durissimo, fin dentro la Dc, tra l’ala riformista di Kessler e quella tradizionalista di Piccoli. E potremmo andare indietro nella storia, ricordando la Guerra Rustica del 1525, con i contadini che assediarono Trento e Bernardo Clesio (quanti ne parlano oggi?), per essere poi sconfitti, con i paesi dati alle fiamme e i capi rivolta ferocemente torturati in piazza Duomo.

Non fu la storia di una comunità sempre stretta intorno a lungimiranti, cattolicissimi governanti. E invece "sugli stessi libri di storia dell’Itc, le lotte sindacali degli anni 60-70 sono messe tra parantesi, e il welfare trentino da esse conquistato risulta frutto di solitarie intuizioni illuministiche di Kessler" - ricorda Micheli.

Bruno Kessler

Proprio gli anni di Kessler sono emblematici delle distorsioni di questa lettura tutta democristiana della storia: "Sembra che la modernizzazione del Trentino sia frutto della mente di Kessler – afferma Piergiorgio Rauzi docente a Sociologia – Invece fu frutto di un convergere e di un confliggere di più culture, con il riformismo di sinistra, il movimento sindacale, le esperienze extraparlamentari a spingere in avanti, il conservatorismo di buona parte della Dc a frenare. Fu nel rapporto con la sinistra sociale, dagli studenti ai sindacati, che Kessler trovò le sollecitazioni e la forza, mentre invece nella Dc era minoranza".

"Più in generale, è diffusa una lettura che tende a sottolineare la bonarietà dei governi e la moderazione dei comportamenti – afferma lo storico Fabrizio Rasera – Quando invece la storia, anche nel Trentino, è soprattutto storia di conflitti, dalla ‘fuga dall’Austria’ (tutt’altro che bonaria, checché ne dica la vulgata), al periodo fascista, fino al ‘68".

Insomma, questo Trentino tutto conservatore e cattolico, disciplinatamente ossequiente a un potere lungimirante, non è un dato storico, è una favola. Come mai può essere così impunemente propinata?

"Per secoli il buon cittadino e il buon cristiano hanno effettivamente coinciso. Il che offre una parvenza di plausibilità a questa visione – risponde Rauzi – Ma il motivo vero è brutalmente un altro: ci si adegua alla cultura di chi ha il potere".

"Diciamolo chiaramente – incalza Rasera – è anche colpa nostra. Anche nei laici si è introiettata l’idea che l’egemonia culturale debba essere, per natura, democristiana."

E’ una comoda visione, che assolve pigrizie e piccoli opportunismi. "Dobbiamo rendercene conto, il Trentino è democristiano, noi non possiamo essere che una piccola minoranza"– mi diceva, molti anni addietro, il segretario di quello che venne chiamato "il Pci dei funzionari", partito tutto proteso a un cabotaggio politico minimale, che solo poteva garantire la sedia ad una pletora di mediocri. E la situazione attuale non è diversa: con i socialisti dissolti, i Ds in bancarotta politica e soprattutto ideale, i laici ridotti in un fortino, a celebrare in una trentina di persone l’anniversario della breccia di Porta Pia (e meno male che lo fanno!).

Le conseguenze sono un inaridirsi del dibattito e un debordare del clericalismo. Con riflessi pratici molto consistenti.

Prendiamo ad esempio la vicenda degli asili. Storicamente frutto di tante storie, anche cattoliche ma pure laiche (si pensi alle iniziative della Lega Nazionale), soprattutto comunitarie. Bene, oggi le scuole materne "equiparate", tutte, sono rigidamente incasellate in una struttura cattolica. Con i laici supini. Ed ora si è iniziato l’assalto alla scuola pubblica.

Noi riteniamo questa deriva pessima. In un mondo sempre più interculturale, le chiusure in supposte "tradizioni secolari" sono grottesche e, quel che è peggio, controproducenti. La richiesta di finanziamenti a scuole private islamiche, assolutamente ineccepibile una volta che si concedono quelli alle cattoliche, è un monito incombente. Il fantasmatico Trentino tutto cattolico non solo è una bufala, è un modello oggi pericoloso; anche perché si regge sulla sabbia. L’egemonia della Chiesa, nel Trentino del 2000, non c’è più.

"Il passaggio da un’economia della sussitenza a una dell’opulenza, soprattutto nelle valli ha travolto i precedenti riferimenti culturali – afferma Rauzi – La cultura del cattolicesimo è solo di facciata, prevale una pesante omologazione alla sottocultura televisiva. Un esempio? Il can can su Miss Italia (vedi Miss Italia: peggio dei mondialindr), che evidenzia la liquidazione della tradizionale sessuofobia cattolica, come pure di sentimenti come il pudore o la riservatezza. Nelle valli opulente, del cattolicesimo non è rimasto niente: se non la patina o le distorsioni più pericolose, tipo gli appelli razzisti alle radici cristiane in stile Fallaci".

Insomma, la disinvolta riscrittura della storia, che peraltro avviene più nel discorso pubblico che nei libri, non riguarda solo gli addetti ai lavori. Ha invece forti e pesanti implicazioni, politiche e culturali.

Su questo intendiamo aprire un dibattito, il più ampio possibile. Nelle prossime pagine pubblichiamo un primo intervento (Le nostalgie asburgiche del Principe Dellai) del consigliere provinciale diessino Mauro Bondi.