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QT n. 16, 30 settembre 2006 Servizi

Telecom & C.: dov’è il bandolo della matassa?

Telefonia, televisione, Internet: le grandi manovre e il ruolo della stampa.

Bruno Sanguanini

In Italia, dai primi giorni di settembre, la telefonia è sempre in prima pagina nei quotidiani nazionali, trovando spazio anche in due e più pagine anche all’interno. I giornali provinciali non mancano di spendere una pagina o una mezza pagina al giorno. Al centro, è Telecom Italia, l’ex-monopolista della telefonia fissa, e il suo braccio destro Tim, la company dei telefonini che ha 20 e più milioni di carte Sim in circolazione.

Le indiscrezioni estive circa un ventilato scorporo-vendita di Tim (colosso europeo-brasiliano della telefonia mobile) dalla Casa-madre, oberata dai debiti, si intreccia con l’ipotesi di trasformare Telecom Italia in una media company (cioè proprietaria sia delle reti che dei contenuti mediatici). A fine estate, la politica istituzionale e il sistema dei media hanno acceso i riflettori sulla materia. Oggi, dopo 20 giorni di tam tam, pare di essere tornati ai giorni infuocati di notizie dell’Opa di Olivetti su Telecom. Chi ricorda la lunga ed estenuante sfida a distanza tra Roberto Colaninno e Franco Bernabé sull’asse finanziario New York-Milano-Torino e sull’asse politico Bruxelles-Roma-Torino-ecc? Allora, le news svolsero il ruolo del cavallo di Troia di tutti (editori, finanzieri, politici, industriali, ecc.) per screditare gli avversari ed accreditare i partner d’interesse. Oggi, chi ha ardore e chi ha paura di Telecom Italia in formato media company?

Reti delle tue brame. Tutti e nessuno, ma centomila mostrano di avere un interesse di parte da investire sull’argomento media company. In gioco c’è il superamento dell’attuale blocco del sistema televisivo, con l’ingresso di nuovi robusti concorrenti a scardinare il duopolio Rai-Mediaset.L’incognita però è grande, visto che il Governo vuole riformare la Legge Gasparri per la televisione, la riforma della Rai è ai primissimi passi, il digitale terrestre è rinviato al prossimo decennio, la pubblicità su Internet è in esplosione, Mediaset gode di buona salute finanziaria grazie al proprio dominio sulla pubblicità via mass media. Intanto, dopo trent’anni che non si parla d’altro che di televisioni, il Digital Divide dell’Italia (ossia il divario nell’accesso alle nuove tecnologie) sta aumentando a vista d’occhio: le infrastrutture telefoniche di rete invecchiano e nessuno sa come pagare la costruzione della super-banda larga chiesta da Municipi e Regioni, piccola e media impresa, società dei servizi, famiglie, professionisti e centri di ricerca e innovazione.

Per la politica istituzionale già il duopolio televisivo è una matassa difficile da sbrogliare. Se poi ci si mettono anche Telecom Italia e Rupert Murdoch, il bandolo va in pezzi. Tuttavia, l’economia di mercato cammina sempre più per conto suo e non segue le impronte della politica se questa invece di camminare davanti si limita ad esprimere dei desiderata ma sostanzialmente a mettere in ordine il sentiero a cose fatte. Se così è accaduto negli anni ‘90 perché non dovrebbe ripetersi? Invece non si ripeterà tanto facilmente.

T elefonia del mio cuore. Il Regno Unito ha privatizzato la telefonia sin dagli anni ‘80, godendo di una fortunata congiuntura. Dopo il 1° gennaio 1998, Francia e Germania promisero di fare altrettanto, ma nei fattti i due governi privatizzarono più o meno il 70% degli ex-monopolisti telefonici in una miriade di soci conservando così una consistente maggioranza relativa. La Commissione UE ha imparato la lezione, e queste cose non le permette più.

L’Italia, dal 1994 in poi, le ha tentate tutte, con i risultati che oggi vediamo. Pare di essere al gioco dell’oca: prima in dirittura d’arrivo e poi a ricominciare da capo. Oggi, per liberalizzare si propone (Progetto Angelo Rovati, dal 18 settembre ex-consigliere del Capo del Governo) di de-privatizzare Telecom Italia. Al contrario, per risanare economicamente le privatizzazioni sia del 1999 che del 2001 (quando prima Colaninno e Gnutti e poi Tronchetti Provera acquistarono Telecom non sganciando soldi, ma segnando debiti), si ventila di vendere una quota consistente di Tim a un partner internazionale non concentrato sul mercato nazionale, fors’anche per sviluppare insieme una company di telefonia-internet-televisione via satellite. Sono mosse che abbiamo già visto, dal 1997 al 1999. Ora, però, hanno una caratura ben superiore.

D’altro canto, su Telecom Italia incombono dei fatti ineludibili:

- dopo due anni di richiami contro le tariffe per le chiamate fisso-mobile più alte in Occidente, la Commissione Europea presenta il conto e l’Authority nazionale è chiamata a procedere con sanzioni;

- il persistente quasi-monopolio di Telecom Italia sull’ultimo miglio della rete a terra è sotto accusa;

- mesi di polemiche sulle intercettazioni telefoniche per le elezioni politiche regionali ed il caso Moggi sollevano problemi di etica industriale;

- c’è fretta di ammodernare la rete fissa per passare dal doppino di rame alla fibra ottica per la banda super-larga, ma nessuno vuole pagare;

- l’iniziativa dei piccoli municipi senza Adsl di passare al wireless o servirsi di piccole company regionali delegittima la quasi-funzione pubblica della rete nazionale governata da Telecom;

- l’indebitamento Telecom supera i 40 miliardi di euro e pare destinato a crescere;

- Tim ha un valore di mercato attorno ai 35 miliardi di euro;

- risanare il debito Telecom con la cassaforte interna di Tim è sconsigliabile, visto che le previsioni di crescita della telefonia mobile non-Umts sono attorno al 1% per i prossimi anni;

- il successo della cablatura in fibra di alcune grandi città effettuato da Fastweb da un lato giustifica la rete nazionale a doppino in mano a Telecom ma dall’altro è un sasso nella scarpa;

- le prelazioni Mediaset e Sky News Corporation (Rupert Murdoch) sui diritti a trasmettere il Calcio di serie A e B, contenuto di facile consumo di massa, rendono problematica la tivufonia mobile per Tim e costosa la ricerca di contenuti per la banda larga di Telecom e La7 tivù;

- il boom incipiente del tivufonino e della televisione digitale nella connessione computer-telefonino favorisce chi sposa le licenze telefoniche alle reti informatiche ed al portafoglio di contenuti-programmi;

- otto anni (scrive la stampa del 20 settembre) di intercettazioni illegali da parte di una società privata del’ex-capo della sicurezza Telecom dei telefoni e delle e-mail di esponenti nazionali di industria, finanza, politica, sport, giornalismo, non saranno senza conseguenze istituzionali;

- in Europa e nel mondo è già in corso la caccia grossa alla connessione telefonia-Internet-televisione e quindi alle fusioni tra Phone Company, Internet Company, Mass-Media Company.

Marco Tronchetti Provera

Nessuno ha ancora detto che cosa significhi fare una media company. Come mai, allora, tutti si preoccupano della novità? Probabilmente è l’idea che, all’improvviso, nel mare nostrum compaia una company con la potenza di una portaerei della comunicazione digitale. Gli uni mostrano di preoccuparsi del governo dell’informazione, mentre gli altri fanno calcoli sulle dimensioni delle fette che suddividono la torta del mercato pubblicitario. Il boom della pubblicità on line, della domanda europea di banda larga, della circolazione dei medesimi contenuti dalla televisione a Internet al tivufonino, pare schiudere una nuova caccia al tesoro.

Perché le regole vengono sempre dopo? Lo spauracchio di un cambio radicale delle carte in tavola spaventa un po’ tutti solo per gioco. In realtà, la mancanza di norme nazionali ad hoc rende tutti un po’ ammiragli e un po’ corsari. Editori di televisioni analogiche, editori di giornali, magnati del cinema, titolari dei diritti del calcio, amministratori del mercato pubblicitario, attori della fabbrica delle notizie, fanno finta di essere in ansia per il rimescolamento delle carte in tavola. Criticano il metodo sia per togliere terreno sotto ai piedi della novità sia per acquisire un qualche vantaggio di posizione; magari strappando un capitolo di norma legislativa sulla media company varata sotto le pressioni dell’emergenza.

Sulla materia in questione il passato insegna. Dal 1992 al 2001, il decennio che portò alla fine del monopolio statale della rete di telefonia fissa, vide aspre battaglie tra politici e capitalisti di Stato, industriali e banchieri, editori e finanzieri internazionali. Le armi del credito, dell’influenza politica, del lobbysmo, furono spianate un po’ dappertutto, ma soprattutto sulle pagine dei giornali. Il can can della stampa portò ogni testata giornalistica ed ogni editore a divenire partigiano, quindi a schierare opinion maker, articoli, titoli, fotografie, statistiche, a favore di questo competitore ed a sfavore di quel contendente, ma talvolta anche a favore solo di un membro di una partnership. Per molti, ma non tutti, importante è far correre la macchina della spirale dell’evento. Ieri come oggi.

Un gioco che arricchisce i giocatori e impoverisce i clienti. Ora, nel settembre 2006, ci imbattiamo non tanto in una confusione di notizie e fatti ed immediate smentite, ma in news che creano una matassa di interessi e contro-interessi, notizie-fatto e fattoidi (notizie-allodola). Più la matassa è maneggiata da mani diverse (industriali, Authorities, opinion maker, politici, editori, finanza internazionale, ecc.) più facilmente i fili si spezzano generando tanti bandoli ingannevoli. Come un Blob che ingrossa risucchiando tutto ciò che incontra, l’affaire alimenta la sfera pubblica mentre svilisce l’opinione pubblica.

Ora, c’è il rischio che i gatti, confondendo la matassa con il topo, ma risultando impotenti nella caccia, finiscano per cacciarsi tra di loro.

Fuor di metafora, c’è il serio pericolo che i variegati custodi degli interessi collettivi si sbranino tra loro, e le speculazioni corrano indisturbate. Cose del genere sono già accadute, come dimostra la "storia sociale" della telefonia in Italia.

A danno di chi? Dei piccoli azionisti delle aziende telefoniche, dei clienti della telefonia fissa e mobile, dell’interesse generale nazionale per il sistema nazionale delle telecomunicazioni, è ovvio. L’affare Telecom Italia è importante in quanto cartina al tornasole dei neo-assetti del sistema delle telecomunicazioni e dell’Information Tecnology in Italia ed in Europa.

Oggi, la spesa mensile di ogni europeo occidentale per il telefono ed il telefonino è poco inferiore a quella per l’automobile, a sua volta poco inferiore a quella per il cibo.

Domani, con la connessione telefonino-telefono-Internet-televisione, pagheremo di più che per l’uso dell’automobile. Al nuovo cibo per la mente, ovvero ai totem di accesso alla cosiddetta società dell’informazione, stanno lavorando in molti: compagnie telefoniche, pubblicitari, scienziati della cognizione, ma soprattutto chi intercetta la connessione tra il nostro bisogno di comunicazione e il nostro bisogno di credito finanziario per accedere al menù che i media servono a tavola.