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La via crucis della fiaccola

Olimpiadi, business e proteste: dalla resistenza passiva alla Coca Cola allo scippo della fiaccola olimpica, un mix di ottime ragioni e ricerca di identità.

Il lungo itinerario della fiaccola olimpica, che doveva essere una gioiosa e trionfale marcia di avvicinamento a Torino, si è trasformata in una sfiancante, accidentata via crucis, che ha conosciuto a Trento il suo momento più burrascoso. Va detto che si è fatto di tutto perché ciò accadesse. Mai così sfacciato è apparso infatti il sovrapporsi degli interessi commerciali ai cosiddetti valori olimpici. Del resto, se il business è riuscito ad ammazzare il senso autentico della nascita di Gesù Cristo, era inevitabile che giungesse a snaturare anche lo sport. Il che, del resto non è cosa di oggi. Urgenze di promozione turistica, smanie di visibilità degli sponsor, necessità di promozione mediatica, preoccupazioni di ritorno economico degli organizzatori: le olimpiadi invernali sono anzitutto questo. Cosa rimane di spirito olimpico? Degli atleti che hanno fatto dello sport una professione altamente redditizia?

Il designer Andrea Pininfarina, creatore della fiaccola olimpica: un aggeggio hi-tech che sembra ricavato da un paraurti tagliato in due e che si può acquistare a soli 330 euro.

Difficile non accorgersene. E se ne è accorto prima di tutti il tedoforo Giorgio Torgler, presidente del Coni trentino: "Va bene - osserva - che gli sponsor pagano, ma non trovare un posticino sul palco, accanto ai marchi, anche per i 5 cerchi…". E a proposito di qualcuno di quegli sponsor aggiunge: "Non si possono produrre scarpe pagando le persone un dollaro al giorno e poi pretendere che ci vogliamo bene". E non c’è da stupirsi, prosegue, "se, riducendo tutto a denaro, si cerca la prestazione ad ogni costo, anche ricorrendo al doping".

Così stando le cose, bene hanno fatto i "disobbedienti", che sdraiandosi pacificamente sul selciato e impedendo il passaggio dei camion della Coca Cola e della Samsung, hanno provocato una riflessione che ha trovato ampio spazio anche sui quotidiani, dove ad esempio leggiamo (l’Adige del 24 gennaio) che è stata propinata alla folla plaudente "la più squallida delle ‘marchette’, un filmato in cui Alberto Tomba, testimonial dello sponsor Samsung, compare per salutare la città ospitante di turno a nome della Samsung, e come sarà bello seguire l’Olimpiade grazie a Samsung".

Di ben altro segno, lo stupido blitz anarchico, con lo scippo – violento nel suo piccolo - della fiaccola olimpica. Ecco, i famosi anarchici roveretani: a proposito dei quali sono apparsi, come già in altre occasioni, delle reazioni sopra le righe, che probabilmente hanno gratificato gli autori del gesto: "Un attacco al simbolo della pace", "Non avrei mai creduto che in una cittadina tranquilla come Trento potessero accadere fatti del genere", fino alle dichiarazioni esagitate di Manuela di Centa (non a caso militante in Forza Italia), che parla di "un atto incredibile", di "gente senza valori, persone prive di ogni valore umano".

Resta il fatto che attorno a costoro continua ad aleggiare un’atmosfera da mistero buffo. I loro interventi, rivolti alternativamente alle più vaste problematiche dell’universo mondo o alle più infime minuzie sovrastrutturali, evitano sempre accuratamente le tematiche "intermedie", quelle cioè che richiedono uno studio, un’analisi non libresco-ideologica buona per ogni occasione, delle proposte. Ci ricordano simpaticamente – forse lo abbiamo già scritto – i ragazzi della via Pal di Ferenc Molnar, con le loro finte guerre di cui essi soli erano a conoscenza, ma che vivevano in modo totalizzante, ossessivo. Simpatici (entro certi limiti…) perché è pur vero che rischiano la galera: ma a quale scopo? Non per conseguire dei risultati concreti (altrimenti eviterebbero certe mosse sputtananti), né per diffondere le loro idee (altrimenti si porrebbero il problema di un qualche rapporto coi media, che invece evitano come la peste). E allora?

Forse alla base di tutto c’è semplicemente un bisogno di esternare visceralmente, senza pensare alle conseguenze, le proprie pulsioni (un po’ come gli ultras da stadio); forse, più nobilmente, sentono il dovere morale di esporsi in nome di quello in cui credono: "salvarsi l’anima" – direbbe un cattolico.

O, più banalmente, cercano – consapevoli o meno – una identità e una notorietà che la stampa locale gli ha fin qui concesso fin troppo generosamente. Sarebbe interessante sapere se questi ragazzi conservano una rassegna-stampa delle loro imprese. Se quest’ultima ipotesi fosse fondata, stavolta i roveretani avrebbero di che godere: quotidiani e tg nazionali hanno parlato di loro, e la notizia dello scippo olimpico è arrivata fino negli Stati Uniti, dove però il New York Times ha attribuito l’azione ai rivali "disobbedienti", "the Desobedient ones".

Maledetti americani!