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Incredibile ma vero

L'odissea burocratico-giudiziaria di un povero Cristo e la storia poco convincente di un rapinatore dall’odore indimenticabile.

Povero Cristo! Leggendo le riviste giuridiche si scoprono talvolta casi sorprendenti. Un giovane chiamato Cristo, che abita in Italia quasi fin dalla nascita, non ha ancora la cittadinanza né i diritti connessi. Vive ma non esiste. Cristo nasce in Grecia da madre argentina che convive senza essere sposata con uno straniero, e viene riconosciuto dalla sola madre. Quando Cristo ha 8 mesi la madre si trasferisce in Italia dove nel 1991 si sposa con Alessandro Niccolini. Questi nel 2002 chiede l’adozione del bimbo al Tribunale dei minori di Firenze. Per legge bisogna chiedere e ottenere il consenso del padre naturale. Ma costui è irreperibile. Solo nel 2005 il consolato italiano in Paraguay comunica che il padre naturale è deceduto. A questo punto il Tribunale emette la sentenza di adozione.

Nel frattempo Cristo era divenuto maggiorenne e la famiglia, nel timore che non si avessero mai notizie del padre naturale, aveva presentato una nuova domanda di adozione al Tribunale ordinario di Grosseto, il quale prontamente emette sentenza favorevole. Abbiamo dunque due sentenze che per i misteri del diritto hanno effetto temporale diverso. La prima ha effetto immediato, la seconda solo dopo 5 anni. Un tempo eccessivo per un soggetto che intanto si è diplomato geometra. Cristo va a ritirare il diploma, ma non glielo consegnano perché la sua esistenza non risulta da alcun documento. Interviene a questo punto il Questore di Grosseto che fa presente al Tribunale dei Minori di Firenze che fra le due sentenze dovrebbe prevalere la prima, che ha valore fin dal momento della domanda, e non già la seconda per cui bisognerebbe aspettare 5 anni. Il Presidente del Tribunale dà ragione al Questore: Cristo va adottato subito e deve essergli riconosciuta subito la cittadinanza italiana.

La sgradevole avventura sembra aver raggiunto la parola fine. Purtroppo il Ministero degli Interni non accetta i documenti del Tribunale dei Minori e chiede all’Avvocatura dello Stato un parere circa la competenza del Tribunale. Ed ecco nuove complicazioni: l’organo che deve decidere sulla competenza è la Corte di Cassazione, e quindi a questa avrebbe dovuto rivolgersi il Ministero degli Interni. Inoltre, per quanto riguarda la cittadinanza, essa può essere concessa "con decreto presidenziale sentito il Consiglio di Stato e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri". Povero Cristo!

Non sappiamo come andrà a finire questa faccenda. L’autrice dell’articolo da me riassunto (Giulia Milizia) così conclude il racconto: "Per la Costituzione la cittadinanza si acquisisce per nascita da cittadino italiano; alla nascita viene equiparata a tutti gli effetti anche l’adozione sia ordinaria che speciale. Cristo dunque dovrebbe essere considerato cittadino italiano". In ogni caso in base alla legge Turco-Napolitano e alla Bossi-Fini lo straniero che si sposa con un cittadino italiano, dopo 6 mesi di convivenza, acquista la cittadinanza e così anche la prole. E’ inspiegabile quindi come non sia ancora stata concessa a Cristo, che è di fatto cittadino italiano dal ‘91, quandoi sua madre sposò il cittadino italiano Rolando Niccolini

Odor di rapinatore. Con sentenza resa pubblica il 28 febbraio 2005 la Cassazione ha inserito "l’accertamento olfattivo" tra i mezzi di prova accettabili. In teoria il principio è giusto, ma nel caso concreto i giudici lo hanno utilizzato in barba ad ogni garanzia. Il caso è il seguente: Tizio era accusato di rapina a mano armata in un supermercato. La titolare del negozio, pur non avendolo visto bene in faccia, dichiarava di riconoscerlo per l’odore nauseabondo che la persona emanava, identico a quello che aveva sentito quando era stata rapinata in auto da uno sconosciuto. Sulla base di questo solo indizio il GIP ordinava la custodia in carcere di Tizio, in attesa di giudizio. L’ipotesi di scoprire "a naso" un delinquente è assai poco giuridica. Il giudice avrebbe dovuto chiedere alla donna rapinata la descrizione dell’odore sentito in entrambe le occasioni: puzza di fogna? fiato fetido? sentore di formaggio andato a male? di cavoli stracotti? di sporcizia stagionata? Il giudice doveva fare poi un confronto con almeno altri due soggetti trattati con altri odori puzzolenti e chiedere alla donna di riconoscere quello da lei sentito durante le rapine. Niente di tutto questo, calpestando ogni garanzia probatoria.

C’è di più: il GIP non poteva ignorare che esistono strumenti per scoprire il colpevole dal suo odore: dei microchips in grado di percepire gli odori che permettono di ricostruire l’identikit olfattivo del sospettato anche a distanza di tempo.

Perché il GIP non ha disposto un prelievo olfattivo nell’auto e nel negozio in cui la donna era stata rapinata? Per fortuna il giudizio di merito potrà ristabilire (forse) la verità, perché gli anni passano e le tracce olfattive svaniscono, mentre i verbali cartacei restano. Possiamo concludere, in accordo con gli avvocati Corso Bovio e Paolo Grasso che commentano la sentenza ("Diritto e Giustizia", n° 18, 7 maggio 2005), che è stupefacente che il GIP e i giudici del riesame non abbiano sentito la necessità di annusare essi stessi l’indagato e di verificare di persona "in corpore fetido" se davvero l’odore di quella persona fosse tanto particolare da poter essere ricordato.

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