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Bolivia: l’inevitabile lavoro minorile

Nel paese più povero del Sudamerica il reddito procurato dai bambini è una risorsa indispensabile.

In Bolivia il 39% della popolazione ha meno di 15 anni ed un impressionante numero di persone inizia a lavorare in giovane età. Cosa riserva il futuro ad un paese con una grande quantità di giovani lavoratori?

Non è necessario fermarsi molto in Bolivia per rendersi conto che la popolazione giovanile porta il suo contributo in ogni settore della vita economica.

Nella città di Sucre, la capitale giuridica della Bolivia abitata da circa 200.000 persone, la presenza di bambini lavoratori è molto elevata: basta udire le urla di ragazzini in età preadolescenziale negli autobus, o vedere l’offerta dei lustrascarpe e le attività dei giovanissimi, che vendono giornali per la strada. Questi sono i rappresentanti più giovani della massiccia forza lavoro informale in Bolivia, ragazzi che vivono praticamente per strada e rappresentano un’importante forma di sostegno per le famiglie boliviane, sia se si considerano le necessità fondamentali sia altre spese, come ad esempio quelle per procurare materiale scolastico.

Sebbene la fine del lavoro minorile sia una situazione da auspicare, arrivare a questo traguardo significa molto di più che una dichiarazione di buone intenzioni. Mentre a livello internazionale le Organizzazioni non Governative lavorano per eliminare il problema, l’importanza economica e sociale dei piccoli lavoratori implica una situazione molto più complessa di quella che potrebbe essere definita con una sola battuta "lavorare o non lavorare".

Secondo le Nazioni Unite, il 62,7 % della popolazione boliviana vive con meno di due dollari al giorno. La Bolivia da tempo viene considerata il paese più povero del Sud America, ed è tra i 15 paesi più indebitati del mondo presenti nella lista della Banca Mondiale.

Quando i leader della Bolivia si piegarono, da venti anni a questa parte, ai programmi di "austerità" del Fondo Monetario Internazionale, le disuguaglianze nel paese aumentarono in maniera impressionante.

Su dieci nuovi posti di lavoro creati negli ultimi 15 anni, sette sono nel settore informale: impieghi senza controlli di sicurezza, senza benefici e senza un salario stabile. Per i più poveri la sopravvivenza non è legata all’età: già a sei anni i bambini vengono risucchiati dal vortice dell’economia informale, ritrovandosi in una condizione che non sembra avere fine.

I leader boliviani hanno ratificato due convenzioni dell’organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) sul lavoro minorile ed hanno annunciato, nel 2000, un piano di dieci anni per giungere alla completa eliminazione del problema. Sfortunatamente, come dimostrato dalla convenzione dell’ILO n. 138, firmata quasi trent’anni fa in nome dell’innalzamento dell’età minima di lavoro a 14 anni, la realtà è ben diversa da quanto scritto sulla carta.

Quello che unisce i bambini che lavorano per le strada di Sucre, al di fuori delle storie da condividere, è il Centro Educativo Ñanto, un luogo dove si riuniscono per pranzare, sei giorni alla settimana, nel centro della città.

Il centro Ñanto nacque nel 2002 per riempire un buco lasciato dallo Stato in termini di fornitura dei servizi basilari ai lavoratori emarginati. Il direttore, Marco Antonio, chiama il centro Ñanto "un luogo privilegiato, dove un giovane lavoratore può tornare bambino, anche se solo per poche ore al giorno".

Antonio spiega che i bambini lavoratori di Sucre vengono spesso da aree ai limiti della zona urbana ed appartengono a famiglie emigrate di recente da zone rurali. Molti di loro vanno a scuola la sera, e la maggior parte vive in un contesto nel quale si parla solo Quechua. "La maggior parte dei bambini lavora per pagare l’elettricità, o l’acqua per le proprie famiglie, o per pagare il materiale di cui necessitano a scuola" - spiega.

Sebbene sembri un contro senso, la realtà è che se questi bambini smettessero di lavorare, non potrebbero più frequentare la scuola. Secondo Caroline de Paulin, una volontaria del Centro Ñanta, la dichiarazione ufficiale dello stato boliviano, che afferma che il lavoro minorile sarà eliminato entro il 2010, è poco realistica: "Fino a quando non ci saranno alternative, i bambini boliviani continueranno a lavorare. In questo contesto il loro lavoro dovrebbe essere riconosciuto e regolato" - spiega Caroline, ed aggiunge che "la semplice dichiarazione che non vi dovrebbero essere bambini lavoratori non rappresenta una soluzione".

"Viviamo in un paese difficile, dove il lavoro minorile contribuisce all’economia familiare" - dice Claudia Ricaldi Sanchez, una lavoratrice sociale che si sta specializzando nel lavoro minorile delle miniere: lavora con oltre cento bambini che spalano e sudano all’interno delle miniere di zinco, stagno ed oro al centro della provincia di Potosì.

Questa affermazione trova riscontro nei risultati di uno studio fatto nel 1999, dal quale emergeva che il lavoro minorile in Bolivia contribuisce a circa il 21% delle entrate familiari.

In relazione alla ratifica, da parte della Bolivia, delle convenzioni sul lavoro minorile, così come del piano decennale che dovrebbe portare all’eliminazione del problema, Claudia afferma che "queste leggi sono state create in paesi sviluppati ed imposte qui, ed appare chiaro che non sono connesse con la realtà boliviana: per ogni giovane strappato al lavoro delle miniere, altri tre inziano la medesima attività".

Quello che toglierà i bambini lavoratori dalle strade e dalle miniere è la priorità che verrà fornita ad alternative reali. Questo significa educazione gratuita, accesso universale alla salute, assistenza sociale alle persone svantaggiate, ed iniziative di sviluppo in aree rurali. Ecco tre passi concreti da compiere per ridurre la quantità di bambini lavoratori in Bolivia.

E’ tempo di agire al di là delle dichiarazioni, dei piani e delle convenzioni, ed introdurre alternative reali. Ciò significa cheil paese deve prendere una nuova direzione politica, così come beneficiare di interventi di cooperazione internazionale, in particolare attraverso la cancellazione del debito estero.

Questi ragazzi rappresentano il futuro, ed investire su di loro è senza dubbio il cammino migliore verso una Bolivia più giusta ed egualitaria.