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QT n. 15, 16 settembre 2006 Monitor

Thank you for smoking

La storia di un lobbysta delle multinazionali del tabacco: caustica ed efficacissima satira del cinico debordare del business ad di sopra di ogni valore.

I titoli di testa ci lanciano dritti e spediti al centro del film: la musica country inneggia ai piaceri del fumo e la composizione dei credits ricalca la grafica dei pacchetti di sigarette. Siamo già dentro il cuore dell’America: musica e marche, piacere e commercio, salute e business. Le contraddizioni della nazione emergono in tutta la loro comica drammaticità.

"Thank you for smoking" è davvero una commedia ben fatta. Segue la vita di Nick Naylor, di professione lobbista. La sua missione impossibile è confrontarsi con politici, comitati dei consumatori, malati terminali, medici e scienziati per difendere, solo contro tutti, la libertà di fumo. Ma il merito del film è di non rimanere statico sulla sua buona idea di partenza. Riesce infatti a svilupparla, a far progredire la trama in modo lineare e piacevole. La regia di Jason Reitman è molto esposta, vivace. Continui effetti ironici sono ottenuti con l’inserimento di sovrimpressioni, siparietti teatrali, nomi caricaturali… E poi, soprattutto, interrompendo continuamente la narrazione con dei fermo immagine sui primi piani dei personaggi. Questo gioco crea lo spazio per gli interventi sardonici della voce narrante, commenti spiazzanti che tolgono filtri, fanno emergere dal di dentro il pensiero del protagonista. Viene mostrata così la distanza con la quale egli indossa il proprio abito professionale, e quanto superficiale sia la sua identificazione di ruolo con il lobbista dell’"Accademia del tabacco".

L’esempio più efficace di questa messa in pausa della narrazione è all’inizio del film, quando Naylor si trova all’interno dello studio televisivo del "Joan Lunden Show". Ha di fronte i soliti oppositori. La macchina da presa passa in rassegna i loro volti, fissati dal fermo immagine. Ogni ospite viene timbrato da una scritta in sottopancia che lo qualifica. Del tipo: "ragazzo con il cancro". Anche quando la telecamera passa a inquadrare il pubblico i fermo immagine mettono in risalto primi piani incattiviti e schifati. Una pausa coglie persino una spettatrice mentre sputa addosso a Nick. Il peso accusatorio sulle spalle di Naylor a questo punto sembra insostenibile. Le conseguenti acrobazie retoriche del lobbista vengono quindi esaltate da tale trampolino stilistico-narrativo. L’effetto comico è assicurato.

Per il lobbista, tutto è finzione, recita. Ma anche se tutti sanno che si tratta di una messa in scena (la difesa della causa delle multinazionali si dimostra un giochino di argomentazioni sofistiche), il suo ruolo viene preso sul serio. Come se davvero ci fosse bisogno di lui da entrambe le parti: le industrie del fumo offrono in pasto al nemico carne dura da masticare; e i difensori della salute sono stimolati dall’avere di fronte un avversario così identificabile, un "Mefistofele yuppie" elegantemente provocatorio.

"I’ve been smokin’ all of my life and I ain’t dead", recita la canzone country sui titoli di testa. La morte - calcolata un tanto al chilo dalle corporation delle armi, dell’alcool, del tabacco - aleggia come uno spettro ridicolo, di cui ci si può fare beffa. La sua oscura presenza si manifesta solo come un bastone tra le ruote del business.

Il film mostra come il cinismo che pervade l’economia abbia strabordato fino ad allagare l’intera società. Nel "si salvi chi può" generale non c’è scampo nemmeno per la scienza.

Che il fumo faccia male è ovvio. Ma nella confusione della ricerca scientifica è facile trovare, a pagamento, qualcuno disposto a dire che fa male per certe cose ma bene per altre; che le relazioni causali non sono provate; che le certezze non sono di questo mondo. Lo "scienziato residente" dell’Accademia del tabacco fa esperimenti da trent’anni ma "non è ancora giunto a risultati definitivi". Nel frattempo, lo vediamo mentre affumica una gabbia di topi. Il pagliaccesco expertise dell’autorità scientifica non dà più nessuna garanzia.

Va notato, in conclusione, come in questo film sul fumo, prodotto della Hollywood più liberal, non si veda mai qualcuno che si accende una sigaretta. Si satireggia sulle restrizioni e sui divieti ma non si riesce o non si vuole sfidare del tutto la religione del politically correct. E così nelle due scene di sesso che il film mostra si ubbidisce allo stesso principio: si può parlare dei tabù ma non infrangerli. Nick Naylor e una giornalista consumano infatti i loro amplessi con le mutande addosso.

Accade spesso, nei film di Hollywood, anche se il campione di questa tecnica è decisamente il serial tv "Sex and the City": le scene successive a quelle, invisibili, degli abbracci amorosi mostrano i due amanti subito ricomposti, con il lenzuolo che, diligente, copre il corpo della donna esattamente al di sopra dell’attaccatura del seno.

E’ una timidezza strana e un po’ ipocrita, visto che proviene proprio da chi vuol farsi bello della propria disinvoltura.

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