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QT n. 5, 11 marzo 2006 Servizi

Un viaggio trionfale?

Berlusconi a Washington: perché gli americani non se ne sono accorti.

Francesca Agostini, Marco Cova

La consueta rassegna stampa del mattino ci consegna titoli tutt’altro che consueti: "Berlusconi day al Congresso", "Discorso interrotto da 16 applausi", "Standing ovation per il premier" e via dicendo su questo tenore.

I media americani sono decisamente più parchi di informazioni. Le prime pagine di CNN, New York Times e Los Angeles Times stranamente non riportano nulla, e anzi, trovare traccia dell’evento, anche nei giorni successivi, è un difficile esercizio di ricerca sui vari siti di informazione. I pochi riferimenti che troviamo sembrano quasi casuali o accessori a dichiarazioni di Bush su altri argomenti. Impossibile non pensare alla più clamorosa delle bufale. Il dubbio svanisce presto: il sito del Congresso riporta il discorso di Berlusconi. La domanda diventa allora perché quello che in Italia è stato presentato come il giorno dell’orgoglio, il riconoscimento del ruolo della nazione a livello mondiale, quasi la conferma dei manifesti berlusconiani sull’Italia che conta ed è rispettata nel mondo, è passato qui praticamente sotto silenzio?

L’evento, in sé, qualche attenzione la meritava: non è certo normale che Senato e Camera degli Stati Uniti si riuniscano in sessione comune per ascoltare un leader straniero. Quali, allora, i motivi di tanto understatemen? Pensiamo ce ne siano diversi.

Primo (inutile negarlo), l’Italia è ormai periferia nella geografia d’oggi. Non giochiamo un ruolo di primo piano sui tavoli che contano, siano essi politici o economici e non rappresentiamo quindi un polo di interesse di primo piano per l’America.

In secondo luogo, Berlusconi rappresenta sì un Paese alleato, ma accomodante e che solitamente non riserva sorprese. Il discorso di Berlusconi da questo punto di vista è esemplare. La liberazione dal nazi-fascismo, la lotta al comunismo, il libero mercato, la bandiera americana come simbolo di democrazia e libertà sono alcuni dei suoi passaggi chiave. Ma sembra quasi di rileggere un discorso fatto nel primo dopoguerra, in piena ricostruzione con i soldi del piano Marshall. Le standing ovation arrivano, ma è un gioco facile quando la retorica (e verrebbe da dire l’adulazione) rincorre i temi dei soldati sacrificati per la democrazia dell’Europa, e gli USA come faro della libertà. Non sembra il discorso del premier di un Paese partner, ma l’elegia di chi vive col mito del "sogno americano". Cosa rimane all’ascoltatore statunitense?

Accanto a questi temi, nemmeno sui problemi dell’oggi (guerra in Iraq, lotta al terrorismo, ruolo dell’Europa unita nello scacchiere internazionale - Berlusconi riesce ad incidere o a fornire letture nuove. Anzi, il messaggio è che l’Europa ha bisogno dell’America, con buona pace di Chirac e degli altri, che sbagliano a pensare ad un ruolo di diversa qualità dell’Europa Unita.

Infine, c’è il fatto che ad un Bush in calo di consensi, alle prese con una crisi ed uno scandalo dietro l’altro, non conviene puntare troppo sull’alleanza con l’amico Berlusconi.

Il premier non è certo uno sconosciuto da queste parti e in più occasioni negli ultimi mesi si è guadagnato spazio sui media americani. I titoli la dicono lunga, però, su quali siano le cose per cui Berlusconi fa parlare di sé: "Berlusconi mounts political media blitz" (B. mette in scena i suoi blitz politici televisivi), "Cyclone Silvio is on the Air, everywhere" (Il ciclone Silvio è in onda, ovunque), "Berlusconi Changes Rules to his Benefit" (B. cambia le regole a proprio vantaggio - New York Times)" e "Berlusconi: I’m Christ of politics" (B.: Sono il Cristo dei politici - CNN).

Ciò che quindi fa notizia è la sua eccezionalità, il suo essere altro rispetto alle norme della politica, non certo le sue idee o i suoi progetti. Di lui non stupisce il connubio politica-ricchezza, qui assai comune - basti pensare ai Kennedy, a John Kerry, alla stessa famiglia Bush. Ciò che sorprende e disorienta gli americani è il suo controllo sui mezzi di informazione e le dichiarazioni ad effetto, spropositate anche per chi è abituato alle gaffes di Bush.

Dunque, la due giorni a Washington di Berlusconi come un successo nazionale? Secondo noi no. E arriviamo a questa conclusione senza nemmeno citare un fatto - a quanto pare taciuto in Italia, ma riportato qui da parecchie agenzie di stampa - che da solo basterebbe a decretarne il fallimento: nell’aula del Congresso molti posti, sia da parte repubblicana che democratica, erano vuoti e sono stati riempiti da portaborse e staffer.